Sua Santità Papa Francesco,
Conoscendo la Sua attenzione pastorale e l’affetto che La lega al Suo gregge, scriviamo perché ricorriamo a Lei per un motivo che riteniamo molto importante.
Il motivo è la situazione in cui si trovano oggi moltissimi credenti che da decenni frequentano la Comunità di Bose come luogo di riflessione, preghiera, formazione, portando poi la loro testimonianza e il loro impegno nelle parrocchie e nei luoghi in cui vivono e lavorano. Tantissime persone che, non solo in Italia, in questi giorni provano grande sofferenza, sconforto e smarrimento per le notizie che provengono dalla Comunità in seguito al decreto singolare della Santa Sede del 13 maggio. Anche tanti altri credenti, che di Bose hanno solo sentito parlare, stanno in questo momento esprimendo sui media la loro inquietudine, temendo di essere lasciati “nella nebbia” rispetto ai loro interrogativi, affidandosi però a notizie contraddittorie che possono far anche molto male.
Anche noi scriventi, piccolo ma forse rappresentativo gruppo, abbiamo seguito con apprensione le cronache di queste giornate, abbiamo pregato nei giorni di Pentecoste lo Spirito perché la Comunità, adeguatamente supportata, riuscisse a mostrare gesti esemplari di misericordia; ora siamo smarriti perché non comprendiamo il protrarsi di questo silenzio in merito a quanto deciso. No, non è curiosità, Santo Padre, nemmeno vogliamo cadere nella tentazione di “io son di Paolo, io di Apollo e io di Cefa”, al contrario: abbiamo bisogno di trasparenza per dare testimonianza di unità, di partecipazione piena alla sofferenza di tutte le persone coinvolte, per capire l’ottica della Chiesa, che oggi è intervenuta secondo finalità che non conosciamo e, non informati, non comprendiamo.
Siamo consapevoli delle necessarie cautele di discrezione sui vissuti e sulle relazioni , ma non comprendiamo perché proprio le persone coinvolte non possano conoscere i motivi delle decisioni, mentre noi abbiamo invece bisogno di capire in quale contesto viviamo la nostra fede, quali siano gli ostacoli che dovremo anche noi ora affrontare. Non riusciamo infatti a intuire verso quali lidi la Comunità verrà accompagnata e in che forme diverse potrà continuare a esprimere, senza le persone che costituiscono le sue storiche radici, continuità piena rispetto allo sforzo di radicalità evangelica e di dialogo ecumenico.
Per parte nostra, per essere fedeli al dovere della testimonianza alla Verità come essenziale vocazione battesimale, abbiamo pensato di non poterci permettere di restare unicamente spettatori. Dopo aver riflettuto, pregato per la Comunità, le persone coinvolte, le gerarchie ecclesiastiche, per noi stessi, riteniamo ora di dover chiedere il dono della fiducia di essere ritenuti Cristiani sempre in cammino, ma già abbastanza adulti per riuscire a comprendere la complessità della situazione.
Santità, temiamo di essere tentati dall’inerzia, ma abbiamo pensato che forse Lei si aspetti da noi, credenti che tanto hanno ricevuto dai carismi della Chiesa post conciliare, una disponibilità a restituire con la nostra testimonianza il sigillo di quanto abbiamo avuto negli anni, anche dalla Comunità di Bose. Domandiamo di conoscere il modo per dimostrarlo, ricevendo piena luce sugli obiettivi e le finalità di un intervento, non solito, da parte della Chiesa.
Siamo fiduciosi, Papa Francesco, che la Sua sollecitudine verso ogni forma di sofferenza e la Sua instancabile missione di parresia, Le faranno comprendere fino in fondo la nostra sofferta richiesta. Preghiamo per Lei, come spesso ci chiede, perché possa continuare sempre su questa via, che ha aperto tanti cuori e regalato tanti momenti di autentica Speranza.
Con deferente affetto.
Rosamaria Nebiolo
Ennio Tomaselli
Simona Martinotti
Carla Lino
Mariangela Zoccola
Federica Bosso
Gianni Raposio
Lorenzo Raposio
Paola Bosso
Mario Bonfanti, Maria Grazia Rossi
Valter Rizzi
Luisa Mennuti
Riccardo Morello
Anselma Mannucci
Stefano Belfiore
Bravo Angela
Chiedete quelle/i di Bose prima. Forse loro sanno di piú…
E poi ascoltiamo Papa Francesco:
“Negli ultimi tempi ci è stato chiesto con forza di ascoltare il grido delle vittime dei vari tipi di abusi commessi da alcuni vescovi, sacerdoti, religiosi e laici”. “Questi peccati provocano nelle vittime sofferenze che possono durare tutta la vita e a cui nessun pentimento può porre rimedio. L’universalità di tale piaga, “mentre conferma la sua gravità nelle nostre società non diminuisce la sua mostruosità all’interno della Chiesa” e la rabbia, giustificata, della gente. Il Sinodo sui giovani ha ribadito “il fermo impegno per l’adozione di rigorose misure di prevenzione che ne impediscano il ripetersi, a partire dalla selezione e dalla formazione di coloro a cui saranno affidati compiti di responsabilità ed educativi”. Allo stesso tempo, non deve più essere abbandonata la decisione di applicare “azioni e sanzioni così necessarie”: “Non si può più tornare indietro”, l’imperativo di Francesco per combattere i “diversi tipi di abuso: di potere, economici, di coscienza, sessuali”. “Sradicare le forme di esercizio dell’autorità su cui essi si innestano e di contrastare la mancanza di responsabilità e trasparenza con cui molti casi sono stati gestiti”, l’impegno da raccogliere: “Il desiderio di dominio, la mancanza di dialogo e di trasparenza, le forme di doppia vita, il vuoto spirituale, nonché le fragilità psicologiche sono il terreno su cui prospera la corruzione”.
Anche a Bose…
Ma cari amici, scusate tanto, qui la questione ha due aspetti. Primo: che c’entra ora il Papa? C’è un delegato che ha il compito di affrontare la questione. Perché non rivolgersi a lui? Anzi, sarebbe opportuno che ci fosse un minimo di dialogo anche con tutto il “mondo” che gravita intorno a Bose. O no? Il papa non mi sembra che a questa punto se ne debba occupare, avendo delegato. E qui veniamo al secondo aspetto: al dunque ci si rivolge sempre a “papà” quando non si è capaci di affrontare i problemi. Perché, cari firmatari, non dite una parola sulle problematiche che hanno portato a questa situazione; problematiche che sono molto psicologiche, molto umane, serissime, ancorché capaci di squassare situazioni e rapporti. Già… la psicologia non c’entra mai nella Chiesa… Possibile? Eppure la psicologia umanistica, la psicologia relazionale, la psicologia dinamica, molto illuminano sui vissuti, sui rapporti, sui motivi delle situazioni. Qui invece ci si appella a “papà” e tutti i protagonisti stanno zitti (con motivazioni valide, certo, ma zitti) e dal punto di vista umano ed ecclesiale non si va avanti, non si “matura”. Penso che questa vicenda metta in luce in modo evidente molti temi: le nuove comunità e i loro snodi, i rapporti con la Chiesa locale, il rapporto con la Santa Sede, le modalità di formazione di una comunità e la sua “regola” in caso di problemi, l’importanza di capire bene le relazioni e la maturità umana ed emotiva che non va di pari passo con il conteggio degli anni di età. E infine: la trasparenza, che perde sempre!
Ci si rivolge al Papa perché a questo giro lo si sente in sintonia e allora si fa lotta al “clericalismo” ricorrendo direttamente all’autorità somma.
Che è una contraddizione grande come una casa ma tanto una più una meno….
Sono d’acordo