Qualche giorno fa, nel sito della Conferenza episcopale italiana, è stato pubblicato il testo della “Sintesi nazionale della fase diocesana” del Sinodo. Rileggendo il brano più volte, si rimane delusi da una sintesi che tale non sembra.
Eccettuati alcuni dati numerici (50.000 gruppi sinodali, 200 sintesi diocesane, 19 le proposte di altri gruppi, per un totale di 1.500 pagine, con la partecipazione complessiva di mezzo milione di persone), l’analisi è stata condensata in 10 nuclei di «varietà di accenti e sensibilità nella Chiesa»: 1. Ascoltare, 2. Accogliere, 3. Relazioni, 4. Celebrare, 5. Comunicazione, 6. Condividere, 7. Dialogo, 8. Casa, 9. Passaggi di vita, 10 Metodo.
I dieci ambiti
In ogni capitolo è suggerita una descrizione generica delle varie problematiche.
Per l’ascoltare, si indica «la necessità di porsi in ascolto dei giovani, delle vittime degli abusi sessuali, di tutte le forme di ingiustizia, della criminalità organizzata».
Per l’accogliere, «si riconosce il bisogno di toccare tutte le ferite e dare voce a questioni che spesso si evitano. Tante sono le differenze che oggi chiedono accoglienza i giovani… gli anziani… persone separate, divorziate, vittime di scandali, carcerate… le persone Lgbt…».
Per le relazioni, è suggerito che esse «hanno bisogno di tempo e di cura costante. … L’incontro con le persone non va vissuto come un corollario, ma come il centro dell’azione pastorale».
Per la celebrazione, l’appello è alla parola di Dio, all’eucaristia, anche se «si registrano una distanza tra la comunicazione della Parola e la vita, una scarsa cura della celebrazione e un basso coinvolgimento emotivo ed esistenziale».
Per il condividere, «la corresponsabilità appare come il vero antidoto alla dicotomia presbitero-laico. La Chiesa appare troppo “pretocentrica” e questo deresponsabilizza… L’emarginazione dei laici riguarda prevalentemente le donne… Particolare attenzione va riservata a religiose e consacrate, che spesso si sentono utilizzate soltanto come manodopera… Si registra il mancato o inefficace funzionamento degli organismi di partecipazione: diverse comunità ne sono prive, mentre in molti casi sono ridotti a formalità, a giustificazione di scelte già definite».
Per il dialogo, dopo l’invocazione a lasciarsi coinvolgere dal Vangelo si suggerisce «il dialogo intergenerazionale, l’incontro tra diverse culture, la crisi della famiglia, la giustizia, la politica, l’economia, gli stili di vita, la pace, il disarmo…». La comunità cristiana «spesso appare afona, chiusa, giudicante, frammentata e poco competente».
Per il nucleo della casa, «più che una casa, la comunità viene pensata come un centro erogazione servizi, più o meno organizzato, di cui si fatica a cogliere il senso… Le comunità ecclesiali rischiano l’autoreferenzialità e la chiusura».
Nei passaggi di vita si evidenzia «una richiesta condivisa di ripensare i percorsi di accompagnamento perché siano a misura di tutti: delle famiglie, dei più fragili, delle persone con disabilità e di quanti si sentono esclusi».
Per il metodo, si fa notare che «la varietà dei metodi e degli strumenti rappresenta una ricchezza. Si sottolinea il metodo della “conversazione spirituale”».
La mancata sintesi
Dopo l’esame dei dieci ambiti di analisi, era logico attendersi una sintesi di priorità che però non è stata proposta.
La domanda è il perché del silenzio: le ipotesi sono diverse. Forse non c’era la legittima autorevolezza di qualcuno per farla? Troppe sintesi di sintesi (Gruppo diocesano, Gruppo di coordinamento nazionale, verifica da parte della CEI? Difficoltà di metodologia di lettura e di interpretazione?).
È indubbiamente difficile sintetizzare materiali di 1.500 pagine, ma una consultazione non può essere lasciata senza l’esame globale da parte di qualcuno che abbia conoscenza, competenza e autorevolezza.
Il linguaggio usato nella consultazione ondeggia tra il sociologico religioso, quello biblico, liturgico, pastorale comprensibile solo dal clero (non tutto).
Il ricorso (improprio) allo Spirito Santo, la conversazione spirituale, la mistagogia e la parresia, il giro di parole («non è risultata scontata la sintonia tra le modalità ordinarie di esercizio del ministero episcopale e l’assunzione di uno stile permanente sinodale»), la chiusura, la definizione di «bolle», gruppi autoreferenziali nascondono l’origine clericale dell’autore (o degli autori) della sintesi.
Per stringere molto in modo comprensibile: i fedeli cristiani (la Chiesa) d’Italia sembrano:
- essere lontani dalla vita delle persone, soprattutto marginali o irregolari
- non aver un progetto di proposta missionaria futura
- registrare difficoltà nell’organizzazione interna.
La relazione rimane sul generico anche per il futuro: «Le Chiese in Italia approfondiranno la fase di ascolto, prestando particolare attenzione a crescere nello stile sinodale e nella cura delle relazioni, a sviluppare e integrare il metodo della conversazione spirituale, a promuovere la corresponsabilità di tutti i battezzati, a snellire le strutture per un annuncio più efficace del Vangelo».
Poiché il progetto in Italia è lungo nel tempo, prevedendo la fase narrativa (fino al 2023) quella sapienziale (2023-2024) e quella profetica (2024-2025), la speranza è che il tutto non si riduca a parole.
Alcuni interventi di orientamento e di decisione potrebbero già esser fatti: nel 2025 il mondo che ritroveremo sarà diverso da quello odierno; auspicare le riforme senza attuarle significa non avere la volontà e la forza di farle.
Una strada
La nostra gente vive la propria esistenza in quattro grandi riferimenti: il mondo umano, il mondo spirituale, quello religioso e, infine, quello cristiano. I modelli si sovrappongono e, spesso, sono confusi. Ad ogni evento importante della vita, le emozioni, le riflessioni, le aspirazioni e, soprattutto, le conclusioni sono diverse.
In alternativa allo schema classico deduttivo delle verità di fede è utile appellarsi, in analogia, alla gerarchia delle verità di cui parla il decreto sull’ecumenismo (n. 11) del Concilio Vaticano II.
La religione non può essere percepita solo come culto: la «società cristiana» è terminata da molto tempo; insistere con le vecchie strutture, i vecchi riti e i vecchi linguaggi interessa sempre di meno e riguarda in prevalenza gli anziani.
Prendersi cura delle persone, attenti alla loro dimensione umana, per alimentare quella spirituale e, infine, religiosa e cristiana, è l’unica strada da percorrere in un mondo globalizzato dalle molte culture.
Il cristianesimo smette di essere marginale per ritornare ad essere la religione che rispetta libertà e verità: a partire dall’umanità per viaggiare verso le aspirazioni profonde dell’infinito e dell’immortalità.
D’altra parte, i sacramenti, che ritmano i tempi importanti della vita, sono occasione di contenuti sostanziali per il senso del vivere.
Si troverà così, per chi vorrà, il Dio che il Signore Gesù ha rivelato.
Non so se la sintesi italiana sia davvero una sintesi, o come dice don Vinicio, una non-sintesi, o come è stato detto dal Sinodo dei vescovi, una sintesi aperta. A me pare, leggendo e rileggendo il documento italiano, un’iniziale (sottolineo iniziale) presa d’atto dell’inefficacia – un conto è l’efficacia, un conto è l’efficienza! – di un certa linea pastorale adottata da alcuni decenni.
‘si registrano una distanza tra la comunicazione della Parola e la vita, una scarsa cura della celebrazione e un basso coinvolgimento emotivo ed esistenziale’
è un problema denunciato da decenni, e da decenni non si sono fatti passi avanti per risolverlo.
e lo stesso si può dire di tanti altri problemi citati nel documento
Ringrazio l’articolo di V. Albanesi con cui sono consonante, ma un articolo di Avvenire di Sabato 27 dice che sono state coinvolte circa 20 milioni di persone, tra cui non la sottoscritta, avanti negli anii, ma capace di render conto della propria fede in tutti i sensi: uno veramente si sente escluso!
Con i dati do Albanese uno si sente più normale: il mio parroco, ma non è senz’altro il solo, convoca di più per il passaggio di una statua o di reliquie che non per cogliere e tenere in conto i diversi modi di vivere la fede. Ma a parte questo esempio limitato, già chiedevo al mio parroco precedente: quale cristiano vuoi formare? Ora lo chiedo alla Chiesa italiana! Ovviamente c’è chi ha fatto una bella espereinza di partecipazione, ma gli altri? le relazioni chi le cerca? Si può per esempio dire che il battesimo non si nega a nessuno, neppure ai figli di non credenti…e poi di quella famiglia non ci si occupa più, anche se ai figli si fa la prima e quasi l’ ultima comunione perchè si fa anche la cresima sempre senza mai contattare personalmente la famiglia. Anche questa è chiesa italiana…..e il Sinodo senza che nessuno lo curi nelle periferie non la tocca e cresce l’abisso tra credenti.
Il documento successivo alla sintesi cioè Cantieri di Betania contiene delle priorità. Si può discutere se la scelta delle priorità è stata sinodale visto che l’hanno fatta i vescovi
“Prendersi cura delle persone…….è l’UNICA STRADA da percorrere… ” . L’analisi del lavoro sinodale compiuto dalla Chiesa italiana è condivisibile, ma la perentorietà della proposta conclusiva suscita molta perplessità. E’ comprovato che “altre” strade siano infeconde? La complessità del cambio d’epoca suggerisce di evitare ogni semplificatoria unilateralità.