Segreto confessionale: l’obbligo e il suo senso

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L’inviolabilità assoluta del segreto confessionale è il contenuto di una nota della Penitenzieria apostolica (1° luglio). La conferma della dottrina cattolica ha come riferimenti dialettici la pretesa di alcuni stati di legiferare in merito e il contesto pervasivo della cultura mediale. Quasi assenti la ragione scatenante (abusi), la crisi della pratica del sacramento e il mancato rispetto del foro interno (coscienza) da parte di organismi ecclesiali.

Solo nella presentazione il card. Mauro Piacenza ricorda le parole di fuoco di papa Francesco, aggiunte a braccio nel discorso (29 marzo) sul rispetto della coscienza e del foro interno: «E vorrei aggiungere una parola sul termine “foro interno”. Questa non è un’espressione a vanvera: è detta sul serio. Foro interno è foro interno e non può uscire all’esterno. E questo lo dico perché mi sono accorto che in alcuni gruppi nella Chiesa, gli incaricati, i superiori – diciamo così – mescolano le due cose e prendono dal foro interno per le decisioni in quello esterno, e viceversa. Per favore, questo è peccato! È un peccato contro la dignità della persona che si fida del sacerdote, manifesta la propria realtà per chiedere perdono, e poi la si usa per sistemare le cose di un gruppo o di un movimento, o forse – non so, invento – forse persino di una nuova congregazione, non so. Ma foro interno è foro interno. È una cosa sacra. Questo volevo dirlo, perché sono preoccupato di questo».

L’appassionata accusa del papa a quanti nella Chiesa non hanno rispettato o non rispettano «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» (EV 1/1369), arrivando ad abusi di d’autorità e di coscienza, diventa nella nota l’argomentata e opportuna difesa della dottrina, ma il bersaglio è in parte diverso: gli attacchi esterni della cultura e degli stati.

Contro gli abusi di coscienza

La nota «sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale» conferma l’«inviolabile segretezza del sacramento della riconciliazione» che «non ammette eccezione alcuna dell’ambito ecclesiale, né, tantomeno, in quello civile». Il penitente «deve essere certo, in qualunque momento, che il colloquio sacramentale resterà nel segreto della confessione, tra la propria coscienza che si apre alla grazia di Dio, e la mediazione necessaria del sacerdote». Poiché nel sacramento si impegna direttamente la grazia di Cristo e la fedeltà della Chiesa, il sigillo sacramentale non può essere violato neppure quando l’assoluzione non venisse data o quando la confessione fosse invalida. Neppure se ne può parlare con il penitente stesso al di fuori del sacramento, a meno che sia l’interessato a chiederlo.

L’obbligatorietà del silenzio, anche se con minore intensità, si estende al foro interno al di fuori del sacramento della confessione. In particolare nella direzione spirituale, dove la segretezza è «connaturata al contenuto dei colloquio spirituali e derivante dal diritto di ogni persona al rispetto della propria intimità». In generale, vi è un diritto naturale alla discrezione davanti alle confidenze che i pastori e gli operatori pastorali ricevono. Paragonabile al segreto professionale, che lega alcune categorie di persone anche in sede civile.

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Confessione sacramentale

Esibizione e rispetto dell’intimo

È interessante la denuncia verso la sistematica violazione del privato in atto nella cultura mediale e la pretesa del mondo della comunicazione di sostituirsi alla realtà. Di fare, cioè, dell’opinione pubblica il tribunale supremo per i singoli e accampando la sua disinvolta pretesa di conformare il diritto ecclesiale ai vari diritti statuali. Con il conseguente pregiudizio negativo nei confronti della Chiesa e il venir meno del valore della parola, del suo potere costruttivo.

Una denuncia che suona suggestiva e velleitaria, in ritardo su quello che è già divenuto l’“ambiente” di tutti e senza alcun riconoscimento ai valori positivi e alla qualità delle denunce mediali sul tema degli abusi degli ecclesiastici a vantaggio della volontà di riforma nella Chiesa.

Non è casuale che i tentativi delle legislazioni sul segreto confessionale nascano quasi sempre davanti alle mancate denunce e censure della Chiesa relativamente agli abusi sui minori.

È stato così nel caso dell’Australia dove la Commissione Reale prima e alcuni stati poi hanno chiesto l’obbligo della denuncia da parte del prete che ne abbia avuto notizia in confessione (cf. SettimanaNews: Australia: il “segreto” è reato e Segreto confessionale, lotta agli abusi).

Così per quanto riguarda il Cile. Nell’aprile scorso, la camera dei deputati ha approvato un progetto di legge che vuole imporre alle autorità ecclesiastiche di denunciare alla giustizia civile ogni abuso sui minori di cui sono venute a conoscenza anche in confessione.

Nell’un caso come nell’altro i vescovi non solo si sono nettamente opposti ma hanno argomentato la diversità fra sigillo sacramentale e segreto d’ufficio, come anche l’inutilità di una decisione legislativa che non facilita in nulla le stesse denunce.

Diverso il caso belga. Qui un prete è stato condannato per non aver segnalato la volontà di un paziente di una struttura ospedaliera di suicidarsi, dopo un colloquio telefonico. Il ricorso del sacerdote al vincolo sacramentale non è stato riconosciuto.

Il richiamo della nota alla serietà del sigillo sacramentale «fino all’effusione del sangue» non può essere rimosso. Nella storia è già successo. Ad esempio, in uno dei racconti della morte violenta di Giovanni Nepomuceno o nel martirio di Matteo Correa Magallanes. Non si può certo escludere che possa ancora avvenire.

Ben più immediato e pervasivo è però il pericolo di una sostanziale rimozione del sacramento dalla pratica cristiana, il venir meno della sua comprensione e la sua scomparsa dall’orizzonte della prassi credente.

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