Pubblichiamo un articolo di un ricercatore che ha partecipato ad alcuni incontri di lettura collettiva in una scuola superiore presso la Casa Circondariale di Bologna. Questi incontri fanno parte di una serie di iniziative di introduzione e invito alla riflessione filosofica e “teologica” in ambito carcerario[1]. Si tratta di un ambito molto importante per sviluppare tentativi di teologia dal basso[2] e per cercare di praticare una riflessione teologica che possa – per usare l’espressione di Bruno Latour[3] – atterrare, toccare terra, nei vari contesti umani e sociali[4].
Nei mesi di aprile e maggio 2022, nella casa circondariale “Rocco D’Amato” di Bologna, un gruppo di volontari, volontarie[5] e insegnanti[6] ha portato avanti un percorso settimanale di lettura e riflessione collettiva assieme a diverse classi di persone detenute che frequentano la scuola superiore Keynes – che qui ringraziamo[7] – all’interno del carcere.
Abbiamo deciso di strutturare i nostri incontri a partire dalla lettura della tragedia greca “Antigone”, usando l’ottimo riadattamento scritto da Ali Smith[8]. Ogni settimana ne abbiamo letto alcuni capitoli, soffermandoci per condividere impressioni, domande e pensieri: un metodo di lavoro semplice, ma che ha generato dialoghi di notevole ricchezza. Questo articolo costituisce un tentativo di condividere alcune delle riflessioni emerse durante questo percorso che fa parte di un più ampio progetto di introduzione alla filosofia e alle scienze religiose.
Il fascino della tragedia
Non ero mai entrato in carcere prima, perciò c’erano alcune domande che si aggiravano nella mia testa: com’è sarà fare lezione dentro? Come saranno le persone che incontreremo? Un misto di speranze e timori, ronzio di stereotipi e voglia di conoscere.
Fortunatamente, la tensione si è sciolta molto in fretta non appena siamo entrati in aula: la sensazione è stata quella di far parte di un gruppo di lettura non troppo diverso da quelli a cui ho partecipato a scuola o tra amici. Il metodo di lavoro, incentrato sulla lettura e sul commento di un testo, ha indubbiamente favorito la vicinanza.
La storia di Antigone infatti suscita interrogativi e dilemmi talmente profondi e vertiginosi, che di fronte ad essi le distinzioni tra “insegnanti” e “studenti”, “detenuti” e “esterni” impallidiscono. Infatti, mentre ci confrontavamo sulla libertà, sul destino e sul potere, ho percepito con forza quanto, nonostante nella vita ci fossimo ritrovati a impersonare ruoli diversi, fossimo in fondo profondamente accomunati dalla fragilità della condizione umana, fragilità che a volte si esprime nuda in una domanda senza risposta suscitata da una tragedia greca.
La storia che abbiamo scelto di leggere insieme è quella di Antigone, la tragedia di Sofocle ambientata a Tebe all’indomani di una guerra civile che ha devastato la città lasciando sul terreno tantissimi morti. La guerra è scoppiata per una disputa sulla successione al trono: i due figli del defunto re Edipo, Eteocle e Polinice, avrebbero dovuto alternarsi governando un anno a testa, ma quando Eteocle si rifiuta di cedere il posto, Polinice arruola un esercito e attacca la città, scatenando un conflitto che si conclude con l’uccisione reciproca dei due fratelli.
Il potere passa quindi nelle mani dello zio, Creonte, il quale decreta che Eteocle venga seppellito con tutti gli onori perché è morto difendendo la città, mentre Polinice deve essere lasciato insepolto come si confà ai traditori, alla mercé di cani e corvi: chiunque si azzarderà a seppellirlo sarà punito con la morte. Tutti gli abitanti della città obbediscono per timore del nuovo re, l’unica ad opporsi è Antigone, sorella di Eteocle e Polinice, che decide di seppellire il fratello anche a costo della vita.
Prima di entrare in aula, mi domandavo se un testo del genere sarebbe stato apprezzato, se avrebbe catturato l’interesse del gruppo… la risposta è stata un deciso sì. Fin da subito l’ambientazione cupa e al tempo stesso solenne ha suscitato un certo coinvolgimento, e progressivamente si è consolidata la curiosità per lo sviluppo della trama e le sorti dei protagonisti: Antigone riuscirà a salvarsi? Creonte cambierà idea?
Spesso i commenti dei partecipanti oscillavano tra un senso di estraniamento e di identificazione rispetto alle vicende dei personaggi. Da un lato, sono emerse affermazioni come: “erano matti ‘sti greci a fare queste robe”, noi non saremmo capaci di tanta crudeltà. Dall’altro, però, si è presentato anche il riconoscimento che le guerre (con l’immancabile riferimento all’Ucraina) o le uccisioni tra fratelli sono questioni sempre attuali, che continuano a far parte anche delle nostre storie.
Negli interventi spesso i membri del gruppo si identificavano col punto di vista di un personaggio, non soltanto in modo esplicito (“io, se fossi Creonte, farei…”), ma alle volte anche implicitamente e inconsapevolmente.
A tal proposito, è stato interessante notare come in alcuni casi l’ascolto dei commenti altrui abbia permesso ad alcuni di rendersi conto del proprio posizionamento: una volta due partecipanti hanno proposto, a turno, un riassunto del capitolo precedente, e solo dopo aver ascoltato l’altro uno dei due ha notato “io ho fatto il riassunto dal punto di vista di Antigone, tu da quello di Creonte” (nonostante entrambi i riassunti apparissero, da un punto di vista formale, condotti dal punto di vista di un narratore obiettivo).
Libertà, destino, potere
Affrontando i temi del destino e della libertà, alcuni hanno osservato che la storia della famiglia di Antigone è popolata da personaggi che sembrano incapaci di sfuggire al proprio destino (Edipo, i genitori di Edipo, Eteocle e Polinice): nascono sotto il segno di una maledizione che li condanna a un destino tragico e, per quanto si sforzino di orientare la propria vita in una direzione diversa, alla fine con le proprie azioni contribuiscono a realizzare la profezia.
Forse i greci mettevano in dubbio il concetto di libero arbitrio? Uno dei partecipanti ha tracciato un parallelo tra questa concezione e una mentalità a suo dire caratteristica del proprio contesto nel Meridione, la quale si condensa nell’intrascrivibile espressione “eh…” pronunciata con intonazione sospirante e rassegnata, che viene utilizzata di fronte a una disgrazia per significare che “nulla può cambiare”, perché “questa è la condizione umana”.
A questo punto ci siamo chiesti: c’è qualche personaggio in questa storia che appare capace di compiere una scelta? La risposta è stata: Antigone sta scegliendo. Perché rompe con la mentalità dominante, si oppone alle logiche di potere che nessuno osava mettere in discussione. Perché decide di sacrificare la sua vita non in nome dell’adesione ad un valore astratto (la norma religiosa che prescrive di seppellire i defunti), ma spinta dalla forza del legame personale che la legava al fratello Polinice.
Qualcuno ha osservato che Antigone, pur compiendo una scelta libera per sé, con le proprie azioni fa in modo che si compia il destino tragico degli altri personaggi: il fidanzato di Antigone, Emone, e i genitori di lui, Euridice e Creonte stesso, finiranno per essere tutti travolti da un vortice di morte e disperazione.
Qualcun altro ha replicato che questo è vero, ma, al tempo stesso, possiamo immaginare che la sua azione sia stata capace di suscitare un cambiamento in coloro che vi hanno assistito, direttamente o indirettamente: negli anziani di Tebe che acquistano coraggio nel criticare gli eccessi del re, nei successivi cittadini della città che ascoltano la storia di Antigone, in noi che la leggiamo oggi.
Un altro tema che ricorreva spesso nei nostri incontri è quello del potere. Creonte ha paura perché teme l’insubordinazione, teme che il suo potere venga messo in discussione. Il gesto di sfida di Antigone entra in risonanza con questa paura e la amplifica, risultando intollerabile.
Il potere del re si esprime attraverso l’emanazione di norme e la definizione di narrazioni condivise, e in diversi dei nostri incontri è stato fatto notare quanto le definizioni speculari di “eroe” e “traditore” possano essere relative, specialmente in guerra.
Infatti, nonostante sia stato Eteocle a violare l’accordo stipulato con il fratello sulla condivisione del trono, Creonte decide di ricordare lui come eroe e Polinice come traditore: la storia la scrivono i vincitori. Un giorno, nel mezzo di questa discussione, è rientrato in aula uno studente che stava svolgendo un recupero di storia e, senza sapere di cosa stessimo parlando, ha affermato: “Ho scoperto che noi italiani siamo dei traditori! Perché nella seconda guerra mondiale prima eravamo alleati coi tedeschi ma poi siamo passati con gli alleati”.
E in un attimo si è resa esplicita tutta la problematicità insita nella relatività delle leggi, delle convenzioni, dei nostri modi di narrare la storia. Se le norme sono relative, esistono punti di riferimento superiori a cui appigliarsi? Antigone propone, in opposizione alle leggi umane promulgate da Creonte, le leggi divine ed eterne che impongono di seppellire i morti e di onorare i propri familiari. Ma anche qui non possiamo evitare di notare una certa dose di relatività: noi oggi non riteniamo certo vincolanti le leggi delle antiche divinità greche.
Qualcuno commenta che i legami familiari sono superiori alla legge, e la questione che si apre non è semplice: finché immaginiamo la famiglia come un luogo idilliaco di relazioni amorevoli va tutto bene, ma se si riconoscono le molteplici forme di violenza che possono svilupparsi anche al suo interno forse l’idea di ergerla a supremo punto di riferimento non appare più così allettante.
Concludevamo ogni incontro con più domande che risposte, e questo ci sembra possa considerarsi un segnale davvero positivo.
Un piccolo spazio di libertà
Spesso, nei momenti di preparazione e di rilettura del percorso, ci siamo chiesti: qual è il senso di istituire un simile spazio di riflessione all’interno di un carcere? Forse per alcuni può rivelarsi uno spazio di pensiero, di confronto con altre prospettive, di rielaborazione della propria storia, uno spazio che cura, o perlomeno allevia, le molte ferite?
La risposta migliore l’ha scritta uno dei partecipanti in una lettera inviata qualche mese dopo: “è stato un piacere avervi conosciuto, ma soprattutto condividere le nostre emozioni dopo la lettura dei testi. E credetemi, in certi contesti, la mente torna ad essere libera per qualche ora, e per tutti noi fa tanto”. Ci pare sia un’indicazione importante – in sintonia con il sempre urgente articolo 27 della nostra Costituzione[9] – per il lavoro scolastico e per i tentativi di invitare alla filosofia e alla riflessione teologica in un contesto complesso e molto spesso drammatico.
[1] http://www.settimananews.it/societa/teologia-in-carcere/
[2] http://www.settimananews.it/teologia/per-una-teologia-dal-basso/
[3]http://www.settimananews.it/cultura/bruno-latour-rilettura-teologica/
http://www.settimananews.it/societa/apocalisse-di-fuoco-proposte-per-la-politica-e-la-teologia/
[4] http://www.settimananews.it/societa/vite-in-bilico/
[5] Oltre al sottoscritto, erano presenti Davide Musiani, Mattia Aquitani, Sara Zaccarini, Elena Castagni; al laboratorio hanno partecipato come esterni anche altri volontari e volontarie.
[6] Ringraziamo Serena Carbone, Linda Scala, Fabrizio Mandreoli.
[7] Cogliamo l’occasione per ringraziare anche il fondo di solidarietà Faac che sostiene questi progetti.
[8] A. Smith, La storia di Antigone raccontata da Ali Smith, Gedi, Torino 2011.
[9] Art. 27: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Bellissima esperienza, da diffondere il più possibile, segno di luce e speranza in tempi e contesti perlomeno alquanto difficili. Grazie davvero!