Una società in cui la rivendicazione dei diritti ha assunto la forma di una sacralità intangibile, mentre l’esercizio dei doveri è abbandonato al potere coercitivo delle istanze pubbliche, ha già poche possibilità di mantenersi a un livello decente di coesistenza fra i molti in condizioni normali, ed è probabilmente destinata a soccombere in un contesto come quello odierno.
La macchina funziona a tutti i livelli della nostra società – nel privato e nel pubblico. Abbiamo assistito allo spettacolo un po’ desolante di uno scollamento strillato ai quattro venti fra istituzioni centrali dello stato e quelle regionali. Sotto silenzio sta passando la sua speculare applicazione sul territorio, dove il livello inferiore di intervento nella socialità condivisa si trova lacerato fra una normativa di cui deve farsi completamente carico, senza sostegno di quello superiore, e l’indisponibilità di ampie fette della cittadinanza a recedere anche solo di un passo rispetto a quello che li spetta come «prima».
Il rischio di un collasso dei servizi alle persona, in particolare dei soggetti più deboli della nostra società, si paventa come possibilità sempre più concreta – a detrimento di tutti: dal pubblico, che impone un dovere che assomiglia molto alla dismissione di una responsabilità collettivamente condivisa; ai privati, che presto si accorgeranno che, così facendo, non avranno più porte a cui bussare per far valere l’intransigenza dei propri diritti e la necessità dei propri bisogni.
La cura dei corpi intermedi dovrebbe essere nell’interesse di tutti, ma rimane travolta dalla scollatura civile tra doveri e diritti dalla quale ognuno cerca di trarre un qualche residuale profitto a proprio uso e consumo. Ognuno pronto, comunque, a riversare su altri il prezzo della responsabilità sociale che tiene insieme la coesistenza umana.
Il gioco sconclusionato di rivendicazione e promessa rischia di chiudersi con un rosso in bilancio catastrofico per gran parte della cittadinanza, e con un attivo vertiginoso per i pochi che potrebbero farne anche a meno (in termini di reale necessità). La ricerca del capro espiatorio è solo una favola che ci raccontiamo per non ammettere a noi stessi che, di tutto questo, siamo non meno responsabili di quanto lo siano i nostri governanti. Qualcuno pagherà, così ci diciamo – ma sarà l’unica, amara gioia consentita a tutti coloro che avranno comunque perso, non senza colpa propria. Ossia la larga parte di noi.
L’idolo dell’individualità ad ogni costo rivendica il sacrificio non solo dei legami sociali, ma anche del singolo stesso che si è prosternato in adorazione della sua spettrale forza di fascinazione. Così, mentre ci si immola sull’altare della rivendicazione intransigente di ogni possibile diritto individuale, crediamo tutti di celebrare la festa del soggetto finalmente liberato dal giogo di ogni dovere. In realtà, consumando diritti come se bevessimo bottiglie di Coca-Cola bruciamo solamente ogni possibilità di futuro degno dell’uomo e della donna – non solo per noi, ma anche per le generazioni a venire.