Renzi vince, il PD ha un problema

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Sebbene irrise dagli adoratori del “Pericle elettronico”, le primarie del PD hanno mostrato di rappresentare ancora un fenomeno significativo di partecipazione popolare alla vita politica. Tanto più rilevante in un contesto di disimpegno e di abbandono che si rivela nel clima di preventiva sfiducia che circonda quel che avviene nei dintorni delle istituzioni e tra quanti alle loro funzioni si applicano.

primarie del PD

Roma, 30 Aprile 2017. Matteo Renzi ha vinto le primarie del PD (Foto ANSA/Giuseppe Lami)

Se sia uno sprazzo di salute nel corso di una grave infermità oppure il segno di un possibile miglioramento si vedrà. Ma intanto il sintomo va registrato come una manifestazione inaspettata di vitalità civica.

Testa o croce al gazebo

Andare ai gazebo, stavolta, non era facile. Dopotutto il PD, oltre la sconfitta nel referendum costituzionale, aveva subito (o non contrastato?) la secessione di una parte storicamente importante di se stesso.

Al leader uscente, che indossava la veste di candidato al rientro al vertice, si rimproverava, tra l’altro, di non aver saputo mantenere unito il partito che gli era stato affidato.

Il giudizio sul triennio renziano alla guida del governo, inoltre, si era, per così dire, arricchito di valenze negative: in aggiunta ai difetti lamentati sui provvedimenti per la scuola e il lavoro avevano fatto irruzione sulla scena argomenti dal sentore sulfureo. Tali erano i sospetti coinvolgimenti di familiari o sodali del leader in questioni di appalto per nulla commendevoli. E si sa che queste cose lasciano una traccia anche quando le smentite sono tempestive e persuasive.

So di amici che, nel dubbio, hanno evitato le zone-gazebo; e di altri che hanno lanciato la monetina: “testa” vado, “croce” non vado.

Ma proprio le difficoltà che hanno circondato la prova fanno da sfondo ad un risultato numerico, l’affluenza, che certifica l’esistenza di una forza politica dotata ancora, al netto delle perdite, di rilevanti potenzialità.

L’investitura replicata

Anche il risultato politico – la netta vittoria di Matteo Renzi e la scontata sconfitta dei suoi… sparring partners Orlando e Emiliano – è molto chiaro.

Mostra che il grosso del partito e dell’elettorato di riferimento intende scommettere ancora su una guida che non entusiasma e probabilmente neppure convince, ma ha il pregio di presentarsi con un orgoglio di parte che espone un riserva di capacità di decisione. E ciò mentre i fatti (inclusa la cancellazione delle note riforme) descrivono una situazione di stallo se non di immobilismo.

Va anche notato che, al contrario di Orlando che punta alla… separazione delle carriere, Renzi non ha fatto mistero di gradire il mantenimento del doppio incarico (segretario del PD e candidato a capo del governo) e quindi di riproporsi, già da ora, come successore di Gentiloni alle prossime elezioni. Chi lo ha votato per il vertice PD ne ha sicuramente tenuto conto.

Del resto, già nelle ultime settimane il leader era intervenuto con energia su questioni importanti dell’agenda governativa, come la crisi Alitalia, le manovre finanziarie, le nomine ed altro, facendo sentire il peso vigile di una presenza che non si è mai decentrata rispetto all’area del potere.

Legge elettorale e alleanze

Le valutazioni positive sul metodo e sul risultato, nei termini descritti, non autorizzano tuttavia a ritenere che i problemi della vita pubblica italiana siano stati semplificati, non dico risolti, dall’esito della prova. I problemi rimangono e – necessario rilievo – lo stesso Renzi ne è parte.

Rimane il nodo della legge elettorale, tenuto in quarantena fino al punto da spingere il capo dello stato a sollecitare una misura risolutiva. E rimane, per stretta connessione, la questione delle alleanze. Per il PD essa si prospetta nell’alternativa tra due opzioni: o un centrosinistra largo, con il gruppo di Pisapia, che però pare collegato con gli scissionisti, o una prestazione “in solitaria” che mette in conto, dopo il voto, anche un’alleanza con il centrodestra, quantomeno nella sua sezione “moderata” di stampo berlusconiano.

Qui le intenzioni del leader riconfermato andranno presto chiarite, anche se egli cercherà di tenere le carte coperte il più a lungo possibile.

La sua propensione personale parrebbe quella di puntare, ancora e malgrado tutto, su un’affermazione del PD tale da ottenere la maggioranza nei due rami del parlamento.

La suggestione grillina

È la dottrina dello sfondamento su tutto il fronte che fin dall’inizio ha caratterizzato le scelte di Renzi. Essa trova un riscontro d’interesse nella suggestione grillina di un abbassamento (dal 40 al 35%) della soglia per accedere al premio di maggioranza. Ma le incognite sono tante.

Non è detto, peraltro, che una simile modifica del terreno di confronto favorirebbe una corsa a due (PD e M5S). In un paese in cui le destre sono tante non è detto che il miraggio del premio non riesca ad unificare quel campo.

Insomma: si può vincere, ma si può anche arrivare al terzo posto…

Centrosinistra largo o nuovo “Nazareno”

L’altra ipotesi in campo è quella delle alleanze. Ma quali e, soprattutto, quando? Tutta l’area a sinistra del PD preme perché il meccanismo delle alleanze venga riconosciuto dalla legge in gestazione e si traduca nella costituzione preventiva delle coalizioni.

Il centrosinistra “largo” di cui si parla potrebbe realizzarsi solo con una scelta di questo genere, ma ciò costringerebbe ad una trattativa, o comunque ad un dialogo, con i soggetti ultimamente usciti dal PD, eventualità che Renzi rifiuta con forza.

Meglio puntare allora su alleanze post-voto secondo i metodi della prima repubblica? Nessuno scandalo al riguardo. Ma solo la curiosità di conoscere a quale punto cardinale si volgerebbe la fronte. Ancora verso il resto del centrosinistra o verso l’area berlusconiana (con il Cavaliere riabilitato o meno) che sempre di più si rivela orfana del “patto del Nazareno”?

Se si guarda bene, le opzioni che si propongono e in funzione delle quali andrebbero calibrate le norme elettorali, sono state già tutte sperimentate nelle diverse stagioni dell’esperienza politica italiana.

Così anche gli innovatori più radicali sono costretti a mettere i piedi in scarpe già usate e, a volte, logorate. Pare ci sia anche una versione politica della legge chimica di Lavoisier per cui “nulla si crea e nulla si distrugge”.

Attivare la variante umana

In realtà, nell’esperienza politica pesa moltissimo quella che si potrebbe chiamare la variante umana, cioè il riflesso del carattere delle persone che concorrono a determinare le decisioni.

Il tasso di innovazione che si può introdurre nei processi politici è direttamente proporzionale alla loro capacità di cambiare atteggiamento e quindi di combinare in modo nuovo gli ingredienti necessari. Ciò accade sia per la pressione di fattori esterni, come le emergenze economiche e sociali, sia anche di interiori mutazioni soggettive.

Un esempio (che non è di scuola) potrebbe essere quello del leader politico portato di suo a comandare e in ciò confermato dall’assenso degli adepti, il quale, per maturazione razionale o per la forza dei fatti, si persuade della necessità di tener conto anche del parere degli altri.

La direzione unitaria

In certi casi anche i dirigenti più egocentrici hanno saputo far ricorso alla formula della “direzione unitaria” come garanzia del consenso sulle decisioni adottate e anche come antidoto alla sequenza di… rottamazioni successive.

Renzi sa che il suo modus operandi è il problema maggiore della sua leadership; e sa anche che una buona parte di coloro che lo hanno votato sarebbero lieti se riuscisse a coniugare la sua abituale grinta con il tranquillo… sorriso di Gentiloni. Non è questione di apparenza, ma di sostanza.

Qui un ruolo importante possono svolgerlo quei comprimari che hanno contribuito in modo determinante alla seconda lievitazione di Renzi al vertice del PD. Hanno infatti gli argomenti e la capacità di persuasione per spingerlo a inaugurare uno “stil nuovo”, non necessariamente “dolce”, nell’esercizio delle funzioni di governo e nella gestione dei rapporti umani.

La notte dello scrutinio in tanti nel PD hanno detto che si dovrà lavorare “tutti insieme” e Renzi stesso ha parlato di una fase nuova che si apre. Parole importanti, che vanno prese sul serio perché indicano un cammino di… conversione ancora tutto da percorrere. Per liberare il PD non dalla figura e dall’energia di Renzi, ma precisamente dal “problema Renzi” come esorbitanza della vocazione personale ed esclusiva a comandare.

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Un commento

  1. Luciano Corradini 1 maggio 2017

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