Le paginette che seguono parlano di piccole cose che si trovano in casa perché ancora meglio possiamo abitarla. Una finalità centrale e un tema con echi profondissimi che soprattutto le artiste e gli artisti sanno evocare. Nei loro confronti il mio debito è altissimo.
Ho avvertito la presenza di questi oggetti apparentemente insignificanti ed essi si sono fatti largo al mio sguardo, con insistenza e profondità. Mi hanno accompagnato nella ricerca della casa interiore ma anche nell’abitare gli spazi in cui vivo rendendoli più ospitali.
C’è un sentire religioso in queste righe: più volte nelle preghiere dei salmi la casa è presente e il canto si sposta tra la casa propria (“Camminerò con cuore integro dentro la mia casa (…) Non abiterà nella mia casa chi agisce con inganno…” Sal 101,2 e 7), quella di Dio (“Signore amo la casa dove tu dimori” Sal 26,8) e quella che Dio ci dona (“ai derelitti Dio fa abitare una casa, fa uscire con gioia i prigionieri” Sal 68,7). La sapienza biblica ci invita in percorsi tra case diverse, anche quelle meno accoglienti e da riconoscere come tali con coraggio e forza d’animo. La prospettiva suggerita è chiara: “abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni” (Sal 23,6) . Ho chiesto a un amico fotografo – Matteo Losurdo – di accompagnare con qualche suo scatto queste note e a mio marito – Paolo Marino Cattorini – di leggerle apportando e condividendo qualche correzione. A entrambi un grazie sentito.
Nelle librerie di casa alcuni divisori separano i volumi. Ve ne sono diversi e non tutti simili tra loro; tra questi barattoli di vetro colmi di conchiglie raccolte sulla spiaggia o regalatemi da chi sa quanto le apprezzi. Conchiglie piccolissime o dalle valve più ampie: le più semplici e un po’ “ordinarie” sono strettamente vicine ad altre che si fregiano del titolo di “reginette”.
Da bambina la ricerca di queste ultime sulla battigia era un gioco divertente e spesso condiviso. Poi, adulta e in solitaria, ancora un piacere, soprattutto d’inverno quando la spiaggia della Liguria finalmente ritorna alla natura che sento più vicina.
Penso che le piccole case dei molluschi siano a loro agio nella mia casa e nelle librerie sappiano ben armonizzarsi con vari testi; li separano ma senza asprezze né litigi. Simboli del pellegrinaggio religioso e di quel San Giacomo che mi è famigliare, sanno per me accordarsi con testi laici.
Me lo ha soprattutto insegnato il filosofo I. Kant: egli ha visto proprio nelle conchiglie un segno importante del bello naturale; non quello aderente a modelli ma libero e autentico, capace di evocare e al contempo contenere le tensioni che lo abitano. Difficile definire che cosa sia il bello ma sicuramente ha a che fare con un equilibrio faticosamente guadagnato tra estremi apparentemente non coniugabili.
Tra concettualità ed emozioni, tra ragione e sentimento, come Jane Austin ha saputo riconoscere con alta sensibilità femminile. Tra l’intuizione di uno scopo e – nel contempo – l’assenza di una precisa finalità. E ancora: tra la ricerca ostinata di un ordine mentale e insieme l’indeterminatezza ora quieta ora esuberante che abita l’espressione poetica.
Il vetro dei vasi e dei barattoli sa contenere elementi naturali così eleganti e originali (nessuna conchiglia è esattamente uguale all’altra) belli da vedere. Sono disordinatamente uniti tra loro e nel contempo capaci di separare pagine scritte con accurate riflessioni mentali da testi che riproducono immagini artistiche e visioni immaginarie.
Tra i miei scaffali arte, religione e filosofia possono accordarsi con queste piccole formazioni di carbonato di calcio senza che queste ultime si sentano di livello inferiore alle prime. Forse il filosofo idealista Hegel non sarebbe d’accordo ma io immagino buoni dialoghi tra loro, magari di notte quando la casa è silenziosa e finalmente le cose prendono vita nella maniera che solo esse conoscono. Come la bella fiaba e la musica dello Schiaccianoci ci hanno insegnato.
Credo succeda quando gli scaffali non sono più oggetti da spolverare e usare a nostro piacimento ma libere presenze, rese tali dai libri stessi con le pagine delle “arti liberali” ovvero quelle che consentono vera libertà. Quando le conchiglie ritornano ad essere guardate con gli occhi della poesia: “Le nostre mani congiunte componevano una tenace conchiglia che custodiva la pace” (Antonia Pozzi, L’allodola, 25 agosto 1933).