I dati più recenti (e attendibili) sulla pratica religiosa in Italia riguardano l’anno 2022 (anno perlopiù libero dalle restrizioni del lockdown) e illustrano il seguente scenario: chi partecipa ad un rito religioso almeno una volta alla settimana (per i cattolici, la messa alla domenica) è circa il 19% della popolazione; per contro, sono assai più numerosi quanti in quell’anno non hanno mai frequentato un luogo di culto (31%), se non per eventi particolari, come i riti religiosi di passaggio (battesimi, matrimoni, funerali).
Messi insieme, i «praticanti assidui» e i «mai praticanti» ammontano al 50% degli italiani, il che significa che l’altra metà della popolazione rientra in quel vasto gruppo di persone che frequenta un luogo di culto in modo discontinuo (circa una volta al mese o più volte l’anno) o occasionale (una tantum), magari nelle grandi festività.
Una lettura dei dati
I dati qui esposti provengono dall’Indagine multiscopo dell’ISTAT (svolta su un campione assai ampio e rappresentativo di popolazione italiana – qui il grafico coi risultati) che, tra le varie informazioni, rileva anche la frequenza con cui le persone si recano in chiesa o in un altro luogo di culto.(1)
Questi dati sulla pratica religiosa, dunque, non concernono soltanto le chiese e le messe cattoliche; ma, per la particolare configurazione religiosa del nostro paese, nel quale ancor oggi circa il 70% della popolazione dichiara un’appartenenza al cattolicesimo,(2) sono ampiamente applicabili a ciò che succede in campo cattolico.
Alla domanda dell’ISTAT hanno risposto direttamente i soggetti con più di 14 anni, mentre per i minori dal 6 ai 13 anni la risposta è stata fornita dai genitori.
Riprendendo l’analisi, si osserva anzitutto che il dato (del 2022) della frequenza settimanale ad un rito religioso comunitario è il più basso che si riscontra nella storia recente del nostro paese. Negli ultimi 20 anni (dal 2001 al 2022), il numero dei «praticanti regolari» si è quasi dimezzato (passando dal 36% al 19%), mentre i «mai praticanti» sono di fatto raddoppiati (dal 16% al 31%). In questo arco di tempo, il trend al ribasso è stato perlopiù progressivo, di anno in anno, ad eccezione di un picco all’ingiù che si è registrato nell’ultimo periodo, che è coinciso con l’esplosione del Covid-19.
In 18 anni (dal 2001 al 2019), i praticanti regolari sono diminuiti di poco meno di un terzo; mentre nel solo triennio (2019-2022) il loro numero è sceso del 25%.
Per entrambi i periodi (2001-2019 e 2019-2022), la riduzione della pratica religiosa ha coinvolto tutte le classi di età, anche se si è manifestata in modo più marcato soprattutto nella componente verde della popolazione, in particolare tra i giovani dai 18 ai 24 anni e tra gli adolescenti (14-17 anni).
Sono questi i gruppi di età che più si sono allontanati negli ultimi 20 anni dalla pratica religiosa regolare, con un calo di oltre i 2/3 per quanto riguarda i giovani e gli adolescenti, a fronte di una riduzione del 50% dei praticanti assidui tra le persone adulte e mature e del 30-40% tra la popolazione anziana.
Detto altrimenti, i praticanti assidui tra gli adolescenti sono passati dal 37% del 2001 al 20% del 2019 e al 12% del 2022; mentre, tra i 18-19 anni, la pratica regolare che coinvolgeva nel 2001 il 23% dei soggetti, è scesa al 11% dei casi nel 2019 e all’8% nel 2022.
Si può dunque affermare, a questo punto, che la disaffezione dei giovani e degli adolescenti dalla pratica religiosa è un fenomeno che viene da lontano, rientra in un trend di medio-lungo periodo, che tuttavia si mantiene o subisce un’accelerazione proprio negli anni post-Covid.
Quali riflessioni?
Quali riflessioni si possono fare sulla base di queste indicazioni empiriche? Anzitutto emerge che «l’appuntamento settimanale in un luogo di culto, per i cattolici la messa domenicale, attrae sempre di meno gli italiani»,(3) nonostante che il dato sull’affiliazione religiosa si mantenga ancora su livelli elevati.
Per la componente cattolica, si delinea qui un doppio messaggio alla Chiesa: a essere messo in discussione non è soltanto il precetto o l’invito a santificare le feste, quanto l’idea stessa che la partecipazione al culto comunitario sia per i fedeli (per i seguaci di una religione) un momento fecondo di crescita e di espressione della fede, un criterio vitale di appartenenza a una comunità religiosa.(4)
Seconda riflessione. Il dato del 19% di italiani che ogni settimana si reca in chiesa o in un luogo di culto attesta senza dubbio che anche in Italia la frequenza regolare ai riti religiosi è sempre più un fenomeno di minoranza; ma non sino al punto di allineare il nostro paese agli scenari ormai prevalenti nella maggior parte delle nazioni del Centro-Nord Europa (di cultura sia cattolica sia protestante), ove la partecipazione regolare al culto coinvolge – a seconda dei casi – dal 3% al 7-8% della popolazione. Su questo aspetto, l’Italia si distingue ancora nel panorama europeo, al pari di poche altre realtà nazionali, come il Portogallo e la Polonia.(5)
L’effetto lockdown
Una terza riflessione riguarda l’andamento della pratica religiosa nel periodo della pandemia, un tempo in cui gli ambienti ecclesiali si sono a lungo interrogativi sul rischio – dopo questa drammatica esperienza – di non ritrovare il proprio popolo. Chi era solito partecipare in modo assiduo ai riti comunitari, tornerà alla messa domenicale in presenza, oppure le celebrazioni in streaming avranno reso più labile questo legame?
Si temeva, in altri termini, che l’interruzione delle attività potesse produrre un ulteriore «scrollo» dell’albero della fede e della Chiesa in Italia, allontanando maggiormente le persone la cui religiosità è incentrata più su motivi culturali che spirituali.
In effetti, lo scrollo causa Covid-19 per la pratica religiosa sembra essersi puntualmente verificato, ed è individuabile (come s’è detto) nel 25% circa di soggetti in meno che, nel 2022, mancano all’appello rispetto all’anno precedente la pandemia (2019). E tra quanti mancano all’appello spiccano – come abbiamo segnalato – ancora una volta più gli adolescenti e i giovani che le persone adulte e anziane, un trend negativo che, in parte, sembra ora estendersi ai bambini.
Si tratta certamente di un fenomeno connesso alla sospensione delle attività formative e della vita di oratorio che si è prodotta durante il lockdown, che tuttavia si innesta su una tendenza di più lungo corso dei giovanissimi a distanziarsi anzitempo (rispetto ai coetanei del passato) da un legame religioso.
Un discorso simile, pur più attenuato, si può fare per la situazione dei bambini, in gran parte tornati dopo il lockdown negli ambienti ecclesiali per i corsi di catechismo e i momenti di socializzazione, una presenza tuttavia che tende a essere in vari casi disgiunta dalla frequenza ai riti comunitari.
Una prova vitale per le Chiese
Oltre a quanto sin qui esposto, i dati ISTAT sull’andamento della pratica religiosa in Italia negli ultimi 20 anni delineano i movimenti che si sono prodotti in questo campo a livello territoriale.
Come si sa, da sempre le regioni del Sud presentano dei tassi di religiosità superiori a quelli che si riscontrano nelle regioni del Nord e soprattutto in quelle del Centro Italia, e questo dato di fondo è una costante anche degli ultimi 20 anni, nei quali vi è stato un sensibile calo della pratica religiosa su tutto il territorio nazionale. Ciò per dire che – a grandi linee – in tutto questo periodo la pratica religiosa regolare al Sud ha interessato una quota di popolazione del 20% circa superiore a quella riscontrata nelle regioni del Centro-Nord; pur in una situazione in cui ovunque (sia al Centro-Nord che al Sud) i praticanti regolari sono diminuiti grossomodo del 45-50% nel periodo 2001-2022.
Attualmente, a fronte di una media nazionale del 19% circa, la frequenza costante ai riti religiosi coinvolge il 23% della popolazione delle regioni meridionali e il 17% circa degli abitanti nelle regioni del Centro-Nord Italia.
Per quanto riguarda le differenze di genere, i dati ISTAT continuano a segnalare – per il periodo considerato – una maggior presenza delle donne rispetto agli uomini nella pratica religiosa assidua, riscontrabile in tutte le classi di età.
Col passare degli anni (dal 2001 al 2022), si riduce la quota sia di uomini che di donne che si recano ogni settimana in un luogo di culto, ma il gap di genere a favore delle donne si mantiene nel tempo (nell’ordine medio di un 25% in più di casi).
Nell’ultimo anno di rilevazione (il 2022), la pratica regolare coinvolge in Italia il 15% della popolazione maschile e il 22% della popolazione femminile.
Altra indicazione (in parte curiosa) concerne l’anno in cui – secondo le rilevazioni ISTAT – è avvenuto in Italia il sorpasso dei non praticanti su quanti dichiarano una pratica religiosa assidua. Si tratterebbe del 2018, quando, per la prima volta nella storia recente del nostro paese, i no-churchgoers hanno avuto il sopravvento per un soffio (25% rispetto al 24,9%), per poi crescere in modo deciso negli anni successivi (soprattutto nel dopo Covid), sino al dato ultimo del 2022 che individua – sull’insieme della popolazione nazionale – i «mai praticanti» al 32% e i «praticanti assidui» al 19%. Insomma, l’impressione di fondo è quella di un trend al ribasso assai consistente, che non si arresta nemmeno di fronte ai richiami religiosi di un papa (come quello attuale) che gode di un buon credito pubblico.
Infine, occorre notare che il calo della pratica religiosa negli anni post-Covid è una tendenza non solo italiana, ma che coinvolge tutti i paesi occidentali, anche con percentuali assai superiori a quelle nostrane. (6) Ovunque si parla di «riduzione della partecipazione in presenza», «di abitudine di molti a connettersi ai riti da remoto», di «faticoso ritorno alla normalità»; o della previsione di alcuni che, in questo campo, «nulla sarà come prima».
Non è il caso di ritenere che il «mal comune sia un mezzo gaudio», anche se è indubbio che ciò che è accaduto in questi ultimi anni rappresenti una prova vitale sia per le Chiese sia per i credenti di ogni confessione religiosa.
Torino, luglio 2023
(1) Come si è detto, l’ISTAT (l’Istituto nazionale di statistica), nel rilevare ogni anno tutta una serie di notizie sulla vita quotidiana della popolazione, prevede anche la domanda «Abitualmente con che frequenza si reca in chiesa o in altro luogo di culto?», mentre non registra l’affiliazione religiosa, considerato un dato «sensibile». Il campione è composto da oltre 20 mila famiglie e 45 mila individui residenti. Un’interessante analisi di questi dati si trova in M. Ventura, «Chiese deserte, ma la fede è più consapevole», in La Lettura, del Corriere della Sera, 8 gennaio 2023, pp. 8-9. L’approfondimento dei dati ISTAT qui riportati è stato reso possibile grazie a colloqui avuti con il dott. Sante Orsini, responsabile dell’Indagine su «Famiglie e vita quotidiana».
(2) Cf. le indagini empiriche più recenti e le indicazioni al riguardo offerte dai principali Istituti demoscopici.
(3) M. Ventura, ivi, p. 8.
(4) F. Garelli, Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, Il Mulino, Bologna, 2020, p. 65.
(5) A. Pérez-Agote (a cura), «Portraits du catholicisme. Une comparaison européenne», Presses Universitaires de Rennes, Rennes 2012; S. Lefebvre e A. Pérez-Agote, «The Changing Faces of Catholicism», in Annual Review of the Sociology of Religion, Brill, vol. IX, Leiden 2018.
(6) Cf. F.X. Rocca e K. Maher, «Le chiese raccolgono un numero ridotto di fedeli da quando esiste il Covid», in The Wall Street Journal, April 7, 2023.
La diminuzione dei cristiani alle funzioni religiose non è il sintomo dell’attuale SCRISTIANIZZAZIONE del mondo, come sosteneva anche papa Joseph Ratzinger e Karol Wojtyla, unitamente a tanti altri: Facile, èh…!!!??? no. no…!!! La diminuzione dei cristiani alle funzioni religiose è invece il sintomo di una ricerca subliminale di un cristianesimo più profondo, EVANGELICO (Par. IX, 127 – 142 ) e perciò SCIENTIFICO (Convivio, IV, XIII, 5). Nel senso di un Vangelo inteso come lo intendeva anche DANTE e, recentemente, anche Mons. Enrico Bartoletti: ossia “Vangelo” quale opera scientifica perfettamente calibrata sulla NATURA UMANA (Convivio, I. I. 1) al fine di farle raggiungere, con la RICERCA, la “PERFEZIONE e la FELICITADE”, e in cui i contenuti descritti appariranno chiari solo dopo che, ciascuno di noi ne avrà fatta, per prova ed errore, personale esperienza. Grazie per l’Attenzione, 1 – INTERVISTA fatta da Umberto Cecchi a Giovangualberto Ceri su DANTE ALIGHIERI andata in onda a TV. Canale 10 – Firenze – il Martedì 11 Marzo 2008 alle ore 12h. e poi riprodotta per intero da Ruggero Sorci.
https://www.youtube.com/watch?v=H7w8NGdsDaM
2 – DISCUSSIONE su DANTE ALIGHIERI, con Giovangualberto Ceri, del Venerdì 25 Marzo 2022 – insieme alle classi III, IV e V del Liceo linguistico, di san Benedetto del Tronto, guidate dalla Professoressa PAOLA SGUERRINI : https://www.youtube.com/watch?v=gu_iPZCw7fI
3 – Il CIDA (Centro Italiano di Astrologia) su Dante Alighieri – ANNA MARIA MORSUCCI intervista Giovangualberto Ceri su DANTE il 16/05/2021 a Roma: https://www.youtube.com/watch?v=TR2Jc11HVJ0&t=51s
Trovo che questo calo della pratica religiosa sia normale e anche giusto, considerando che la maggior parte delle persone non ha scelto la propria religione, ma se l’è vista imporre in età neonatale, per volontà altrui, e quindi non si riconosce nei princìpi e negli insegnamenti di una fede che non ha scelto. L’eventuale scelta di aderire a un credo religioso dovrebbe essere lasciata alla libertà del diretto interessato in età di decidere in modo libero e consapevole. No al battesimo dei neonati, ognuno deve decidere solo per se stesso e non per altri. Libertà religiosa è anche questo.
Mi permetto di dissentire, essendo un docente che lavora con gli adolescenti: non esiste un educazione neutra. Il ragazzo per poter scegliere deve conoscere e verificare per poter avere un termine di paragone. Qualsiasi tipo di educazione ha delle proposte, che poi crescendo il ragazzo verificherà di persona. Senza proposte un bambino cresce disorientato in balia di qualsiasi moda… Se fosse come dice lei, allora un genitore non dovrebbe neanche portarlo a giocare a calcio o introdurlo allo sport, perché allora non è libertà e lui dovrebbe scegliere per se stesso, e neppure mandarlo a scuola perché potrebbe non piacergli, e neanche proporgli di imparare a suonare uno strumento musicale perché allora siccome glielo sta proponendo il genitore non sarebbe libero di decidere: perché imporgli di suonare uno strumento che non ha scelto? Lo stesso vale per la fede, se si è onesti intellettualmente: se due genitori lo ritengono giusto, sono loro a decidere e ad avviarlo in quella strada, come normale scelta educativa, poi sarà lui che conoscendola potrà decidere. Allora si che è una scelta veramente libera perché ha potuto verificare e scegliere. Ma se non la conosce, non è capace di scegliere e questo vale per tutte le cose che riguardano l’educazione. Lasciare i ragazzi in balia delle onde e del vento senza nessun direzione è quanto di peggio di possa fare al livello educativo: devono essere introdotti nella realtà secondo ciò che è meglio per un genitore. Una volta grandi, dopo aver conosciuto e verificato, saranno loro a scegliere, anche eventualmente se seguire o meno la fede.
Non so se è gradito o permesso il parere di un non credente, per giunta 81enne.
Comunque, va detto che l’analisi ISTAT non si ferma ad una sola percentuale, per quanto sicuramente importante. Viene valutato anche l’andamento nel tempo in funzione dell’età, del livello culturale, dell’occupazione, e del reddito.
In sostanza, negli ultimi vent’anni il confronto tra praticanti assidui e mai praticanti è diventato maggioritario a favore di questi ultimi praticamente in tutte le categorie, con l’eccezione degli oltre 65enni, dei pensionati e casalinghe, di chi ha la sola licenza elementare o meno. Inoltre si concentra in modo particolare nelle regioni del sud, dove peraltro sono percentualmente molto più rilevanti le casistiche di cui sopra. Comunque, anche in queste categorie sociologiche le differenze a favore dei praticanti sono modeste.
Non voglio tirare conclusioni, che, dato il mio status fideistico, sarebbero di parte, ma immagino che i dati, che ripeto sono gli stessi dati ISTAT sopra riportati, diano di per se stessi una spiegazione del fenomeno dell’abbandono delle chiese e/o delle messe domenicali.
Sorrido a queste ricerche, ma colgo sempre le provocazioni. Sorrido, perchè si tendono a fare censimenti pensando “bonariamente” sempre al problema dei numeri, che tutti ci facciamo. Colgo la provocazione, la qualità della fede, della testimonianza, della vita vissuta. Concludo, mi chiedo quanto Gesù Cristo sia al centro, invece di studiare strategie pastorali, pensando invece all’unica risorsa, alla luce, il volto luminoso di Dio che risplende in Gesù. Preferisco questa ingenuità, ma mi lascio sfidare da queste ricerche che non sottovaluto e da cui non mi condizionano.
Grazie Modestino! Quanti, tra i praticanti sono cristiani anagrafici? Di facciata? Spero dunque che diventiamo ancora meno numerosi ma sempre più autentici. Solo dopo un lungo periodo di oblio religioso, caratterizzato da vuoto esistenziale, guerre a pezzi, rivoluzioni sociali prodotte dall’egoismo di casta, rinascerà l’interesse per la persona e la parola di Gesù, affidate alla testimonianza delle poche comunità sopravvissute allo tsunami del soggettivismo, del relativismo, delle vendette collettive, dei gruppi anti-…, e sarà primavera dello Spirito, frammento però alla tanta mondezza messa in giro dai falsi profeti.
Io sono molto spaventato da questa retorica del ‘pochi ma buoni’:
– le nostre comunità per mandare avanti le loro attività e incidere sul territorio hanno bisogno di un certo numero di persone che contribuiscono. Sennò rischiamo veramente di limitare la nostra influenza a 50 m dalla chiesa
– c’è il rischio che diventiamo ‘pochi ma non buoni’
– è un sentimento elitario
A me viene di getto, così, da cristiana ancora credente e praticante ma in continua assidua ricerca, che tutto ciò che stiamo vivendo non è altro che il semplice prodotto di quanto è stato vissuto in passato : persone che credevano di credere ma tra le prime a dare controtestimonianza con il loro modo di affrontare i problemi e la vita stessa. Temo che uno dei più gravi problemi nella trasmissione della fede sia proprio la controtestimonianza. Ci giochiamo tutto nella credibilità e se diciamo di credere in un Dio che non passa attraverso il nostro cuore, le nostre mani, i nostri piedi, le nostre menti, difficilmente passerà attraverso il cuore di chi incontriamo. Siamo noi il ponte tra terra e Cielo, nel Bene e nel male.
Sono pienamente d’accordo con Emilia. Secondo me la pratica del vero cristiano è la pratica evangelica nella vita quotidiana soprattutto. L’andare 8n chiesa deve costituire unomento di confronto con i fratelli in Cristo sulle esperienze di vita. La Cena lasciata in dote da Gesù ai suoi discepoli deve essere un momento di vera comunione e non solo un obbligo domenicale, ma espressione di amore reciproco. Giuda ha abbandonato la mensa perché non in sintonia con Gesù. Non ha potuto reggere al suo gesto ipocrita. Prima di deporre la propria offerta sull’altare bisogna conciliarsi con il fratello.
Buongiorno, detto in una parola stai parlando di ipocrisia? Ti riferisci all’epoca fascista? Io sono un indeciso praticante, ma non sono ipocrita, ma quello che penso è che le statistiche Istat siano addirittura gonfiate da quanti dichiarano di frequentare la chiesa quando non lo fanno. Allo stesso modo gli exit poll nelle elezioni americane furono a sfavore di Trump perché semplicemente alcuni suoi elettori si vergognavano di averlo votato (ipocrisia al contrario).
Il granello di senape… una piccola manciata di lievito (in 40 kg di farina)… con queste immagini Gesù ha descritto il compito e lo stile di presenza dei cristiani nel mondo. Preoccuparsi perché siamo pochi mi sembra una distorsione prospettica poco evangelica e uno sguardo povero di fede, privo della luce dello Spirito. Quello presentato dall’Istat è solo il dato; quello che ci dovrebbe muovere è una lettura spirituale di questo dato. Gli eventi, per chi crede, sono sempre Parole. Cosa ci sta dicendo lo Spirito attraverso quello che sta accadendo? Senza questo, ci limitiamo ad una lettura sociologica, alla quale non possono che seguire proposte affannate, preoccupate, concentrate sui numeri, troppo mondane. Davvero essere pochi è un problema?
Penso al grande gioioso successo della GMG
Nonostante tutto la GMG di Lisbona ha mandato un gioioso segnale di speranza.
Preso atto della disaffezione ad una regolare partecipazione alle funzioni religiose (le percentuali indicate per il nord/sud del mondo sono poco indicative in termini di religiosità reale), mi domando cosa la Chiesa può proporre in primis ai giovani oggi, una
volta caduto l’obbligo del catechismo e
relativi sacramenti. Più incontri ecumenici
allettanti e meno rigidità dei precetti?
La Chiesa in ogni caso non dovrebbe
adeguarsi al mondo digitale bensì cercare
nuove vie di risveglio spirituale. E questo sia
per giovani, adulti, anziani. La religione non deve essere una routine.
Caduto l’obbligo del Catechismo e dell’iniziazione ai Sacramenti non avremo dei giovani più cristiani ma solo più ignoranti. Senza le basi dottrinali non avremmo altro che indifferentismo religioso, una vaga religione new-age in cui la Pachamama può essere scambiata con la Vergine Maria, il banchetto protestante con la Presenza Reale, la Confessione con una seduta di psicoterapia. E’ questo che vogliamo per i giovani? Se conoscere la verità è essere liberi, come ha detto Gesù, non conoscere la verità è essere schiavi.
1 – INTERVISTA fatta da Umberto Cecchi a Giovangualberto Ceri su DANTE ALIGHIERI andata in onda a TV. Canale 10 – Firenze – il Martedì 11 Marzo 2008 alle ore 12h. e poi riprodotta per intero da Ruggero Sorci.
https://www.youtube.com/watch?v=H7w8NGdsDaM
2 – DISCUSSIONE su DANTE ALIGHIERI, con Giovangualberto Ceri, del Venerdì 25 Marzo 2022 – insieme alle classi III, IV e V del Liceo linguistico, di san Benedetto del Tronto, guidate dalla Professoressa PAOLA SGUERRINI : https://www.youtube.com/watch?v=gu_iPZCw7fI
3 – Il CIDA (Centro Italiano di Astrologia) su Dante Alighieri – ANNA MARIA MORSUCCI intervista Giovangualberto Ceri su DANTE il 16/05/2021 a Roma: https://www.youtube.com/watch?v=TR2Jc11HVJ0&t=51s
Mannó, penso che in una prima fase verranno equiparate tutte le pratiche religiose. In questo modo uno può andare in chiesa, moschea, tempio etc. e va sempre bene.
Sarà anche una scelta coerente con un vero ecumenismo. Se tutte le religioni sono una via di salvezza perché non dovrebbe essere così?
Da credente laico mi interrogo da tempo sulla debolezza della Chiesa a comunicare e trasmettere la fede. Penso che sia un problema complesso e ormai storicamente radicato riconducibile almeno in parte al processo di esculturazione del cattolicesimo dalla società contemporanea. Detto questo, credo sia anche vero che come Chiesa, ovvero come comunità, siamo in evidente difficoltà a rapportarci alla realtà e spesso viviamo di discorsi, pratiche e dottrine autoreferenziali che all’esterno dicono poco o nulla dell’esperienza di fede e di comunione che pure dovrebbero costituire il proprio del cristianesimo. A mio avviso, siamo bloccati in una sterile impasse e ragioniamo secondo categorie e divisioni superate, inadeguate e pure incomprensibili ai più (tipo fedeli pro o contro il Vaticano II, lassisti versus conservatori in tema di morale e dottrina, clericali versus non clericali etc.). La realtà va per la sua strada e noi passiamo il tempo a discettare su riforme che il più delle volte restano solo parole vuote. Grazie a Dio, restano tante persone di vera fede che agiscono e vivono con tenacia e coerenza la loro vita di vita nel quotidiano. Sono queste persone forse che ci indicano il modo semplice ma autentico di scegliere e trasmettere la fede in un mondo in cui le comunità cristiane sono ormai già divenute minoranza.
Visto che i “rimedi” pensati dall’ attuale gerarchia cattolica per attirare i giovani vanno nella direzione: allentare le regole, abolire certi peccati non più visti come tali dalle nuove generazioni, penso che il rimedio escogitato verso chi non va più alla Messa la domenica sia: ma non e’ necessaria la Messa domenicale, si può andarci o no a piacimento, sono altre le cose importanti: la cura del creato, la filantropia. Insomma la trasformazione in una fede new-age in cui sarà equiparato al culto divino fare volontariato e mangiare green.
Il problema paradossalmente è che ‘andare a Messa’ è sentito appunto come un obbligo, e non come un’opportunità per partecipare al Mistero di Cristo morto e risorto e lodare il Padre assieme alla comunità. In pratica moltissima gente va a Messa solo per ‘spuntare una casella’ dei precetti della Chiesa. Non che sia male, anzi, ma bisogna andare oltre e educare i praticanti.
Poi comunque momenti di preghiera comunitari e profondi attirano gente, anche giovane.
Per il resto: bella collezione di luoghi comuni.