Per la Chiesa italiana il cammino sinodale voluto fortemente per lei da papa Francesco rappresenta un’opportunità che è anche un punto di non ritorno. Mancare l’appuntamento vorrebbe dire spegnersi nell’inerzia che l’avvince da tempo – e sono molti i modi perché questo possa accadere. Soprattutto per una Chiesa che ha temporeggiato per tutto il pontificato di Francesco, aspettando semplicemente che passasse via. Dei molti spazi che ha aperto per noi sono rimasti quasi tutti vuoti, senza inventiva pastorale e senza convinzione ecclesiale.
L’inerzia sembra essere la caratteristica della Chiesa italiana nell’ultimo decennio. Spaesata nei confronti dei processi di trasformazione che non riguardano solo la società civile, ma anche le forme del credere contemporaneo. Processi che sono in atto da più di mezzo secolo, a dire il vero.
Rispetto alla mentalità media che gira nel cattolicesimo di casa nostra il mondo del vivere quotidiano è oramai tutt’altra cosa. Abbiamo passato decenni a cercare di produrre in laboratorio un cattolicesimo che non esisteva più nella realtà. Salvo poi sorprenderci per l’afasia tra le pratiche ecclesiali e quelle del vivere comune della gente.
Stante questo iato, non si tratta più di aggiornare la Chiesa italiana ma di reinventarla. Il Sinodo iniziato, anche se pochi se ne sono accorti nelle comunità cristiane del nostro paese, non può essere un mero adeguamento dialogico delle strutture della nostra Chiesa a un orizzonte comunitario del pensare e vivere la fede in Italia. Non lo può essere, perché il parametro dell’adeguamento produrrebbe la semplice continuazione di un cattolicesimo sostanzialmente clericale – sia dei preti che dei laici.
Nonostante l’affaticamento strutturale della Chiesa italiana, il cui specchio è la Conferenza episcopale e la sua inerzia che si rivela nell’andare al traino quando non è più possibile stare fermi, il cattolicesimo di casa nostra conosce ancora delle vivacità significative che rendono la fede contemporanea ai vissuti della gente.
Comunità, parrocchie, gruppi, associazioni, esperimenti, diffusi sul territorio del paese – che però non si conoscono vicendevolmente e non si frequentano reciprocamente. Per molte ragioni. Questo sparpagliamento insulare del meglio che il cattolicesimo italiano sa oggi offrire, potrebbe essere un buon punto di partenza per il Sinodo della nostra Chiesa.
Esso dovrebbe diventare l’occasione per connettere tra loro queste pratiche del credere nel contesto civile dell’Italia di oggi. Non abbiamo bisogno di grandi programmi che scendono dall’alto, ma di uno sforzo federativo che faccia da volano a quanto di buono si trova disperso sul territorio del nostro paese. Immaginando una leadership diffusa e variegata, ma non insulare e biografica. Cercandola ai margini delle forme istituzionali che abbiamo ricevuto dalla stagione conciliare.
Così che queste esperienze possano uscire dalla culla sicura in cui sono sorte e portano frutto. Metterle insieme significherebbe anche alleggerirle del senso di solitudine pioneristica che spesso le contraddistingue, permettendo una circolazione di pratiche della fede che potrebbero rimodularsi in maniera variegata a secondo dei contesti e delle situazioni locali.
Insomma, il Sinodo della Chiesa italiana dovrebbe essere l’occasione per uscire da un provincialismo che rischia di essere dispersivo per il cattolicesimo odierno. Vivere di orizzonti più ampi è ciò che potrebbe rilanciarlo, anche in condizione di minoranza civile e culturale.
L’associazionismo del XX secolo, soprattutto a cavallo delle due guerre, ebbe il merito di creare una dimensione europea, internazionale, del cattolicesimo – senza la quale, molto probabilmente, non avrebbe visto la luce il progetto politico europeo che ha condotto il nostro continente fuori da un’inimicizia belligerante secolare.
Questo afflato e questi più ampi orizzonti di allora sono una lezione dalla quale possiamo ancora apprendere, sulla quale vale la pena di investire risorse, persone, strutture, in un progetto a lungo termine. Chiunque sia il papa, perché il futuro della Chiesa, anche di quella italiana, non si gioca più tutto lì.
Io credo che senza un cambio strutturale non possa davvero nascere qualcosa di nuovo.
Caro Pietro (potresti mettere anche il tuo cognome … di cosa hai paura?), una vero cambiamento è non solo nelle strutture, ma anche nelle persone. Conversione è in greco meta-noia… partire dal nostro modo di vedere, di giudicare, di pensare. Perché strutture “nuove” e persone “vecchie” non servono a nulla!
Rispondendo ad entrambi la conversione, cioè cambiamento di pensiero, implica sia un nuovo modo di vedere la realtà secondo il vangelo sia a livello personale che comunitario. La storia ben dimostra che entrambi sono necessari e l’uno non esclude l’altro. Esempio non basta che una persona si converta dagli abusi sessuali, di coscienza, di potere ed economici ma è doveroso che la comunità metta in atto tutte quelle azioni tali da prevenire tutti i tipi di abuso. Ora come ora la conversione sia personale che strutturale è necessaria ed urgente.
Concordo pienamente. Leggi se vuoi cosa ho scritto nel mio blog e credo ti troverai d’accordo con me. Grazie!!!
Mi pare che in tutto questo parlare di riforme, di strutture, di persone, di modelli, di progetti ecc. ecc. per aggiornare o reinventare la Chiesa italiana si dimentichi proprio Colui che della Chiesa è l’anima e quindi il protagonista di ogni rigenerazione: lo Spirito Santo. Sembra che tutto debba dipendere da noi. Abbiamo bisogno, invece, di una nuova Pentecoste. Se invece di consumare tante energie in discussioni, documenti, programmazioni, riunioni su riunioni ecc. dedicassimo un anno sabbatico/santo a invocare lo Spirito, ascoltare ciò che dice alla Chiesa (anche mediante la Parola di Dio) per essere da Lui ricaricati, illuminati e corroborati, penso che i frutti sarebbero decisamente migliori.
Caro Marco – potrebbe anche indicare il suo cognome …. di cosa ha paura? – l’idea è interessante. Un bel anno sabbatico per risintonizzarci come Chiesa italiana sulle frequenze giuste, smettendola di produrre documenti ed elaborare programmi che poi non servono a molto. Il punto però, come il libro degli Atti degli Apostoli (la Parola di Dio che lei cita) insegna, è questo: lo Spirito Santo ci spinge ad agire, ad uscire dalle nostre tane, a percorrere strade non battute (Filippo e l’eunuco per esempio) per portare a tutti Cristo. Invocare lo Spirito Santo per rimanere fermi, per rimanere immobili, lì dove si è con le proprie idee e/o convinzioni, con i propri schemi è demoniaco, non cristiano!
Caro Fabio, mi è difficile immaginare che lo Spirito Santo, se invocato con fede ed accolto con docilità, ci lasci fermi e chiusi nei nostri schemi. A Pentecoste, dopo aver ricolmato di sé i discepoli, li indusse a spalancare le porte del Cenacolo per annunciare a tutti, con la potenza della Parola e i segni e prodigi che la accompagnavano, le grandi opere di Dio. Ed è ancora lo Spirito che tocca i cuori (” si sentirono trafiggere..”) cioè li apre all’accoglienza della salvezza.
Caro Marco, credo di poter dire che diciamo la stessa cosa e condividiamo la stessa idea. Grazie comunque!!
La Chiesa fa un sinodo o un concilio quando c’è qualcosa da discutere e da cambiare, ma se non si vuole cambiare nulla o un sinodo/concilio non lo si convoca o o lo si fa naufragare. I vescovi non vogliono aprire i propri archivi per far emergere i casi di pedofilia, che ogni diocesi sicuramente ha avuto in 70 anni. Se la chiesa non fa i conti con il proprio passato non può andare avanti nella storia. Se la chiesa italiana prendesse coscienza di tale fenomeno molte cose cambierebbero sia all’interno con una struttura più sinodale e sia all’esterno con un approccio più inclusivo.
“Stante questo iato, non si tratta più di aggiornare la Chiesa italiana ma di reinventarla”: non posso che concordare pienamente con l’affermazione che trovo corretta al 100%. Non condivido invece quando lei, p. Marcello, parla di vivacità di alcune esperienze. Se ci sono, 1) quali sono?, 2) cosa fanno? A me pare di notare un po’ dovunque esperienze simili (chi copia chi?)… insomma la solita minestra – la minestra è buona per carità! – riscaldata. Mi pare di vedere persone che sono a capo di queste esperienze, alle quali a lei allude, malate di protagonismo, desiderose, se non ossessionate, di occupare spazi e non preoccupate di generare processi di cambiamento (cito Evangelii gaudium di papa Francesco). Forse ho un difetto ottico e per questo chiedo perdono, certo della sua misericordia, caro p. Marcello.
Credo che più che non esserci, non si vedono più di tanto. A me è capitato di incontrarle sul territorio del nostro paese e della nostra Chiesa. Penso, ad esempio, alla fraternità di Pavia, composta da laici, religiose e preti, e accompagna i carcerati verso il reinserimento nella vita quotidiana. Oppure quanto fa la facoltà teologica di Palermo, con un master congiunto con l’università. Poi ci sono parrocchie che hanno una distribuzione diffusa della leadership compartecipata, come quella di Bologna dove faccio la lectio. Vero è che tutti questi percorsi non incidono sulle strutture diocesane: sono possibili ma non li si coglie come risorse innovative.
La ringrazio per la sua lettura e per il lavoro di informazione che fa col suo blog. Marcello Neri
La ringrazio io per avermi risposto. Se mi posso permettere, sarei davvero contento se qualcuno -lei sicuramente ha “titoli” per farlo dato che le conosce – ne parlasse. Su queste esperienze innovative, sugli aspetti positivi e negativi che ci possono essere, è giusto che si alzi un velo. Chi meglio di questo blog può farlo? Dopo aver letto la sua risposta, sono davvero curioso di conoscerle e come me, penso, ci siano altri.
Una di queste esperienze è Alpha course, corsi di prima evangelizzazione nati in inghilterra 30 anni fa e ora diffusi in tutto il mondo. Ho partecipato ad uno on line e devo dire che è stata un’esperienza illuminante e ne ho visto le potenzialità per rinnovare le nostre comunità cristiane come spiega bene James mallon nel libro Sblocca la tua parrocchia Messaggero editore, dove alpha diventa lo strumento per inziare un cammino di fede che va oltre. James mallon è fondatore de Il divino rinnovamento. Sul canale youtube di Alpha italia trovate dei video interessanti su tutto questo. c’è poi Missione Emmaus che lavora non solo a ripensare la pastorale ma attivamente aiuta diocesi ( vedi Verona) e comunità a ripensarsi e rinnovarsi. Il mio augurio è che il sinodo nazionale sia l’occasione per dare una mossa alla nostra chiesa e certamente dobbiamo invocare lo Spirito Santo affinchè ci sia una nuova pentecoste Saluti
Grazie!!!!!!!!
Più che di nuovi progetti e di nuove strutture, la Chiesa italiana avrebbe bisogno di nuove persone, a partire forse da quelle poste ai suoi vertici. Ma per fare questo occorerebbero da parte della società ecclesiale nel suo insieme una miscela ddi determinazione evangelica, visione culturale di ampio respiro e tempo. Altrimenti si corre il rischio di persistere in quel “gioco di rimessa” che sembra essere uno dei tratti tipici della Chiesa nei confronti della realtà/società italiana
non avrebbe visto la luce il progetto politico europeo che ha condotto il nostro continente fuori da un’inimicizia belligerante secolare
sarà che sono di parte perchè ho frequentato per lungo tempo dei serbi, ma mi sembra che il casino jugoslavo con le guerre e i massacri risultanti sia stato fortemente incoraggiato dagli stati della nascenda Unione Europea, grazie a cose come il Comitato Badinter che diede per morta la Jugoslavia, il riconoscimento prematuro e immotivato di Slovenia e Croazia che rese più radicali le parti, i piani di spartizione della Bosnia che incoraggiarono le pulizie etniche etc
questo messianismo verso l’Unione Europea è ridicolo