Il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, anch’egli sorpreso della lettera della Congregazione per la dottrina della fede, propone una soluzione a questa discussione in atto, che definisce inutile (katholisch.de, 7 giugno 2018).
La lettera del Prefetto della Congregazione romana per la dottrina della fede al presidente della Conferenza episcopale, Reinhard Marx, sul problema della comunione ai partner sposati non cattolici ha suscitato in molti e anche in me degli interrogativi a cui io – in quanto estraneo – non posso rispondere, ma solo i responsabili lo possono fare.
Mi irrita il fatto che questa lettera, indirizzata ad una persona, prima di giungere all’interessato, sia stata fatta filtrare proprio a quei media dei quali è comunemente nota la posizione critica nei confronti di papa Francesco.
Questo fatto è la continuazione della filiera dei Vatileaks e una mancanza di lealtà da parte di alcuni impiegati della curia attraverso i quali sono stati danneggiati non solo l’autorità dei vescovi tedeschi, ma anche quella della curia e del papa, come pure l’immagine della Chiesa in generale, e ha seminato confusione tra i fedeli. Ci aspettiamo che i responsabili siano chiamati a renderne conto e abbiano a pagarne le conseguenze.
Nessuna via particolare tedesca
Mi ha sorpreso che, anche coloro che dovrebbero essere meglio informati, affermino che la comunione da parte dei cristiani non cattolici sia per principio esclusa o debba almeno essere prima chiarita dalla Chiesa universale. Corretto è dire: la possibilità a livello di Chiesa universale è stata espressamente consentita da lungo tempo dal concilio Vaticano II e dal Codice vigente, nel senso di una norma riguardante il caso singolo e ulteriormente chiarita, in senso positivo, da due encicliche di papa Giovanni Paolo II.
In questi testi è espressamente stabilito che, nel caso singolo, a decidere devono essere il vescovo diocesano o la Conferenza episcopale. Non si tratta perciò, come è stato varie volte supposto, di una via particolare tedesca o di un proprio sistema ecclesiale tedesco.
Il fatto che non sia stata possibile, su questa base ecclesiale universale e in questo quadro, una soluzione consensuale della Conferenza dei vescovi tedeschi è tanto più sorprendente in quanto in Germania – e non solo a Monaco, ma anche a Colonia e in altre diocesi – già ora è diffusa de facto la consuetudine secondo cui i partner non cattolici, seriamente cristiani, si accostano alla comunione senza che da parte dei vescovi, già al corrente di questa prassi, ci sia stata finora alcuna chiara obiezione.
Una prassi liberata dal grigiore dell’illecito
È stato un bene che la Conferenza episcopale tedesca abbia cercato di liberare questa pratica de facto dal grigiore dell’illecito, del semilecito o del solo tollerato. Siccome si tratta di decidere su casi singoli, non si può trattare di un permesso generale o di una norma comune, ma di criteri per la decisione personale di coscienza e per il dibattito pastorale.
Questi criteri sono chiaramente indicati da Giovanni Paolo II. Gli interessati devono chiedere liberamente ed essere guidati da una necessità interiore. Quindi nessun proselitismo né pressione di gruppo, perché, ad esempio, sia imbarazzante rimanere soli nel banco.
In secondo luogo, essi devono condividere la fede cattolica sull’eucaristia, certamente non in tutti i dettagli teologici, ma come è professata da un “normale” cattolico discretamente istruito. Questa non è una condizione arbitraria; è piuttosto la convinzione comune dei cattolici e dei protestanti secondo cui i sacramenti sono per natura anche sacramenti della fede e che solo nella fede possono essere ricevuti degnamente e con frutto. Già l’apostolo Paolo esorta a esaminare se stessi e a distinguere il corpo del Signore dagli altri alimenti; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna (cf. 1Cor 11,27-29).
L’esortazione a esaminare se stessi vale per tutti
È evidente che questa esortazione ad esaminare se stessi vale anche per i cristiani cattolici. Ma che cosa avviene per dei cristiani evangelici che onestamente non possono conoscere la fede eucaristica cattolica? Anch’essi possono presentarsi e – come ho visto regolarmente nei paesi scandinavi e anglosassoni – mettono la mano destra sul cuore e chiedono in questo modo la benedizione. Poi partecipano all’eucaristia nel modo che è loro possibile. Purtroppo questa bella usanza è finora da noi poco conosciuta e poco in uso. Essa non discrimina nessuno e lascia a ognuno la libertà di una libera decisione in coscienza.
Sarebbe incomprensibile per ogni persona ragionevole non poter trovare presto una soluzione unanime che sia in grado di mettere fine all’attuale indescrivibile discussione.
La descrizione dei fatti esposti dal Card. Kasper corrisponde al vero, ma nutro delle grandi riserve sull’uso che ne fa. Il Card. Kasper sostiene che le ragioni per l’intercomunione siano nella prassi diffusa , nell’ignoranza dei cattolici, nell’uso dei paesi nordici e che elemento centrale sia la coscienza. San Paolo dice di esaminare la propria coscienza. Noi sappiamo che: “Coscienza e coscienza morale, di fatto, sono distinguibili: la prima riguarda la conoscenza di un qualsiasi oggetto o di una qualsiasi azione attribuibile a un sé, mentre la seconda riguarda il bene ed il male associati alle azioni e agli oggetti. Anche coscienza e mente si possono distinguere: la coscienza è la parte della mente legata al senso di sé e del conoscere in quanto ci appare” ( A.R. Damasio, 2000). Sua Eminenza dà la sensazione di usare la descrizione dei fatti come spiegazione dei fatti stessi e quindi fondamento per continuare la stessa prassi. Non ci dice se la prassi è il frutto da parte dei vescovi di avere rispettato la dottrina, o se il vescovo o il suo delegato hanno stravolto la dottrina. Oppure se tale prassi è frutto di una scelta di indirizzo politico sociale, o se frutto di sincretismo religioso da parte del clero o addirittura di mancanza di fede nell’Eucarestia o di confusione volutamente creata per la comunità cattolica e quella non cattolica. Sua Eminenza non coglie la debolezza della coscienza di sé del coniuge non cattolico. Prima ancora della coscienza morale vedo deficitaria la coscienza di sé, dei propri valori, della propria fede, della propria identità personale. La vita può portarci a mettere in discussione la nostra fede, ma la retta coscienza di sé suggerisce alla persona di fare un percorso profondo di trasformazione e non una finta revisione della propria fede prima di condividerne un’altra. Trovo offensivo proporre a chi ha una coscienza così poco solida la partecipazione all’Eucarestia perché tanto i cattolici sono ignoranti. Ma come si può offrire, a chi cerca il di più, il SOLIDO SUPPORTO DELL’IGNORANZA CATTOLICA???!!!??? La sintesi eccelsa di debolezza dell’io e di ignoranza la troviamo quando in conclusione viene affermato che permettere di avvicinarsi all’Eucarestia sarebbe il modo giusto per eliminare la discriminazione. Mi sembra che atto discriminatorio sia quello che nega ad una persona un diritto. Se il non cattolico si sente discriminato conferma lo scarso senso di sé. Il senso di colpa del cattolico o il timore di apparire discriminatorio è la conferma dell’ignoranza e non solo della dottrina dell’Eucarestia. Eminenza tutto il Suo discorso si fonda sulla coscienza, perché chiede che chi ha pubblicato la lettera venga punito? Immagino che abbia seguito la propria coscienza, o Lei ritiene che ci siano delle regole? Ci sono regole per l’Eucarestia? Il professor Antiseri ci insegna che le verità scientifiche possono essere falsificate mentre quelle filosofiche possono essere solo criticate e non falsificate. Ecco perché non è una polemica inutile!