La dichiarazione del card. Kurt Koch, a seguito della protesta e richiesta di scuse da parte del presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Bätzing, non è servita a ricomporre l’episodio né a riconciliare le parti. Anzi, ha gettato ulteriore benzina sul fuoco.
Il chiarimento di Koch
Proprio il passaggio che avrebbe dovuto servire ad attenuare la polemica ha finito, invece, per rilanciarla. “Non era mia intenzione ferire nessuno – scrive Koch. Sono semplicemente partito dal fatto che possiamo anche oggi imparare dalla storia, anche quando questa è difficile. Come mostra la forte reazione del vescovo Bätzing e di altre persone, devo constatare a posteriori che questo tentativo non mi è riuscito. E devo altrettanto constatare che il ricordo a episodi e fenomeni dell’epoca nazionalsocialista è ancora evidentemente un tabù in Germania”.
Proprio quest’ultima frase ha finito col confermare Bätzing nella pertinenza e legittimità della sua critica – espressa ieri in sede di conferenza stampa al termine dell’assemblea plenaria autunnale della Conferenza episcopale tedesca.
La replica di Bätzing
“La risposta data alla mia critica pubblica non posso accettarla in quanto non è sufficiente, perché il card. Koch in fin dei conti non si è scusato per la sua insostenibile espressione – anzi, l’ha addirittura peggiorata.
La seguente frase, nella dichiarazione di ieri sera, del card. Koch (“e devo altrettanto constatare che il ricordo a episodi e fenomeni dell’epoca nazionalsocialista è ancora evidentemente un tabù in Germania”) – ferisce ulteriormente. Infatti, egli suggerisce che noi in Germania non ci poniamo la questione della tremenda eredità del nazionalsocialismo.
Con fermezza rimando al mittente questa nuova insinuazione. Non siamo noi a creare un tabù, piuttosto – difronte alle vittime del nazionalsocialismo – è un tabù fare delle comparazioni tra il pensiero nazionalsocialista, che è la causa che ha prodotto queste vittime, e qualsivoglia pensiero di oggi”.
Quello che Bätzing richiede è una chiara distinzione fra il contenuto del documento di orientamento, preparato dalla presidenza del Cammino sinodale tedesco e votato a larga maggioranza dai partecipanti, e il regime di insinuazioni senza chiari e obiettivi riferimenti ai testi che accompagna gran parte delle critiche mosse al Cammino sinodale – sia da parte di alcuni episcopati sia da quella delle istanze vaticane.
“La ripetuta affermazione di un’assurda comparazione, che non rende ragione dei motivi teologici di fondo, ben calibrati, del testo di orientamento (sul quale si può assolutamente discutere in maniera obiettiva), non rappresenta per me alcuna scusa. Al contrario, la frase richiamata sopra risuona, nella sua ingenuità, sconcertante per un cardinale della Chiesa universale ancora in esercizio delle sue funzioni e riconosciuto a livello internazionale con i suoi innumerevoli contatti di lavoro e personali in Germania”.
Gnoseologia teologica
Sia la dichiarazione di Koch che quella di Bätzing procedono poi a chiarire quale sia la ragione del contendere, dando ognuna una propria visione del rapporto fra rivelazione e fonti epistemologiche della fede – dove, a ben guardare, quantomeno nell’impostazione metodologica di entrambi non è che ci siano poi tante differenze, e sicuramente non sono inconciliabili (ma appunto, per arrivare a un punto condiviso bisogna parlarsi senza avvolgere il tutto di insinuazioni francamente insostenibili o senza fondamento nei testi prodotti dal Cammino sinodale).
Sulla questione è intervenuto anche l’esegeta Thomas Söding, membro del Cammino sinodale tedesco che è stato anche membro della Commissione teologica internazionale. “Il mio punto è che Kurt Koch non ha percepito il modo in cui noi nel Cammino sinodale parliamo dei ‘segni dei tempi’ – insinuando un nostro adattamento al cosiddetto ‘spirito dei tempi’, senza vedere come ci poniamo criticamente rispetto alle manifestazioni del nostro tempo. Il cardinale non può rifiutare uno sviluppo della dottrina.
La Chiesa, però, non impara solo da se stessa. Impara cosa significhi partecipazione da una società democratica – anche quando avrebbe dovuto apprenderlo da lungo tempo dalla Scrittura e dalla tradizione”.
Scendendo poi nella materia oggettiva del contendere, ossia le fonti della rivelazione, Söding annota: “Il Cammino sinodale ha dei critici perché il magistero non viene visto come un’istanza di censura che infligge sanzioni disciplinari alla teologia, ma come un organo che apprende e che è vincolato alle persone – ossia al senso della fede del popolo di Dio.
La teologia può sempre pensare in alternativa, ma non possiede un magistero come i vescovi. Nella controversia giocano un ruolo anche le fonti della rivelazione. Le fonti della rivelazione, di cui chiede ragione il cardinale, sono un concetto che appartiene più a un modello di rivelazione dal carattere istruttivo-teorico e non comunicativo, personale ed ecclesiale – che è quello che si può derivare dal Vaticano II.
Per questo il documento di orientamento non utilizza questo concetto, e cita qua e là, per sviluppare le categorie adeguate, quanto è diventato comune nel lessico teologico come ad esempio il termine testimonianza. Vi è sempre un fattore di mediazione umano, sociale e culturale”.
Il tempo di Dio nei tempi della storia
Lo Spirito non è proprietà privata della Chiesa cattolica, ma circola anche nel mondo amato da Dio – e questo ha un fondamento biblico che si può trovare “nella teologia della Sapienza” (Söding). Gaudium et spes ha ricuperato questa dimensione sapienziale per il magistero e la teologia insieme, ma non ne ha chiarito i termini e la concettualità adatta.
Ed è proprio questo che cerca di fare il Cammino sinodale, sia nel testo base di orientamento sia negli altri documenti – e lo fa in un testo che è ecclesiale.
Da ultimo, si tratta di comprendere dove sta la Chiesa cattolica: in mera contrapposizione al mondo, chiusa in se stessa; o in uscita verso il mondo, come chiede papa Francesco? Uscendo da sé, la Chiesa impara in modo nuovo la propria fede e non reclama per sé un monopolio assoluto sul sapere della rivelazione.
Si tratta di una Chiesa “che è sempre in ricerca del Dio più grande che si mostra nei poveri, in coloro che vivono ai margini e nei dimenticati” di questo mondo (Söding).
Se i corridoi vaticani fossero in grado di deporre il loro affetto anti-germanico, allora ci sarebbe molto su cui discutere, insieme e in maniera costruttiva, a partire dal processo sinodale della Chiesa tedesca. Purtroppo, si tratta di un’occasione sprecata – con responsabilità da entrambe le parti delle Alpi; che rischia di impoverire anche il più ampio processo sinodale della Chiesa cattolica tutta.
Non abbiamo ancora capito, infatti, che la sinodalità è la forma della Chiesa che vuole tenere insieme i diversi – e non dichiarare l’ortodossia di alcuni e l’eresia di altri; perché si tratta di una ricchezza inscritta nelle righe stesse della scrittura evangelica di Dio.
Ma, forse, è proprio questo che temiamo: che anche l’altro abbia diritto di far parte a pieno titolo della comunità dei discepoli e delle discepole del Signore.
Rimarrà molto del cammino sonodale tedesco se il Vaticano deciderà di non scomunicare nessuno. Leone X e la curia romana pensavano che una volta scomunicato Lutero la questione finiva lì, invece la frattura rimane ancora ora. Se la scomunica avverrà la ferita sarà profonda ed insanabile e potrà provocare reazioni a catena anche in altre chiese locali. Se la scomunica non avverrà il cammino sinodale sarà proficuo. Al di là dei singoli temi trattati il tema fodamentale è se le chiese locali possano avere potestà decisionale almeno su alcune questioni. Il modello del cattolicesimo romano non può valere per tutti o quasi. Bisogna passare da un cattolicesimo romano a un cristianesimo cattolico, in cui vi sia la convivialità delle differenze.
Purtroppo se devo essere onesto, c’è una cosa che del Cammino sinodale tedesco mi sfugge (voi, in modo intelligente e sensibile ne avete dato conto nel vostro blog), al di là delle dichiarazioni verbali/piccate di certe prelati. La domanda che mi pongo è questa: che fine farà tutto questo intenso e bel lavoro fatto? Anche perché se il singolo vescovo può decidere di attuare o meno quanto emerso nel Cammino sinodale e condensato nei suo documenti finali – alcuni di questi documenti sono davvero interessanti!! – mi pare quasi scontato che in alcune diocesi (alcune?) questo Cammino diventerà un pallido ricordo. Tutto questo al netto degli screzi tra Roma e Germania che mi sembrano creati ad hoc per dare l’impressione che nella Chiesa ci sia un’eccezione tedesca.
Beh vedremo cosa ce ne faremo dei 5 anni di lavoro sinodale… Non so… Pur lavorando in uno dei tanti gruppi sinodali ho il presentimento che sia lavoro sprecato. A volte mi sembra che si butti via tempo e lavoro con grande facilità nella chiesa. Tanto ci pensará Dio a sistemare le cose.
Credo rimarrà più di quello che ci aspettiamo adesso. Innanzitutto la stessa esperienza sinodale, per come essa ha lavorato sulle persone e sui testi stessi (dalle prime bozze ai documenti finali si può cogliere come siano frutto di un confronto e di un lavoro condiviso tra coloro che erano pronti ad ascoltare le ragioni degli altri). Poi nelle singole Chiese locali, visto che i vescovi che hanno sinceramente aderito alla sinodalità come forma permanente della Chiesa non sono pochi. Ogni diocesi farà il suo cammino, troverà le sue forme, userà la sua immaginazione. Infine, la creazione di un Consiglio sinodale permamente a livello complessivo di Chiesa tedesca avrà, nel tempo, le sue ricadute.
Caro Marcello, Grazie! La reciprocità con cui Chiesa e Mondo si relazionano, chiesa locale e chiesa universale, “dentro” e “fuori” della Chiesa, è ciò che il Concilio Vaticano II ci ha trasmesso. Restare e trascendersi continuamente in questo processo è la Tradizione, “tradere”, trasmettere.