Quel grande teologo del Novecento che fu Karl Rahner, nella sua ecletticità, è riuscito a offrire numerose riflessioni di taglio teologico e diverse meditazioni spirituali, su molti aspetti del cristianesimo e della vita cristiana. Una teologia mai separata dalla spiritualità, mai chiusa nell’esercizio retorico e asfissiante di speculazioni astratte, sempre intrecciata agli afflati e ai sussulti dello Spirito, alla preghiera, alla dimensione spirituale e al battito delle vicende umane. Come di fatto, ogni teologia dovrebbe essere.
Non meraviglia affatto perciò, per chi conosce la ricchezza dell’opera di Rahner, imbattersi in alcuni suoi scritti sul Sacro Cuore di Gesù, a cui il noto teologo tedesco dedicò diverse ricerche, alcune delle quali sono raccolte in un libro intitolato per l’appunto La devozione al Sacro Cuore[1].
Quale devozione?
Rahner, la cui riflessione non si lascia per nulla incasellare da giudizi e pregiudizi che, anche oggi, con incauta superficialità, vengono emessi da numerosi internauti, difende la devozione al Sacro Cuore e, al contempo, con quella apertura di mente e di cuore che ne ha fatto un lucido interprete del cambiamento della nostra epoca, afferma che è giunto il momento di sottrarre tale devozione al sentimentalismo dei secoli passati e a forme di devozione nazional-popolari che ne sviliscono il significato profondo.
Bisogna abbandonare la devozione al Sacro Cuore? Rahner risponde così: «la sensazione di poter semplicemente lasciarsi alle spalle questo passato della nostra Chiesa (la devozione al Sacro Cuore) come una formula vuota – cosa che, data l’ignavia dei nostri cuori, siamo sin troppo tentati di fare – non prova ancora che lo possiamo fare lecitamente davanti a Dio e davanti alla nostra responsabilità per la continuità della storia della Chiesa. Una sensazione del genere dovrebbe piuttosto riempirci di paura»; allo stesso tempo, egli ci incalza: «Dovremmo domandarci se… a noi non sia riservata una nuova conoscenza dell’essenza di questa devozione e un suo nuovo esercizio. Non tutto quello che oggi ci affascina come una plausibilità indiscutibile, e viene smerciato e comprato dappertutto così, è ciò che rende grandi davanti a Dio e per il futuro della Chiesa»[2].
Rahner ci tiene ad approfondire il significato biblico, spirituale e simbolico del termine «cuore», che, indicando il centro vitale della persona, ci invita a considerare questa devozione come un cammino che, in modo vertiginoso, ci fa sporgere verso il Mistero stesso di Dio e l’infinita ampiezza del suo amore, aiutandoci a cogliere la sua incarnazione: l’umanità di un Dio dal cuore trafitto per le ferite impresse nella vita dei suoi figli, un cuore mite e umile, un cuore compassionevole e misericordioso che – affermava il teologo – ci fa sperimentare Dio come vicino, come Colui che si dona nell’amore e per amore.
Il sacerdote di domani
A partire da questa attenzione alla devozione del sacro Cuore, in Rahner si trovano splendide pagine sul ministero sacerdotale «di domani». La nota da ricordare, se ce ne fosse bisogno, è che il «domani» a cui egli alludeva è praticamente il nostro oggi e ciò rende queste parole cariche di profezia oltre che di pregnante chiarezza.
Così come il Cuore di Cristo è stato trafitto da un mondo che lo ha rifiutato, ostacolato, emarginato, espulso fino a farlo morire sul legno della maledizione fuori dalla città, la situazione attuale dei cristiani oggi – per riprendere una parola cara al teologo – è quella della «diaspora».
Il cristiano di oggi vive in un mondo profondamente cambiato, che ha inesorabilmente trasformato il suo stare nel mondo come cristiano, ha modificato e continuerà a modificare la testimonianza cristiana nelle situazioni e negli ambienti della vita quotidiana dove, sempre di più, ci si trova immersi nel pluralismo delle idee, visioni e convinzioni. Egli si troverà sempre di più in ambienti di vita quotidiana non omogenei, nei quali avvertirà la difficoltà di parlare di cose religiose, sperimentando se stesso «come uno che pensa diversamente dagli altri. Tutto ciò costituisce per lui un peso spaventoso e crudele… intanto si sperimenta costantemente ostacolato, disilluso, posto in questione dalle opinioni diverse dell’ambiente»[3].
Per il prete le cose non vanno diversamente, anzi. Il suo ministero risulterà sempre più immerso in un mondo che non riconoscerà affatto il suo ruolo pubblico e sociale, in un ambiente differenziato, spesso indifferente e qualche volta ostile, nel quale sentirà il proprio abito, il proprio parlare e la propria testimonianza come inappropriata e inopportuna. Eppure – afferma Rahner – questa sarà la sua forza più grande che lo ricondurrà al Mistero di Cristo, l’Unico che rimane quando sei spogliato di tutto. Come Gesù, il sacerdote di domani sarà un prete «dal cuore trafitto».
L’uomo dal cuore trafitto
Vale la pena soffermarsi almeno su una parte dell’intenso testo rahneriano, che può accompagnare i preti – e non solo – nella personale meditazione:
«Il sacerdote di domani sarà un uomo cui gli adulti si rivolgeranno, anche se la società borghese non gli affiderà più i figli. Sarà un uomo che sopporta, nel senso pieno della parola, la pesante oscurità dell’esistenza insieme ai suoi fratelli e alle sue sorelle. Ma saprà che la tenebra trova la sua origine e il proprio felice compimento nel mistero dell’amore vittorioso, nell’assurdità della croce. Sarà (altrimenti non sarà sacerdote) un uomo capace di ascoltare, un uomo per cui ogni singolo uomo è importante anche se non conta nulla in campo sociale o in campo politico. Sarà un uomo al quale ci si può confidare, che esercita o cerca di insegnare, come meglio può, un mestiere da pazzo, quello di portare non solo i propri pesi, ma anche quelli degli altri. Un uomo che, pur avendo tutte le possibilità, non partecipa alla caccia disperata e nevrotica al denaro, al piacere e a tutti gli altri analgesici contro la tragica delusione dell’esistenza.
Dimostrerà invece con la sua vita che la libera rinuncia nell’amore del Crocifisso non solo è possibile ma è anche capace di liberare. Il sacerdote di domani non sarà colui che ricava la propria forza dal prestigio sociale della Chiesa, ma avrà il coraggio di far sua la non forza sociale della Chiesa… Non sarà più lo psicoterapeuta vestito con il costume ormai fuori moda del mago. Parlerà sottovoce, non penserà di poter illuminare con dispute patetiche l’oscurità che grava sulla vita o di spezzare lo stato di assedio in cui si trova la fede. Con calma lascerà che Dio vinca dove lui personalmente risulta sconfitto, opererà la grazia di Dio anche quando non riuscirà più ad offrirla all’uomo con la propria parola e con il sacramento in forme per l’uomo accettabili.
Insomma: il sacerdote di domani sarà l’uomo dal cuore trafitto e solo da questa ferita sgorgherà l’efficacia della sua missione. Con il cuore trafitto: da un’esistenza che pare senza Dio, dalla follia dell’amore, dall’insuccesso, dall’esperienza della propria miseria e profonda problematicità. Il sacerdozio diverrà sempre meno un’entità sociale ovvia, dovrà sempre più venir esercitato nella diaspora dell’incredulità, dell’insignificanza sociale della Chiesa, dell’inesperibilità di Dio nel mondo. […] egli non è più il papa nel suo villaggio né fa più parte con l’ovvietà di un tempo dei notabili: scompaiono insomma privilegio e prestigio sociale. Un po’ alla volta gli rimane soltanto la sua essenza più autentica: essere l’uomo di Dio, l’homo religiosus, colui che crede, spera e ama. La situazione in cui vivrà gli proporrà sempre la domanda: “Sei quello che devi essere, cioè l’uomo dal cuore trafitto, vero tempio di Dio, e la fonte dello Spirito, vera forza della tua missione e dell’autenticità delle tue parole?”. Ora se il prete di domani deve essere così… allora non potrà fare altro che una cosa: rivolgersi al Signore che serve, alzare gli occhi a colui che fu trafitto e venerare il cuore di Cristo».
(testo tratto da Karl Rahner, «L’uomo dal cuore trafitto. Culto del cuore di Gesù e futura esistenza sacerdotale», in Id., Discepoli di Cristo. Meditazioni sul sacerdozio, Paoline, Roma 1968).
[1] K. Rahner, La devozione al Sacro Cuore, Paoline, Milano 1977.
[2] K. Rahner, Nuovi Saggi teologici, vol. X, Paoline, Milano 1986, pp. 408-409.
[3] K. Rahner, Le virtù dell’annuncio. Saggi scelti, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013, 54.
Grazie don Francesco per aver citato per esteso quel testo di Rahner sul sacerdote dal cuore trafitto, brano che mi ha sempre colpito e commosso, anche perché rivela il risvolto e il fondamento mistico del grande teologo che resta un punto fermo e profetico di riferimento per la Chiesa del futuro che egli intravedeva 50 anni fa, e che siamo noi ora.
Non serve essere grandi intellettuali per sapere che Rahner era un modernista senza fede. Il testo riportato lo dimostra ampiamente. Basta leggere per es il Cavalcoli per coglierne la pochezza di sapienza e il male che ha fatto e fa al Corpo Mistico. Infatti lui poi non ha più nemmeno celebrato messa. Parlatemi di Cornelio Fabro invece.
Mazzoldi
Il Sacerdote dovrebbe principalmente essere colui che porta l’Eucaristia ai fedeli. Per essere credibile dovrebbe scendere dal pulpito e stare ad ascoltare il pensiero dei fedeli senza la pretesa di essere il solo a conoscere la Verità e a sapere interpretate le scritture per i suoi studi teologici. Gesù disse che sarebbe stato lo Spirito Santo a ricordare il suo messaggio agli uomini e lo Spirito è universale, non è limitato ad una religione o a una ristretta cerchia di persone.
Aggiornatevi! È da cinquant’anni che andate avanti con Rahner, un teologo grigio e orizzontale, stuoli di seminaristi obbligati a studiare su testi di una noia e piattume mortali, con esiti che sono sotto i nostri occhi.