La teologia si trova oggi in una condizione paradossale, che condivide con tutte quelle discipline accademiche che non possono prescindere dalle vicende della propria storia per dirsi in un contesto che, rispetto a quella storia, non è solo lontano ma addirittura estraneo. È il mondo della vita e le forme delle esperienze dei ragazzi e delle ragazze che mi ritrovo ogni giorno in aula in università. Sono i loro sguardi allibiti quando cerco di fargli almeno intuire l’importanza del perché avere quantomeno una pallida idea di Calcedonia possa essere importante per riarticolare nell’oggi una parola su Gesù capace di gettare una qualche luce sull’umana vicenda di vivere.
Niente, ti devi arrendere davanti all’evidenza di un fallimento e prenderne consapevolezza. Anche i tentativi più ingegnosi di un’attualizzazione del discorso cristologico li lascia impassibili, come se si stesse parlando di un mondo parallelo – talmente virtuale e rarefatto che neanche la loro abitudine alla virtualizzazione del reale riesce ad assorbire in un qualche modo.
Eppure sento che non si può buttare via, per compiacere l’ascoltatore, un patrimonio di intelligenza, e talvolta di genialità, che il cristianesimo porta con sé sotto coltri di polvere millenaria. D’altra parte, non è nemmeno colpa loro, dei nostri ragazzi. Oramai, fin dall’asilo, li alleviamo come polli di batteria, smorzando sul nascere le ali di qualsiasi intelligenza critica e di curiosità del pensiero. Esercito di consumatori passivi delle devozioni istantanee che la signoria del mercato continua a inventarsi per tenerli avvinti a un nulla senza spessore e senza destinazione.
Custodire la storia e inventare il futuro
La potenza di questa consunzione dell’umano appare essere invincibile e senza alternativa. Ma se c’è qualcosa che davanti a questo non può e non deve arrendersi, è proprio il cristianesimo e la fede che, a fatica, cerchiamo di lasciar sgorgare dalle esperienze dei nostri ragazzi. Ma anche questo si rivela essere impresa titanica, messa in scacco fin dal principio dalle logiche delle potenze a cui abbiamo svenduto l’insondabile bellezza dell’umano – teneramente amato da Dio.
Davanti a questo scacco, una cosa appare immediatamente evidente: il corsetto dentro al quale continuiamo a costringere e pressare il sapere della fede non è solo diventato logoro, ma non funziona più. Se siamo onesti con noi stessi, e non viviamo in un mondo sidereo, questo non vale solo per i nostri ragazzi, ma anche per il teologo e la teologa stessi.
Ma eccoci tutti, ogni giorno, a praticare il nostro doveroso ossequio alla forma istituita dell’intelligenza della fede cristiana. Tutta una sovrastruttura, ecclesiale e statale, ci impone questo inquadramento che ha oramai esaurito ogni ragion d’essere – se non quella di corrispondere fedelmente alla modulistica degli accordi fra Stato e Chiesa.
Mai come oggi la teologia avrebbe bisogno di un azzardo sperimentale, fantasioso e capace di preludere a una riconfigurazione del suo stesso curriculum nell’accademia dei saperi e nell’esperienza dell’umano che vive concretamente. Un’impresa sapienziale in un qualche modo, tesa a ritessere l’anello mancante fra la geniale intelligenza che fu e l’indecifrabilità dell’odierna esperienza del vivere. Per ridestare la scintilla di un desiderio che non si consuma e non si scambia con alcun bene, per introdurre al gusto di prendersi cura delle cose e della vita come qualcosa che non può essere commercializzato.
Ridare vita al pensiero
Sottrarre il sapere stesso alla forma del profitto immediato, pianificato fin dal principio all’ottenimento di competenze spendibili in forma monetaria. L’applicazione strumentale di qualsiasi educazione al pensiero corrode in radice la ragione stessa a cui tutti ci appelliamo. Non dovremmo sorprenderci se le fake-news mettono fuori gioco l’evidenza dei fatti, visto che è da lungo tempo che lavoriamo alla corruzione commerciale e idolatrica della ragione.
Se la teologia avesse il coraggio di azzardare la riscrittura completa di se stessa, potrebbe riscattare la ragione civile di tutti dall’asservimento a cui l’abbiamo costretta. Ridare ariosità al pensiero comunemente umano, resuscitando potenze sommerse e dimenticate, oramai buone soltanto all’avvilimento di ogni slancio, è qualcosa che la teologia può avere nelle sue corde – se sapesse cogliere l’urgenza del momento.
Qualcosa di simile a quanto avvenne con Calcedonia, quando la buona litigiosità interna al cristianesimo seppe ridare vita a un pensiero che era oramai divenuto poco più della pallida ombra di se stesso.
Carissimo dr Marcello, comprendo perfettamente il disagio. Lanciare una sorta di Calcedonia 2 oggi per riscrivere le regole? Forse è una strada… ma se non si sperimenta mai e se si continua a solcare sempre gli stessi binari, e soprattutto se il tutto diventa solo terreno di scambio e di “lite” per addetti ai lavori non si va certamente da nessuna parte. Sempre di più, però, il “mondo” farà terra bruciata intorno a noi e non solo a livello dei giovani, ma di una massa di fedeli stanchi di dispute e di esegesi con sfoggio di cultura religiosa. Appunto: “azzardo sperimentale”, partendo dalla incarnazione di un Dio “strano”, che per capire l’uomo si è fatto uomo. Se si sperimenta qualcosa del genere… avvisatemi, ed io arrivo. Grazie della sincerità inusuale. Pietro