La 100ª assemblea dell’Unione superiori generali (USG) in forma congiunta con l’Unione internazionale superiore generali (UISG) ha visto la partecipazione di 237 membri. A tema: “Sinodalità. Un rinnovato appello alla profezia della speranza” (Sacrofano, Fraterna Domus, 22-24 novembre 2023).
Il confronto ha messo in luce la significatività dell’esperienza sinodale, le sfide per la vita consacrata, i segni di speranza presenti nella società e nella Chiesa.
Una foto per inquadrare l’evento
Diamo spazio alla significatività dell’esperienza sinodale mettendo il rilievo alcune istantanee consegnate da chi vi ha partecipato. Il lavoro del Sinodo è stato vissuto nell’ascolto dello Spirito e nel tentativo di discernere gli spiriti. Questa “conversazione nello Spirito” ha dato luogo a esperienze preziose: si è imparato ad ascoltare, a rispettare la diversità delle opinioni, a sopportare il dissenso.
Per essere umani e cristiani si è invitati a camminare incessantemente, camminare con gli altri e sulla buona strada, sulla Via che è Gesù, modello dell’essere umano. Non solo i cristiani, ma tutti gli esseri umani devono camminare incessantemente, e non solo o principalmente per raggiungere obiettivi specifici, ma perché «il modo umano di essere è essere facendosi», così p. Arturo Sosa (preposito generale della Compagnia di Gesù).
Si cammina verso la “terra promessa”, annunciando la Buona Novella della presenza tra noi della possibilità del Regno di Dio. Dal cammino fraterno nasce l’ascolto, la parola, il dialogo; si impara a decidere e a valutare insieme, a elaborare problemi, a celebrare i successi e la vita condivisa e, di conseguenza, la comunione.
Il Vaticano II e il Sinodo 2023
Il Sinodo è stato anche un passo importante per conformarsi all’ecclesiologia del Vaticano II che rimane un punto di riferimento. Sorpresa: tra i partecipanti al Sinodo si è percepita una scarsa conoscenza di quell’evento ecclesiale. In positivo, si può dire che il processo sinodale aiuta a conoscere il Vaticano II e a metterlo in pratica.
Il confronto con il Vaticano II (1962-1965) è inevitabile e persino salutare, ma va posto con attenzione. Il Sinodo è partito con uno svantaggio enorme. Il Concilio aveva alle spalle centocinquanta anni di ricerca teologica straordinaria e di risveglio spirituale e liturgico impetuoso. Aveva accumulato le esperienze e la cultura di un cattolicesimo politico finalmente non confessionale. La fede e la Chiesa furono chiamate a scegliere la strada difficile di una fedeltà in tempi nuovi e diversi, senza rancori e senza timidezze.
Il Sinodo non ha alle spalle nulla del genere. In questo periodo la teologia ha vissuto una stagione più povera, la vita ecclesiale è stata ferita non solo dalle prove dei tempi, ma anche dall’aver tentato strade movimentiste, neoclericali o di gestione di pastorali vecchie e già ampiamente fallite. Alla disciplina della libertà sono stati sostituiti spesso il narcisismo ecclesiastico e il carrierismo.
La sinodalità è un’espressione della natura della Chiesa, della sua forma, del suo stile e della sua missione. È un’opportunità per creare una Chiesa in cui le persone possano di nuovo sentirsi a casa, una comunità di fede in cui tutti siano coinvolti e dove le persone si conoscono e dialogano tra di loro, anche sui temi più problematici (suor Patricia Murray, Istituto della Beata Vergine Maria – Loreto).
Ci si è anche accorti che il Sinodo è un organismo di silenzio e di parola, poco allenato sia ad ascoltare sia a parlare, un organismo che ha sempre bisogno di esercizio e di correzione, anche nell’informazione. Leggendo giornali o articoli di riviste cattoliche e non, «spesso non riconoscevo il Sinodo di cui facevo parte. Molte affermazioni e commenti negativi, spesso frammentari e distorti, non erano affatto la mia esperienza» (fr. Mark Hilton, generale dei Fratelli del S. Cuore).
Discussioni ad ampio raggio sulle questioni delle votazioni hanno occupato molto tempo secondo i giornali; in realtà, non c’è stato nulla di tutto questo. I membri del Sinodo si sono mostrati aperti, desiderosi di condividere e disponibili ad ascoltare con rispetto, anche quando c’erano disaccordi. Sì, ci è voluto tempo, impegno, un ascolto intenzionale per trovare la strada da seguire, i partecipanti erano lì per servire la Chiesa, per portare avanti un processo e lo hanno fatto con tutto il cuore.
Aspetti importanti
L’aspetto più importante di questa sessione sinodale non sono stati anzitutto i contenuti ma il contenitore, cioè quell’assemblea nello stesso tempo convocata e mandata. Convocata dal papa e mandata a Roma dal mondo intero, da tutte le Chiese, per vivere questa esperienza.
La pratica sinodale non è nuova alla vita consacrata perché fa parte del suo modo di procedere per capitoli generali o provinciali, assemblee consultive, riunioni di consultazioni a diversi livelli. Ma è anche vero che la vita consacrata deve mettersi continuamente in ascolto della parola di Dio, in ascolto di fratelli e sorelle, dei poveri e degli emarginati, dei carismi e dell’esigenza che siano aggiornati nel tempo e, insieme, discernere la volontà di Dio.
Le persone in povertà devono essere protagoniste dell’azione della vita religiosa. Essere nelle periferie è un’esperienza di fede, non è un optional. La Chiesa dovrebbe sviluppare un orientamento di servizio più forte in favore dei poveri.
“Mutuae relationes” da rivedere
Il capitolo sulle donne è importante. Nel cammino della vita consacrata si sente il bisogno di un rinnovamento culturale per la valorizzazione e la partecipazione di tutti. In tal senso, sono state avanzate nel corso dei lavori più di 80 proposte, ma solo una ha sottolineato l’urgenza di un coinvolgimento. Per questo è necessario rivedere e riesaminare le relazioni tra vescovi e religiosi in vista di una migliore collaborazione e mutua assistenza nella missione attraverso la revisione del documento Mutuae relationes.
Come pure diventa importante, in ambito femminile, la rifocalizzazione del ministero diaconale, nell’esercizio della carità.
Clericalismo e autoritarismo portano all’abuso di potere ad intra e ad extra nelle comunità e portano all’esclusione.
La vita religiosa esercita la propria missione nella Chiesa mediante l’esercizio del proprio carisma. Spesso possono insorgere malintesi legati al modo in cui le autorità ecclesiastiche comprendono la vita religiosa, volendo comunità a loro servizio e considerandole come mano d’opera o come lavoratori volontari, svolgendo servizi che non rispondono ai propri carismi e doni. Coniugare esigenze carismatiche e servizio alla missione della Chiesa rimane una sfida e richiede ascolto e discernimento reciproci.
È vero che esistono anche movimenti o associazioni con tendenze a rinchiudersi in sé stessi, agendo come entità non ecclesiali, camminando parallelamente alla Chiesa e divenendo ostacolo alla comunione. Per non ripetere queste deformazioni, è necessario iniziare nelle congregazioni uno stile di leadership sinodale in cui ogni voce conta. Occorre ridurre la struttura gerarchica e sviluppare una forma di leadership più circolare e partecipativa.
La pazienza dell’attesa
Illuminante, perché ha il sapore di un testo pregato, è stato l’intervento di padre Mauro Lepori (abate generale dell’Ordine cistercense). Ha rimarcato che i giorni di Esercizi che hanno introdotto la Sessione del Sinodo hanno aiutato a riconoscersi come assemblea ecclesiale. A capire cioè che l’orecchio per ascoltare e la bocca per parlare sinodalmente erano tutte le presenze riunite, era un “noi” in silenzio e in parola.
A volte si aveva l’impressione di avanzare nella nebbia. Allora cresceva il bisogno di essere confermati nella fede. In alcuni momenti l’ascolto non era veramente aperto, disponibile, senza pregiudizi e senza critica: “Ma spesso la mia parola era poco chiara, non approfondita, non abbastanza meditata. Spesso avrei voluto che il Sinodo si fermasse, che potessimo fermare il tempo, per meditare, per magari anche studiare, per approfondire. Mi sembra che sentire questo è un buon segno che il Sinodo sta dando frutto, non tanto in quello che si produce, ma nella terra che l’esperienza sinodale sta arando, liberando dalle pietre e dalle erbacce, per poi accogliere il seme che Dio vorrà seminare”.
Forse si dovrebbe avere la semplicità di dire queste cose, di perdonarsi il fatto che non si sta ancora dando i frutti che si vorrebbero portare ed esporre al “mercato” delle comunità o dei media per guadagnare la loro approvazione. Non si può ancora dare frutto, non perché si è pigri, ma perché si sta facendo ancora un lavoro apparentemente poco interessante, umile e nascosto: “stiamo zappando la terra, e magari stiamo concimandola con il letame di tanti contenuti “marciti”.
Si innesta su queste sottolineature la chiusura della relazione di sintesi del sinodo: “Per annunciare il Regno, Gesù ha scelto di parlare in parabole. Ha trovato nelle esperienze fondamentali della vita dell’uomo le immagini per rivelare il mistero di Dio. Così ci ha detto che il Regno ci trascende, ma non ci è estraneo. O lo vediamo nelle cose del mondo o non lo vedremo mai. In un seme che cade nella terra Gesù ha visto rappresentato il suo destino.
Il contenuto di un Sinodo, in fondo, è la speranza, e il contenitore di questo contenuto è una fiducia condivisa che aiuta a camminare insieme. Il contenuto del Sinodo è l’umanità intera che ci appartiene perché appartiene a Dio.
Tratti qualificanti
Non si è messo in secondo piano il punto in cui si fa riferimento ad alcune questioni, come quelle relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale, al fine-vita, alle problematiche difficili, che risultano controverse non solo nella società, ma anche nella Chiesa. Sebbene la sintesi non parli di diversità di genere, ci sono allusioni indirette sulla dualità antropologica. Si rileva che le sole categorie antropologiche non sono in grado di cogliere le sfumature della realtà. In tal senso, è importante prendersi del tempo per non cedere a giudizi semplicistici.
Insieme alle numerose sollecitazioni che abbiamo provato a condensare in tratti qualificanti, riprendiamo alcune reazioni che sono pervenute dai 30 tavoli dell’assemblea. Diamo conto senza ordine di importanza, ma proviamo a cogliere il sentire dei partecipanti.
- La sfida della sinodalità deve svilupparsi nelle comunità.
- Tante espressioni devono essere riformulate per diventare concrete: non basta dire: “siamo profetici”. Il profetismo fa correre rischi, fa traballare molte sicurezze.
- Tante questioni sollevate attorno alle donne sono problematiche che il mondo maschile ha verso le donne. Occorre pensare quali strutture devono cambiare perché ci sia più comunione nel lavoro e nella missione.
- La sinodalità è una sorta di eucaristia, ci ricorda cosa c’è al centro della nostra vita.
- La questione della cultura deve entrare nel nostro sangue, altrimenti la sinodalità non può funzionare.
- Ci sono nelle comunità religiose ritmi diversi che vanno contro la sinodalità, è necessario equilibrare i ritmi.
- Non si è esperti di comunione, è quello che si dovrebbe essere. Quello che si è raggiunto è stato frutto della disciplina, costretti ad affrontare le differenze in un clima di condivisione che non è connaturale.
- La profezia cristiana è la testimonianza che Cristo è presente. A volte non si sa dove si sta andando e poi appare Cristo Gesù e dà una risposta.
- È importante lavorare non sull’uguaglianza, ma sulla complementarietà perché si ha bisogno tutti gli uni degli altri.
I segni di speranza
La struttura gerarchica piramidale con il Sinodo si è aperta in un cerchio, questo è un sicuro segno di speranza. In troppe occasioni si è polarizzata la vita della Chiesa in un confronto destra/sinistra. La polarizzazione è un tentativo di semplificare la complessità. Si è cattolici, universali, ed è possibile sentirsi come un ombrello largo che può consentire differenze di riti e di modi di vivere.
Sull’abbrivio di queste considerazioni il generale dei Carmelitani fr. Miguel Marquez ha portato l’assemblea a condividere i sentimenti riguardo alla speranza, in un luogo di silenzio fecondo, il seno, il grembo materno, dove nasce la vita. Ogni tomba è come un grembo per la vita oltre. Giovanni della Croce dice che Dio ci ama con l’amore che ha per Sé, perché ci ama “dentro di sé”.
Non si devono aspettare tempi migliori. Siamo nei tempi più opportuni. Con l’enorme responsabilità di discernere, compiere passi coraggiosi e assumersi dei rischi. La vita religiosa ha fatto molti pasticci negli ultimi tempi, ma è stata anche eroica e seme del Vangelo. D’altra parte, non bisogna dimenticare che, ogni volta che si vuole essere i salvatori e ci si vanta di essere la Congregazione che va bene o di essere i più autentici, si perde il terreno fertile e prezioso dell’umiltà, dove può nascere il sogno di Dio.
Raccolta dei frutti
A conclusione delle giornate, attraverso una veloce ed efficace indagine, i 30 tavoli sono stati invitati a indicare cosa poter fare per rinsaldare la collaborazione tra le due unioni USG e UISG:
- Lavorare insieme per la pace, pregando e attivando iniziative (4 tavoli)
- Promuovere la formazione alla sinodalità (12 tavoli)
- Dialogare tra i carismi (9 tavoli)
- Creare spazi di cura per le fragilità di oggi (4 tavoli)
- Collaborare per l’educazione (2 tavoli)
- Valorizzare il cammino intercongregazionale (17 tavoli).
Più concretamente e nell’immediato, per orientare le relazioni tra la vita religiose e le altre istanze nella Chiesa, p. Arturo Sosa si è impegnato a creare una commissione tra le due Unioni (USG e UISG) che in breve tempo possa preparare e presentare una proposta di orientamento direttamente al Papa.
La ricchezza di stimoli ha fatto sentire i partecipanti in una sensazione di consolazione e pace interiore.
Non c’è dubbio che in questo particolare momento la Chiesa abbia bisogno della testimonianza della vita consacrata, non solo nelle nuove chiamate alla missione del nostro tempo, ma forse ora più che mai, per il valore della proposta di un modo di essere insieme, di pregare, di discernere, di rispondere insieme alla missione.