La Compagnia di Gesù può fare a meno di p. Marko Rupnik, della sua genialità artistica e del suo ministero? La risposta è “sì”. La decisione di espellerlo presa il 9 giugno e pubblicata il 15 lo dimostra.
P. Rupnik può fare a meno dell’appartenenza ai gesuiti? Si può dire “sì, se”: se si realizzano alcune condizioni.
Le vittime che hanno denunciato i suoi comportamenti impropri saranno contente? Si può dire di “no”, visto che l’attesa prevalente è quella della dimissione dallo stato clericale. Anche se possono apprezzare la decisione della Compagnia.
Le domande dei media si spegneranno? Molto probabilmente “no”, in ragione delle zone grige delle procedure e delle disposizioni adottate al suo riguardo, anche relativamente al ruolo di papa Francesco.
Decisione disciplinare, non penale
Il comunicato dei gesuiti, firmato dal responsabile per le comunità operanti in Roma, p. Johan Verschueren (qui su Settimana News), annuncia la decisione del preposito generale di dimettere p. Marko Ivan Rupnik. La decisione sarà operativa un mese dopo la consegna della disposizione all’interessato.
La grave censura è di carattere disciplinare e non penale. Quest’ultima può avvenire solo dopo un procedimento giudiziario che, nel caso di abusi gravi, fa capo al dicastero della dottrina delle fede o a un tribunale (diocesano o interno agli ordini) su suo mandato.
Il carattere disciplinare è sostenuto dalla motivazione, «rifiuto ostinato di osservare il voto di obbedienza». È un’imputazione vera: l’interessato non ha obbedito alle disposizioni nei suoi riguardi: predicazione, confessione, direzione spirituale, celebrazioni pubbliche, attività artistica, viaggi fuori del Lazio.
Non ha mai risposto ai reiterati inviti del “gruppo referente” di incontri informativi, né ha cercato confronti coi confratelli se non con quelli della stessa comunità, né ha accettato le proposte di soluzione. Con sorpresa dei superiori è stata rivelata l’esistenza di un’azienda in capo a lui, contro il diritto canonico e religioso. Ma la violazione del voto d’obbedienza è un’imputazione piuttosto generica, che non entra in merito alle accuse di cui Rupnik è fatto oggetto. E dunque non pregiudica una pluralità di esiti.
È improbabile immaginare che Rupnik faccia ricorso contro la decisione, perché difficilmente sarebbe accolto, e nel caso di accoglienza avvierebbe una lunga serie di indagini. Inoltre contraddirebbe il suo comportamento fin qui.
Decine di vittime
Nel testo del comunicato la questione degli abusi è considerata centrale in merito al lavoro del “gruppo referente”. Le denunce sono pervenute da fonti diverse per fatti avvenuti in un arco temporale di oltre 30 anni. Cumulando i due processi già esperiti, si arriva ben oltre le 20 testimonianze delle vittime. La loro credibilità è considerata molto alta. Rupnik ha rifiutato di «cambiare di comunità e di accettare una nuova missione … (anche per) dare un segnale chiaro alle numerose persone lese che testimoniavano contro di lui, (e) per entrare in un percorso di verità».
La Compagnia si libera del problema, ma non impedisce esiti possibili. Se la comunità del Centro Aletti, composta dal gruppo dei gesuiti, dalle consacrate e da un nucleo di preti non gesuiti, dovesse resistere senza incrinature; se si trovasse un vescovo, magari nelle aree della Slovenia o Croazia, che accettasse di incardinare in diocesi p. Marco; se, oltre a lui, lo stesso vescovo acconsentisse a riconoscere la comunità a livello diocesano; allora ci potrebbe essere un futuro per il Centro Aletti e per la sua produzione artistica. I gesuiti del centro dovrebbero evidentemente uscire anche loro dalla Compagnia.
L’ipotesi non è solo fantasiosa, soprattutto se il vescovo interessato non trovasse opposizioni decise da parte della Santa Sede. Ma vi è un’altra condizione: la sostenibilità economica. Le edizioni Lipa non sono finanziariamente floride e le attività di ritiri e settimane formative sono in contrazione. Ma l’atelier del Centro Aletti ha già dato comunicazione pubblica che intende proseguire la sua attività, i viaggi di p. Marko sono finalizzati a procurare nuove opere e il centro di Santa Severa ha aperto la possibilità di ospitalità anche per turismo e vacanze.
Segnali e domande
Non è agevole immaginare che tutte le condizioni citate possano saldarsi e garantire un futuro. Tutto può ancora implodere. Sono facilmente prevedibili reazioni piuttosto negative nelle comunità locali, un rinnovato “accanimento” dei media, e, soprattutto, la reazione delle vittime. La discussione sul possibile “smontaggio” delle opere musive e il profondo smarrimento delle aree cattoliche finora simpatetiche con la spiritualità e gli indirizzi del Centro Aletti sono segnali assai pesanti.
Le domande più scomode riguardano il ruolo del papa nella vicenda. Non hanno spento le ricerche neppure le sue chiarissime parole, pronunciate in un’intervista all’agenzia AP che, nel gennaio scorso, lo interrogava sul caso: «Non ho avuto niente a che fare con questo». Non meno inquiete le indagini sul ruolo del card. Tomáš Špidlík (1919 – 2010), grande amico e protettore del Centro: alcune delle vittime hanno affermato che lui sapeva tutto e non è intervenuto.
Mi sa che il mio confratello si è dimenticato di quando Gesù durante la passione di fronte allo schiaffo del soldato chiede la ragione di quello schiaffo e non sta in silenzio o porge l’altra guancia. Ringraziano anche tutte quelle donne che ricevono violenze domestiche dai loro partner, e tutti i lavoratori sfruttati sul lavoro a cui è chiesto di subire in silenzio perché così si è veramente evangelici. Vergogna. Ricordo anche che nell’inno alla carità si dice che la carità non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità. Quindi denunciare sempre tutte le forme di ingiustizia e di sopraffazione ovviamente (e qui sta la differenza) non a partire dal nostro io ferito che recrimina e chiede vendetta ma da un io libero da se stesso consapevole della propria dignità e per questo guidato dallo Spirito Santo che ci abita che ci fa agire e ribellare alle ingisitize della storia al modo di Dio.
18 06 2023
Rupnik: fuori dalla Compagnia di Gesù.
Non conosco, né ho interesse alle “vicende umane” di Marco Rupnik, che egli sicuramente affronterà nell’intimo della sua coscienza e in coerenza con i suoi numerosi scritti. Ma nulla e nessuno può annullare il valore Teologico Estetico delle sue “Opere Artistiche” e del contributo che dà alla Chiesa con l’attività di evangelizzazione delle Sue comunità. L’attuale società pluralistica e relativista nella sovra esposizione della “metannarrazioni” mediatiche ci fa perdere di vista spesso l’ammonizione della Parola del Signore che fa prevalere la Sua Giustizia e ci ricorda l’umiltà evangelica del “Chi sono io” per giudicare gli altri. Di espulsioni e ostracismi la Storia della Chiesa è piena, in questo momento di grandi incertezze, dubbi e vuoti ideologici la Comunità Cattolica dovrebbe spendere le energie nell’orizzonte della “Forza Unificante della Sola Verità” della Fede sempre nell’obbedienza.
Ubaldo Fabrizio,
STUDIOSO DI ARTE E TEOLOGIA
Cell. 392 6366469
Mi chiedo sinceramente come si possa contribuire alla missione evangelizzatrice della Chiesa abusando spiritualmente e sessualmente di donne (per giunta consacrate) e mi chiedo anche quale contributo possa dare un gruppo come quello del Centro Aletti che orgogliosamente se ne infischia del dolore delle vittime e delle indicazioni della gerarchia ecclesiastica… di fronte a tale vicenda non si può che provare che sconcerto, dolore e vergogna.
Sono d’accordo con Lei. Anch’io sono stanco di processi mediatici, lasciamo che la giustizia civile ed ecclesiastica faccia il suo corso ed arrivi a conclusioni definitive.
Giustizia è stata fatta? Non credo. Le dimissioni dalla Compagnia è solo un primo passo. La vicenda mostra tutta la miseria umana nell’osannare tanto un personaggio per poi liquidarlo perché disobbediente. Mi auguro che in nome delle vittime abusate si prosegua senza tentennamenti.
Le domande da porsi sono altre: non se Rupnick puo’ fare a meno della Compagnia, ma se Rupnick puo’ fare a meno di pentirsi se ha agito scorrettamente, se Rupnick puo’ fare a meno di riparare la sofferenza delle vittime, se Rupnick puo’ fare a meno di vivere onestamente e puo’ credersi al di la’ del bene e del male.
La domanda da porsi per Rupnick ,per la Compagnia e anche per la Chiesa cattolicain generale e’ : ma tutti questi possono fare a meno di mettere in pratica cio’ che predicano agli altri? Come disse Gesu’ “sepolcro imbiancati”
Forse la gestione del Rupnikgate è uni dei più eclatanti e drammatici esempi del clericalismo che pur a parole si denuncia da qualcbe tempo. Le malefatte di questo artsita, che ha creato attorno sé un gruppo dagli inquietanti tratti settari, chiamano in causa a diversi livelli la gerarchia ecclesiastica e la Compagnia di Gesù. Come laico, non posso che esprimere il mio sconcerto e la mia amarezza non solo per i crimini (e non solo peccati) commessi da questa persona e coperti da troppo tempo e da troppe persone, ma anche dalle resistenze a prendere coscienza della gravità della vicenda. La capacita o la volontà ad assumersi integralmente e immediatamente le responsabilità di quanto accaduto manca in modo evidente. E ciò è un vero “scandalo” nel senso anche evangelico del termine