Succede così anche nelle nostre vite, le cose importanti le lasciamo alla fine. A volte ci blocca l’incertezza, non sappiamo se possiamo o se dobbiamo dirlo, se è opportuno chiederlo.
Ci frena la paura di esporci, forse la vergogna o il timore di non essere capiti, siamo come rallentati nel dire le cose essenziali, quelle che ci mettono a nudo e ci rivelano… ma poi ci sono i discorsi sulla porta, sul pianerottolo o sulle scale, nei quali ci si consegna l’anima.
Ci sono i momenti di grazia in cui ci sentiamo travolti e ci offriamo all’altro per come siamo, per quello che viviamo, così come lo viviamo, lasciando cadere le difese, mettendo da parte la paura che non sia importante, che non sia abbastanza importante da poter essere detto…
Tu mi ami?
Arriva il momento in cui pur nella titubanza, nell’incertezza, nella paura di essere rifiutati o idealizzati, troviamo la forza e la grazia per chiedere a un altro: Tu mi ami?
Anche per Gesù arriva questo momento, sulle rive del lago di Tiberiade, dopo la Resurrezione, dopo che nuovamente ha accompagnato i suoi amici nel fallimento e nella riuscita di una pesca notturna. Sulle rive del lago, alla fine della sua vicenda terrena, Gesù trova il coraggio di chiedere a Pietro ciò che da lungo tempo ha custodito nel cuore: Tu mi ami?
Non sembra una domanda da “Figlio di Dio”, da “Onnipotente”, da “Risorto”… sembra più una domanda che nasce dalla debolezza, dalla fragilità, da quella paura che tutti – in un modo o in un altro – sperimentiamo: la paura di non essere amati abbastanza da coloro che amiamo.
A pensarci bene non sembra nemmeno opportuno che “l’Eterno Signore di tutte le cose” si riveli nel suo bisogno di essere amato, un bisogno che, anche nella gloria della Resurrezione, lo rende così umano, così vicino alla nostra esperienza…
Eppure con questa domanda si chiude il vangelo di Giovanni, in realtà si era già chiuso un capitolo prima, ma c’è un aggiunta, una postilla, un episodio da “pianerottolo”, qualcosa di essenziale, di talmente semplice e importante da essere aggiunto quando tutto sembra essere già finito.
Una domanda che ci permettere di tornare a rileggere la passione lasciandoci accompagnare tanto dalla domanda stessa quanto dal lento emergere di una risposta.
Quando tutto viene meno
I giorni della passione sono giorni carichi di amore e di vuoto, sono giorni in cui le presenze che la riempiono altro non evocano che la mancanza stessa, fino a esprimersi nel grido dell’abbandono. Sono giorni di parola taciuta e di silenzio per lasciar venire alla luce le parole che contano. Sono giorni di profumi, lacrime, attese, sogni ma anche di incomprensione, violenza, derisione e menzogna.
Sono giorni unici dentro la storia dell’umanità eppure così famigliari alla nostra quotidianità. Sono giorni che fanno leva sulle nostre inquietudini, sulla nostra incertezza: cosa fare quando sembra non ci sia più niente da fare? Cosa fare quando noi e chi amiamo sembra essere immerso nell’impotenza?
Nella passione siamo ancora capaci di amare, di lasciarci amare e di chiedere amore? Quello che vivremo nei prossimi giorni ci apre la possibilità di fermarci ad accogliere la passione del Signore e in Lui trovare la forza di accogliere le nostre.
Ripercorrendo i giorni della passione possiamo cogliere quanto e quale amore ci sia, nascosto tra le pieghe tragiche di quegli eventi.
Perché a volte l’amore bisogna cercarlo, non è evidente, non è scontato, non è quello che sembra. È lì a portata di mano, sotto i nostri occhi ma non lo riconosciamo, perché il dolore prende il sopravvento.
È quell’amore che non toglie il peso delle situazioni che viviamo, quell’amore che non cambia il tragitto che abbiamo intrapreso, che non fa cambiare idea all’altro. È quell’amore che sperimentiamo quando ci accorgiamo che amare qualcuno è lasciarlo andare anche se le vie di bene che l’altro ha scelto ci sembrano misteriose e impercorribili ma non per questo smettere di amarlo.
Amanti
Ama la donna che rompe il vaso prezioso di essenza di nardo, gesto da molti considerato uno spreco, un gesto che non evita la passione al Signore, che non cambia il corso degli eventi, ma che consente alla donna di mettere in gioco tutto quello che può, in quel momento.
Ama Gesù che si lascia amare, che accetta il dono prezioso, che si lascia rivestire di carezze, lacrime e baci.
Amano i discepoli che si preparano e che preparano per celebrare la festa di Pasqua nel Cenacolo. Ama Gesù che si siede a tavola con loro, come ha sempre fatto, e che si consegna a loro, spezzato e versato come olio profumato.
Amano i discepoli che accompagnano Gesù al Getzemani, invitati a restare lì, a restare con lui, anche se si addormentano per il dolore e la tristezza. Ama Gesù che con insistenza li vuole accanto a sé, che si mostra a loro nel desiderio di non essere lasciato solo nella notte che sta per iniziare.
Ama Pietro che segue da lontano il Signore, nella penombra: c’è un legame, un affetto che lo spinge a stare lì, a cercarlo ad attenderlo nella notte; un amore che lotta per non fuggire, ma che sceglierà di rinnegare per difendere la propria vita. Ama Gesù, ancora capace di fissare il suo sguardo su Pietro alle prime luci dell’alba, risvegliate dal canto del gallo.
Ama Giuda, anche se ama un’immagine falsa di Dio e del suo Cristo, anche se ama un ideale di vittoria, anche se ama ciò che non c’è, al punto di sentirsi tradito dal Maestro che si rivela sempre più nella sua impotenza.
Ama Gesù, che senza falsità lo chiama amico e si lascia baciare da lui. Amano le donne che piangono lungo la via del Calvario, che provano dolore dispiacere per il Giusto vittima d’ingiustizia. Ama Gesù con la delicatezza capace di ricordare loro la profezia di Ezechiele, nella quale Dio farà seccare l’albero verde per far germogliare l’albero secco.
Ama Maria, discretamente presente, silenziosa, che segue ogni passo, ogni respiro, ogni gemito della Parola fatta carne in lei. Ama Gesù, che dalla croce le rivolge la parola, che le consegna una discendenza senza fine in ogni figlio che la accoglie in casa sua. Ama il malfattore che riconosce in Gesù la capacità di essere ospitale fino alla fine. Ama Gesù che lo rassicura di avere un posto nel Suo cuore e nel Suo giardino.
Ama il centurione che si lascia stupire la modo di morire di un condannato. Amano le donne che silenziosamente preparano gli oli e attendono che passi il sabato per correre al sepolcro…
Tutti nella passione amano, chi se stesso, chi il potere, chi la prevaricazione sul debole. C’è chi ama per pietà, per compassione; c’è chi asciuga il volto del Cristo, chi cerca di alleviargli la sofferenza con l’aceto, chi lo segue fin dalla Galilea, c’è chi lo colpisce, chi lo deride, chi lo accarezza, chi lo tradisce, chi lo trafigge… tutti noi, come loro, amiamo qualcuno o qualcosa.
Generati alla fiducia
Appare allora più chiaro il senso di quella domanda, un’ultima domanda prima di tornare da colui che da sempre l’ha chiamato Figlio Amato: Mi ami? Sei disposto a dare la vita per me?
Pietro, uomo sincero e onesto ha risposto: Sai che ti sono amico. Forse gli è mancato il coraggio di scommettere sulla sua capacità di dare la vita per il Signore. Vive della certezza che è stato amato dal Signore, ma non è più certo della trasparenza del suo amore per lui.
Ma Gesù insiste: Mi ami al punto di dare la vita per me? E Pietro resta fermo: Tu sai che ti sono amico… Gesù riprende, per la terza volta: Mi sei amico? Pietro risponde con un sincero e liberante: sai tutto, sai che ti sono amico, sai che gli amici amano e tradiscono, riconoscono e rinnegano, accarezzano e colpiscono… tu sai che io sono tutto questo, tu sai che io ti amo con tutto questo.
L’amore è capace di restituire fiducia, di dare fiducia lì dove è stata smarrita o tradita, l’amore sa andare in profondità a cercare la luce nel buio. L’amore si abbassa, raggiunge l’altro nel suo limite, nel suo errore, rallenta il passo, mette da parte l’ideale e si lascia amare per come l’altro è capace. L’amore sa avvicinarsi, sa fare il primo passo senza incutere timore, sa inventare, sa sperare, sa credere, sa stupire, sa sorprendersi…
L’amore è concreto, incarnato, non toglie dalla passione ma assume le conseguenze di tutti nostri piccoli o grandi cammini di passione, non spazza via gli amori distorti, superficiali, feriti, traditi… e non li corregge. L’amore aspetta il momento per chiederci di amarlo, per come siamo, per come possiamo.
E così, sul pianerottolo della vita, Gesù non torna al Padre senza sentirsi dire da Pietro e da ciascuno di noi che nonostante i nostri amori confusi, siamo ancora capaci di dare fiducia alla nostra capacità di amare. Il nostro amore imperfetto non impedirà all’altro di arrivare fino in fondo alla sua passione, ma è il modo che abbiamo di arrivare fino in fondo con lui e rialzarci con lui il mattino di Pasqua.
Grazie che sai trasformare la Parola in vita quotidiana, vicina e comprensibile.
Mi unisco al grazie di Rita!
Farò tesoro di questi tuoi pensieri per la mia omelia di Pasqua, li sento profondamente veri e capaci di offrire grande respiro.
Credo anch’io che il nostro amore confuso è l’unico modo che abbiamo di arrivare fino in fondo con lui per rialzarci con lui il mattino di Pasqua.
Rinnovati dalla sua fiducia possiamo essere rigenerati nella nostra capacità di amare.
Grazie e buona Pasqua!
Grazie, Francesca, questo scritto mi ha fatto molto bene. Si sente l’animo di una donna e questo mi rallegra molto: narrata anche al femminile la Parola acquista nuove dimensioni. Buoni Giorni santi, buona Pasqua!