Finalmente, giovedì 20 aprile, la Camera dei deputati ha approvato la legge sul “biotestamento”, che ora passa al Senato, e il fatto va salutato come positivo in sé. Che non fosse facile elaborare un testo normativo sul “fine vita” era già emerso chiaramente nel documento sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT) approvato dal Comitato Nazionale di Bioetica nel 2003, ma 14 anni sembrano davvero un’esagerazione!!!
Provvedere alla propria salute
L’estenuante attesa è certamente dovuta alla complessità della materia, ma è anche il frutto di uno scontro di posizioni altamente ideologizzate. Anche in questi ultimi giorni si sono sentite dichiarazioni molto forti perfino da chi si richiama alla dottrina cattolica, ma in simili circostanze andrebbe sempre ricordato quanto afferma il concilio Vaticano II, cioè che «nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente a proprio favore l’autorità della Chiesa» (Gaudium et spes 43).
Alcuni sacerdoti hanno poi “suonato le campane a morto” per esprimere un rifiuto a priori della legge, ignorando che da almeno 500 anni la Chiesa cattolica riconosce dei margini di discrezione al singolo rispetto alle risorse che la medicina mette a sua disposizione, qualora esse gli appaiano straordinarie.
La possibilità di redigere delle DAT, perciò, rientra pienamente nel modo di intendere da parte della Chiesa l’esercizio del diritto/dovere di provvedere alla propria salute. Il problema più rilevante è ciò che si scrive e si prevede nell’espressione della propria autodeterminazione.
Per la comunità credente la questione prioritaria è quella di attivare dei percorsi d’informazione e di educazione affinché le persone che desiderano sottoscrivere le DAT, sappiano se i contenuti sono in linea con il Vangelo e con la visione morale della Chiesa, oppure no.
Dalle statistiche che possediamo, tali persone saranno un’esigua minoranza, perché così accade in tutto il mondo. Quello che possiamo fare come comunità cristiana – come è già accaduto in Germania tra cattolici e protestanti – è offrire dei testi di orientamento, delle catechesi o delle consulenze etico-pastorali per formare adeguatamente le coscienze adulte dei fedeli. E comunque non credo che si possano scrivere delle DAT efficaci senza il coinvolgimento del medico di fiducia.
Mi è capitato di fare consulenze al letto del malato, su richiesta di parenti perplessi di fronte alle proposte dei medici, a fronte di pazienti molto anziani con difficoltà di alimentarsi, sull’opzione di evitare il ricovero in prossimità della morte, sulla sedazione di pazienti oncologici con dolori non diversamente controllabili ecc. In questi casi avere un’indicazione della volontà del paziente attualmente non cosciente e magari poter disporre dell’apporto di un fiduciario può risultare di grande aiuto per l’équipe curante e per l’entourage familiare.
La legge, poi, ribadisce opportunamente il “no” all’accanimento terapeutico, in perfetta sintonia con Evangelium vitae 65, dove con forza si rifiuta l’inutile insistenza che porta a prolungare la vita in prossimità della morte, in quanto rappresenta una distorsione della medicina che perde di vista il suo fine che è il paziente. Era importante riaffermarlo, perché, a volte, i medici ricorrono alla c.d. “medicina difensiva”, volta a fare di più di quanto è necessario per non avere cause legali da parte dei parenti. La legge ora potrà dare più serenità ai medici, evitando anche che importanti risorse sanitarie vengano sottratte ad altri malati che invece potrebbero averne un beneficio. Applicare terapie futili o dannose è uno spreco ingiusto.
Idratazione e nutrizione
C’è stata “battaglia” attorno all’idratazione e alla nutrizione artificiali, che la legge tratta alla stregua di trattamenti sanitari che si possono quindi sospendere. A mio parere, uno Stato pluralista non poteva fare diversamente, visto che qualunque intervento assistenziale dev’essere oggetto di consenso informato da parte del paziente. Se egli si rifiuta – purtroppo anche in modo irrazionale o non condivisibile come il rifiuto delle trasfusioni da parte dei Testimoni di Geova –, non gli si può negare questo diritto, poiché l’autodeterminazione è ormai un concetto comune alla pratica medica e condiviso dalla bioetica cattolica.
È vero che, in linea di principio, nutrizione e idratazione sono un sostegno vitale ordinario e obbligatorio poiché molto difficilmente diventano inutili o dannose per il paziente. Però ci sono dei casi limite in cui ciò accade e di questo si tiene conto anche nei documenti della Chiesa, che ammettono con prudenza ragionevoli eccezioni. Si tratta, ovviamente, di casi estremi che vanno valutati di volta in volta.
Un rimedio ai possibili abusi è l’obiezione di coscienza prevista dalla legge ed esercitabile sui singoli casi. Laddove il medico ravvisasse qualcosa che va contro la sua coscienza, può astenersi dal mettere in pratica le richieste del paziente. Questo aprirà contenziosi giudiziari, laddove vi sia un contrasto tra l’équipe medica e il rappresentante della volontà del paziente. In questi casi potrà essere utile anche il parere dei “comitati di bioetica” di una struttura ospedaliera, ma il pronunciamento dei giudici sui casi più intricati è un’evenienza comune in tutto il mondo, poiché la legge non può coprire tutta la casistica, ma solo la pratica generale e quotidiana.
Alcune forze politiche hanno denunciato che, così, si corre il rischio di aprire spiragli all’eutanasia omissiva. Ovviamente il rischio di far rientrare dalla finestra ciò che è stato messo alla porta c’è sempre, ma è del tutto evidente che questa è un’evenienza estrema, nel qual caso si potrà denunciare chi ha operato in senso eutanasico, poiché in Italia l’eutanasia è proibita dalla legge. Io, però, non insisterei su questi casi limite “di frontiera”. La maggior parte delle richieste di sospensione dell’alimentazione artificiale nasce in situazioni che sono preagoniche o dove un paziente, in relazione alla compromissione delle sue funzioni vitali o all’età avanzatissima, ritiene sproporzionato per la sua situazione questo tipo di intervento.
La maggior sfida per i medici di buona coscienza e per le strutture sanitarie cattoliche è quella di dimostrare con i fatti che la corretta presa in carico del paziente e dei suoi familiari riduce praticamente a zero le richieste di eutanasia. Una buona assistenza, basata sulla terapia del dolore, sul sostegno psicologico e sull’accompagnamento, fa sì che la richiesta di morire perda significato, poiché è umanizzato il percorso, pur tragico, che conduce alla fine.
Si dovesse poi dimostrare con l’esperienza che questa legge porta verso scelte chiaramente eutanasiche, allora si dovrebbero fare scelte radicali e profetiche, al limite rinunciando anche ai finanziamenti pubblici delle convenzioni, se essi limitano la libertà delle strutture cattoliche e il rispetto della vita come bene intangibile. Ma questa al momento, per fortuna, appare solo come un’extrema ratio!