La visita del card. Pietro Parolin alla comunità di Bose (30 aprile – 1° maggio), la pubblicazione di una lettera dello stesso Segretario di stato ai vescovi italiani in merito alle attività ecclesiali di fr. Enzo Bianchi e l’annuncio di quest’ultimo dell’apertura della sua comunità della Madia ad Albiano (TO): sono le ultime notizie sul fondatore e sul futuro del monastero della diocesi di Biella.
In una nota informativa (1° maggio) la comunità di Bose testimonia la visita del card. Parolin e registra le sue parole: «La Santa Sede vi appoggia in quello che siete; una comunità monastica ed ecumenica di fratelli e sorelle… Il papa vi segue, vi apprezza e desidera che continuiate ad essere una grande risorsa spirituale per la Chiesa».
«Una visita – continua il comunicato – che ha costituito anche l’occasione per riaffermare ancora una volta l’intento di cura che ha mosso la Santa Sede in tutto quanto ha cercato di fare per la nostra comunità: nonostante le interpretazioni che ne sono state date, la volontà è sempre stata quella di salvare la comunità e di preservare quanto avviato dall’opera di fr. Enzo, aiutando anche lui nella sempre delicata fase di passaggio dall’iniziatore alla generazione successiva».
Atteggiamento confermato nella lettera ai vescovi di cui parliamo dopo: «Ciò va detto per avere un quadro realistico della situazione nel rispetto della verità, delle persone coinvolte e, in particolare, della comunità che si sta riprendendo nei suoi ideali di vita monastica, dopo il difficile tempo vissuto. E che ha bisogno, naturalmente, del sostegno il più possibile concorde di tutta la Chiesa».
Negli ultimi mesi la comunità ha alimentato la ripresa delle sue molte attività, ha eletto il nuovo priore, fr. Sabino Chialà, ha continuato la ricerca sugli statuti interni, sulla forma giuridica futura (di tipo monastico) e sulla liturgia propria. Si sono riavviati i contatti ecumenici in vista di nuove iniziative di dialogo. Ha registrato anche diversi abbandoni, legati solo in parte alle vicende dolorose degli ultimi mesi. Prosegue l’accompagnamento del delegato pontificio, p. Amedeo Cencini.
Ulteriori testimonianze
Nel frattempo è arrivata ai giornali la lettera delle Segreteria di stato indirizzata ai vescovi italiani in cui si chiede «un attento discernimento sull’opportunità ecclesiale di continuare ad affidare a fr. Enzo Bianchi incarichi di predicazione e di formazione per il clero, la vita religiosa e il laicato».
Il testo, che doveva rimanere riservato, riprende il decreto pontificio di allontanamento di Bianchi dalla comunità per non aver rinunciato al governo della comunità nonostante le sue dimissioni da priore, «interferendo in diversi modi, continuamente e gravemente sulla conduzione della medesima comunità e determinando una grave divisione nella vita fraterna. Si è posto al di sopra della regola della comunità e delle esigenze evangeliche da essa richieste, esercitando la propria autorità morale in modo improprio, irrispettoso e sconveniente nei confronti dei fratelli della comunità provocando lo scandalo».
Parole pesanti, ulteriormente aggravate da quanto segue: « È motivo di profondo rammarico, dunque, dover constatare che fr. Enzo Bianchi non si sia attenuto, se non con estrema riluttanza e solo in parte, alle disposizioni che lo riguardavano».
Si elencano le disobbedienze: non aver abbandonato Bose se non dopo un anno di permanenza indebita e senza i permessi e le previe informazioni al delegato pontificio; la continuazione dei contatti e delle relazioni con gli altri membri allontanati dalla comunità (G. Boselli, L. Breda, sr. Antonella Casiraghi); e, in particolare, con Boselli. Si aggiunge che pur non essendo mai stato mosso alcun addebito di tipo dottrinale e alcuna limitazione alle sue attività di predicatore, pubblicista e conferenziere, «sono giunte alla Segreteria di stato ulteriori testimonianze e documentazioni che hanno consentito di avere un quadro complessivo della gestione dell’autorità e dei comportamenti in vari ambiti di fr. Enzo Bianchi ancora più grave di quanto già verificato in sede di visita apostolica».
Casa del pane
Difficile essere più espliciti nella indicazione di abusi, anche se non si specifica la loro fattispecie. L’accenno relativo alla predicazione per la vita religiosa fa supporre che il testo o una lettera simile sia giunta anche ai superiori e superiore maggiori italiani. Il documento non mostra alcun disagio rispetto alla libertà civile e alle autonome decisioni personali, nessun ricorso al “braccio secolare”, ma costituisce un invito alla responsabilità rispetto alla comunità ecclesiale.
Di altro tono la comunicazione di Bianchi agli amici dell’apertura di un cascinale ristrutturato nel comune di Albiano (Torino) dove alimentare preghiera, incontri, fraternità e «una tavola approntata per la condivisione». Si sottolinea l’intenzione di non rifare la comunità «che da me ha avuto inizio, né fondare una nuova comunità religiosa canonicamente riconosciuta». Non si dice da dove siano arrivati i soldi per l’acquisto (14 stanze, 7 ettari di terreno), ma si fa riferimento a un mutuo decennale e a una raccolta di fondi di un apposito comitato, presieduto da Valentino Castellani, ex sindaco di Torino.
Chi potrà partecipare all’impresa? Forse le persone allontanate da Bose, o i fratelli che hanno accettato di andare a Cellole o i due o tre che, ancora a Bose, mostrano interesse. Difficile in questo caso sottrarsi all’impressione di una contro-Bose. Esito diverso dalle intenzioni espresse nel comunicato.
I consigli di Lafont
La parabola della vicenda non esaltante, seppur non conclusa, mi ha ricordato le note che suonano oggi melanconiche di un grande monaco del nostro tempo, p. Ghislain Lafont, morto l’11 marzo scorso. Dal 1945 apparteneva all’abbazia benedettina francese La Pierre-qui-vire.
L’8 marzo 2021 ci scriveva: «Posso dire due cose. La prima è questa. Se un superiore dà le dimissioni dopo aver occupato a lungo quel posto è assolutamente necessario che abbandoni la comunità per un tempo relativamente lungo per lasciare campo libero al suo successore. Se resta sul posto, il successore non sarà libero nei suoi movimenti e potrebbero nascere conflitti (ho conosciuto un caso dello stesso genere). Alla fine del secolo scorso abbiamo avuto un abate di tutto rilievo, che Enzo conosce bene, dom Denis Huerre, che ha gestito la comunità nel passaggio delicato del concilio e dell’immediato post-concilio. Subito dopo la sua dimissione, senza attendere l’elezione del successore, è partito per un altro monastero. Due anni dopo è stato eletto presidente della Congregazione (benedettina) di Subiaco. È rimasto otto anni a Roma, senza mai tornare qui, mantenendo, a distanza, contatti col successore che talora incontrava, per esempio in occasione delle riunioni dei superiori. Alcuni fratelli andavano a visitarlo a Roma per mantenere un contatto fraterno. Alla fine del suo mandato, è ritornato qui in comunità, riprendendo il suo posto da semplice monaco. È morto circondato dalla venerazione di tutti. Penso che Enzo avrebbe dovuto fare una cosa simile, per esempio, avviare una fondazione in America Latina! La seconda cosa è che tutti noi conosciamo dei moti interiori che non vengono dallo Spirito. Essi sono trattenuti dai normali strumenti della vita monastica. Ma possono venire “liberati” se non si fa attenzione. Sono stato spesso a Bose e ho fatto corsi ai giovani negli anni ’80 e ’90. Non c’è dubbio che fr. Bianchi abbia un “ego” estremamente forte, ma sufficientemente controllato per conservare l’unità della comunità. Ho l’impressione che, non essendo più contenuto dalla funzione (di superiore), Enzo abbia lasciato debordare il suo “ego” arrivando a frustrazioni che ora constatiamo. E quando il male si è avviato come arrestarlo? Bisognava agire prima, ma non lo si sapeva… Penso che una nuova comunità è veramente fondata dalla seconda generazione, dopo la scomparsa o il ritiro del fondatore. Si riconosce allora meglio il destino legato al progetto di Dio, rispetto a quanto appariva nel periodo di fondazione».
Ricordo che se uno dei 4 fratelli allontanati da Bose si rivolgesse a qualsiasi tribunale italiano, per cencini e i suoi mandanti si prefigurerebbero una sfilza di reati civili e penali, a cominciare dalla basilare violazione dei diritti civili.
Non entro nel merito di Bianchi ma una volta uscito dalla comunità non vedo proprio come possa influenzarla. Soprattutto se la comunità vuole essere altro da Bianchi, perché se non voleva essere altro non aveva nemmeno senso spostarlo.
Capisco e condivido l’esigenza di riservatezza ma forse le autorità ecclesiali dovrebbero dire qualcosa di più sui “gravi fatti” compiuti da Enzo Bianchi, così da far capire meglio la durezza delle posizioni assunte nei suoi confronti e offrire qualche squarcio di luce ad una situazione così importante e della quale si parla tanto, ma avvolta da una coltre di buio che alimenta molte incomprensioni e valutazioni azzardate.
Credo che i nostri vescovi non debbano studiare molto per fare discernimento su un personaggio di tale evidenza, quasi laureato in economia e commercio, quasi monaco, quasi profeta, a quanto pare milionario senza quasi, non che questo sia negativo, però fra il sentire e leggere ciò che afferma e il modus operandi c’è una qualche forte riserva. C’è poi una frangia di ammiratori più o meno radical-chic che continuano a sostenerlo, fin che si tratta di impostare una start-up tipo agriturismo anche stellato va benissimo, insegnare addirittura ai religiosi come fare, beh francamente pare esagerato, non si capisce perché già due anni fa non si era provveduto più seriamente.
Pienamente d’accordo con P Lafont, che ho conosciuto e constatato la sua vera autentica libertà di cercatore di Dio e del bene degli altri. Ma se non si inizia subito o non si è aiutati a capire, ciò che nasconde il proprio narcisismo, tutto diventa connaturale e non è più possibile capire, comprendere altro. Parlo per esperienza di vissuto: non parole, ma realtà, vissuto.
Lafont ha scritto pagine stupende e profonde sulla vita monastica: https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2019/07/professione-monaco.html