Recentemente è stato avviato un progetto di invito alla teologia e alla filosofia presso la Casa circondariale di Bologna. Si tratta di un’esperienza che ha nel background il lavoro di molte persone e istituzioni presso la casa circondariale, in particolare possiamo qui ricordare – per l’attenzione ai temi teologici, sociali e religiosi – l’esperienza di Pier Cesare Bori[1] e del progetto Dustur[2].
L’esperienza
Nello specifico, il corso appena avviato vuole essere una breve introduzione alla teologia a livello universitario con un gruppo di persone detenute presso il carcere bolognese[3]. Alcuni professori della Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna e dell’ISSR di Bologna, dell’ISSR della Toscana e di Rimini insieme al cappellano Marcello Matté[4], alcuni padri dehoniani, e alcuni studenti esterni come tutor, si alterneranno per svolgere un’introduzione ai temi di base della teo-logia, della rivelazione, della storia del cristianesimo, dell’esegesi e dell’etica.
Tali lezioni vengono svolte in modo adatto al contesto del tutto particolare del carcere, quindi in maniera seminariale e dialogica e con una chiave pluralista, interreligiosa (con un’attenzione specifica all’Islam e alle sue ricche tradizioni interpretative) e storica.
L’esperienza mira a rendere possibile un’istruzione di natura universitaria per i ristretti presso il carcere: nello stesso modo in cui diversi detenuti possono iscriversi a diverse facoltà dell’Università statale e studiare, ad esempio, diritto, filosofia, storia, economia, si desidera dare la possibilità – ottenute le debite autorizzazioni – di iscriversi e studiare presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose – nel nostro caso – di Bologna.
Le ragioni
Crediamo sia una occasione importante per più ragioni. Ne ricordiamo due, più una. La teologia, la filosofia, la riflessione interreligiosa possono certo contribuire nel dare strumenti importanti di riflessione personale e di crescita intellettuale per chi passa anni o decenni presso l’istituzione carceraria.
Qui può essere solo accennato come molti temi delle religioni (giustizia, pena, sacrificio, espiazione, pentimento, perdono) sono presenti – a volte positivamente a volte con notevoli cortocircuiti – nei linguaggi e nelle rappresentazioni della pena e della detenzione. Oggi tale connessione è resa ancora più evidente dalla riflessione e dalla prassi possibile della giustizia riparativa che ha radici anche di natura teologica e biblica.
Nello stesso tempo, la teologia si mette alla prova in un contesto difficile e spesso drammatico con domande non facilmente aggirabili. La teologia cristiana si pone davanti a casi seri per la riflessione e per la vita; questo corpo a corpo con la realtà umana e sociale più dura può molto aiutare la teologia cristiana − talora tentata di parlarsi addosso o in circoli sempre più ristretti − a divenire più profonda, responsabile e autentica.
La terza ragione consta nell’intreccio unico che avviene in carcere tra vicende umane, problemi sociali, istanze di giustizia ed esperienze di ingiustizia, valori costituzionali e correlative smentite, ricerche di senso e di Dio.
Libero respiro
In tale quadro, in sintonia con un’interpretazione attenta dell’Art. 27 della nostra Costituzione, ci pare che una riflessione teologica, fedele e aperta, possa dare un contributo anche civile nel senso con cui, ad esempio, Aldo Moro descriveva − in un bellissimo testo del 10 aprile 1977 − la ricerca comune di una società più giusta:
Tutto quello che si muove nel mondo, sia nel chiuso insondabile delle coscienze sia nella grande arena del collettivo e dell’esterno, ha la stessa molla che lo muove, la stessa difficoltà che lo mette alla prova, lo stesso sforzo e sacrificio che lo contrassegna, la stessa nobiltà di un traguardo esaltante.
Possiamo tutti insieme, dobbiamo tutti insieme sperare, provare, soffrire, creare, per rendere reale, al limite delle possibilità, sul piano personale come su quello sociale, due piani appunto che si collegano e s’influenzano profondamente, un destino irrinunciabile che segna il riscatto dalla meschinità e dall’egoismo. In questo muovere tutti verso una vita più alta, c’è naturalmente spazio per la diversità, il contrasto, perfino la tensione. Eppure, anche se talvolta profondamente divisi, anche ponendoci, se necessario, come avversari, sappiamo di avere in comune, ciascuno per la propria strada, la possibilità e il dovere di andare più lontano e più in alto.
La diversità che c’è tra noi non c’impedisce di sentirci partecipi di una grande conquista umana. Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino; ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo[5].
Per questi motivi lavoriamo perché l’attuale corso di invito alla teologia e filosofia possa funzionare e aprire la via ad una formazione accademica prolungata per diverse persone detenute nei prossimi anni, sperabilmente in più istituti penitenziari.
[1] http://www.ristretti.it/interviste/incontri/bori.htm
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Dustur_(film)
[3] Ringraziamo il fondo Faac di solidarietà per il sostegno ad alcune attività di ricerca che hanno reso – in maniera diretta o indiretta – possibile avviare anche questa sperimentazione.
[4] http://www.settimananews.it/pastorale/carcere-grande-inganno/