Ottava puntata della rubrica «Verso il Sinodo sui giovani», firmata da don Armando Matteo sulla rivista Vita pastorale, che ringraziamo per il consenso a riprendere l’appuntamento mensile anche su Settimana News. Di seguito gli interventi finora pubblicati: Crescere in una società senza adulti /1; Se credere non è più di moda /2; Ripartire dagli adulti /3; La vocazione all’adultità /4; La domenica al centro /5; Insegna a pregare /6; Credi di più nella Bibbia /7.
Un’altra urgenza si impone oggi alla Pastorale giovanile vocazionale: quella di uscire dagli schemi. Essa, infatti, non può più fare affidamento ad un’immagine standardizzata del cammino nella fede da parte delle nuove generazioni. Un’immagine cioè ben definita e completa, fatta di tappe e scansioni cronologiche nette, con tanto di sacramenti e di impegni precisi. A causa dell’imporsi della crescente longevità, le nostre esistenze si evolvono verso modelli più aperti, più distesi, con passaggi meno definiti e più soft tra quelle che sono state sinora le diverse fasi dell’esistenza. Senza dimenticare che oggi ciascuno ha davanti a sé la sfida di reggere ad una vita che facilmente toccherà anche gli 80 e i 90 anni!
A fronte di tutto ciò, ereditiamo un cristianesimo che è stato pensato per persone con una speranza di vita media piuttosto limitata, precocemente chiamate ad assumere impegni lavorativi, familiari e procreativi. Questo comportava la necessità di un investimento catechistico significativo nell’età dell’adolescenza e un restare a disposizione, da parte della comunità ecclesiale, per eventuali “tagliandi” dell’anima qualora ce ne fosse stato bisogno. La stessa condizione di mortalità, assai percepita nel passato, era una buona premessa per una qualche configurazione personale di moralità.
Oggi siamo da tutt’altra parte. È scomparsa l’urgenza dell’educazione, del desiderio del rendere al più presto autonomi i propri “cuccioli”, dell’istruirli ed instradarli verso la qualità adulta dell’esistenza umana e del mondo. Un riscontro lampante di tutto ciò è dato per esempio dall’allungarsi dei tempi della formazione scolastica, che prevedono anche dopo la laurea (sic!) una quantità infinita di master e corsi di specializzazione.
Continuare ad immaginare un’introduzione all’esperienza della fede cristiana standardizzata rischia di fare un bel buco nell’acqua. Certo, nel campo dell’iniziazione cristiana, servono gli schemi, le tappe, le guide…, ma è fuori discussione che tutto ciò non funziona più come prima. La vera urgenza è quella di aiutare ciascun giovane a trovare la propria strada verso l’incontro con il Dio del vangelo, facendo memoria della fondamentale verità espressa da Benedetto XVI nella Deus caritas est: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».
Per la Pastorale giovanile vocazione non si tratta più della consegna di un pacchetto di dottrine e di istruzioni, valevoli per tutti e per ogni occasione dell’esistenza. È tempo, piuttosto, di invitare ciascuno a percepire l’amore di Dio e di accompagnarlo ad assumere lo sguardo di Gesù sulla propria vita, sul mondo e su Dio. Il tempo che viviamo ci offre un’inattesa opportunità. Con i giovani di oggi non c’è più bisogno di aver fretta. Si può concedere loro di far bollire le domande e i dubbi, di far decantare le loro precedenti attese deluse da parte della Chiesa, dei preti, di una certa immagine di Dio stesso; e di potersi aprire alla gioia del Vangelo.