In questi ultimi tempi sono divenuti di inquietante attualità anche in Italia alcuni casi di donne marchiate e sfigurate con l’acido, tanto da avvertire la necessità di introdurre nel nostro ordinamento penale nuove fattispecie delittuose. Non perché, ovviamente, non sia grave ogni atto lesivo di una persona, ma perché lo sfregio del volto ha conseguenze cosi profonde da incidere sull’identità fisica, sociale e psicologica di chi lo subisce.
L’acido, infatti, corrode non soltanto il corpo, ma anche l’esistenza della vittima. Sfigurare in particolare il volto di una persona significa deturparne ed eliminarne l’identità personale, ovvero l’insieme delle caratteristiche fisiche, psicologiche e culturali che le consentono di identificarsi all’interno della società.
L’aggressione con acido (solforico, nitrico o cloridrico) – conosciuta anche con il termine francese vitriolage, ma che potrebbe forse giustificare l’uso del neologismo volticidio – è quella forma di violenza premeditata consistente nel gettare una sostanza corrosiva sul corpo di un’altra persona – per lo più sul volto – con l’intento di sfigurarla, mutilarla e torturarla.
Il fenomeno sembra riguardare in termini drammatici soprattutto i seguenti Paesi: Pakistan, Bangladesh, India, Afghanistan Cambogia, Vietnam, Laos, Hong Kong, Repubblica Popolare Cinese, Repubblica Sudafricana, Uganda, Etiopia, Kenia, Colombia.
Secondo i dati dell’associazione inglese Acid Survivors Trust International, le persone sfigurate ogni anno dall’acido nel mondo sarebbero 500 mila, di cui l’80% donne.
Non c’è pena né risarcimento in grado di ripagare queste donne la cui vita è rovinata per sempre.
“Il volto parla”
Il volto non è una parte qualsiasi del nostro corpo: è la “porta di comunicazione” tra il nostro io e la società. Il nostro volto corrisponde anche alla caratterizzazione, che ognuno ha e dà di se stesso. Si potrebbe dire che nei lineamenti del volto è scritta la nostra storia, la nostra identità, la nostra provenienza, persino le trasformazioni che abbiamo vissuto nel nostro percorso di vita.
Si può aggiungere che il volto è il luogo dell’incontro: il luogo in cui si giocano tutte le dinamiche dell’essere umano. L’incontro con il volto dell’altro stabilisce la relazione, e la relazione è responsabilità. Il volto è lo strumento attraverso il quale l’umanità di ciascuno si rivela, si palesa. È quindi un mezzo di comunicazione. È il mezzo di comunicazione primo. In Totalità e Infinito, Emmanuel Levinas scrive che «il volto parla» e «la manifestazione del volto è già discorso».
La distruzione del volto ha il valore di una morte civile, inferta con inaudito cinismo. Lo sfregio del volto uccide parti del carattere e dell’individualità della persona sulla cui identità fisica, sociale e psicologica esso va ad incidere profondamente.
A sfregiare i tratti somatici del viso è la volontà violenta di restare unici padroni della bellezza e dell’io profondo della vittima che si sarebbe voluta possedere (“se non puoi essere mia, non potrai essere di nessun altro”).
Ma, a motivare l’orrendo crimine, vi possono essere anche altri motivi.
In primo luogo, il desiderio di rovinare la persona, renderla inumana attraverso la deturpazione del suo volto e del suo corpo, come a farle perdere la dignità di appartenere al genere umano, squalificarla al massimo livello, lasciandola in vita in un corpo devastato.
Inoltre, l’intenzione, da parte del persecutore, di ricordare per sempre alla vittima la gravità di quello che essa dovrà considerare un errore compiuto, quasi come a dirle “ogni volta che ti sentirai addosso le cicatrici, penserai a quello che hai fatto e te ne pentirai amaramente”.
Infine, la volontà dell’aggressore di rendere indelebile il ricordo del fallimento della relazione: “ogni volta che ti guarderai allo specchio penserai a me”.
Vuoto normativo da colmare
All’origine dell’aggressione con acido vi sono un odio e una ferocia tali da richiedere una rubricazione normativa diversa dalla lesione grave o gravissima subita in qualunque altra parte del corpo umano. Al pesantissimo danno fisico va aggiunto il grave danno psicologico di non potersi più riconoscere nel proprio volto e il danno sociale nel non vedersi riconosciuti dagli altri.
La responsabilità di chi commette un crimine così odioso non può essere limitata, pertanto, al reato di lesioni gravi o gravissime, poiché esso, rimanendo su un piano meramente fisico, non ricomprende la sanzione per le motivazioni psicologiche e antropologiche dell’atto criminale. Vi è quindi un vuoto normativo tra la condotta di lesioni e quella di omicidio.
Anche il tentato omicidio appare inadeguato a fronte di questa tipologia di atti criminali. Infatti, la lesione al volto prodotta con un acido o con il fuoco letteralmente uccide parti del carattere e dell’individualità della persona, ponendola di fronte ad un complesso, e non sempre completo, percorso di ricostruzione del sé, a livello sociale e individuale.
È il motivo per cui il nostro legislatore ritiene necessario configurare una nuova fattispecie delittuosa che sanzioni in maniera significativa tali condotte.
Un importante disegno di legge bipartisan
«Chiunque, volontariamente, cagiona al volto di una persona danni parziali o totali, tali da modificare le caratteristiche dello stesso è punito con la reclusione non inferiore ad anni dodici».
Sarà probabilmente del suddetto tenore il nuovo articolo 577-bis del vigente Codice penale, se il disegno di legge n. 2757, sottoscritto e presentato il 17 marzo 2017 da un folto gruppo di senatrici e senatori di tutti gli schieramenti politici – ed assegnato il 19 aprile 2017 alla 2ª Commissione permanente (Giustizia) del Senato della Repubblica in sede referente –, sarà trasformato in legge dai due rami del Parlamento.
Il provvedimento – costituito da soli tre articoli – ha l’obiettivo di introdurre nel nostro ordinamento un nuovo reato per contrastare sempre più incisivamente il fenomeno della violenza di genere allorquando assume la forma di sfregio del volto di una persona. Il nuovo reato potrebbe assumere la denominazione di omicidio di identità.
A sollecitare la presentazione del disegno di legge era stata, nel novembre 2016, Carla Caiazzo, una delle vittime, la quale, in una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, gli aveva chiesto «di sollecitare il nostro legislatore a individuare, sulla scorta di quanto sta tristemente accadendo, una nuova figura di reato che punisca severamente coloro che, nel loro intento delittuoso, colpiscono le donne e, soprattutto, le cancellano dalla società civile».
Il contenuto del disegno di legge
L’articolo 1 del disegno di legge prevede l’introduzione nel Codice penale degli articoli 577-bis, 577-ter e 577-quater. Nello specifico, l’articolo 577-bis disciplinerà la nuova fattispecie di omicidio d’identità, punendo con la reclusione non inferiore ad anni dodici, chiunque, volontariamente, cagioni al volto di una persona danni parziali o totali, tali da modificare le caratteristiche dello stesso (con esclusione, quindi, degli incidenti o in generale degli eventi di tipo colposo).
È previsto che la pena sia aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi dall’ascendente o dal discendente, dal coniuge, anche legalmente separato, dalla parte dell’unione civile o da persona legata alla persona offesa da relazione affettiva o con essa stabilmente convivente. Nei casi di condanna si applicheranno, quali pene accessorie, l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno, la perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione dalla successione della persona offesa, nonché la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte. Infine, nei casi di condanna, sarà esclusa l’applicazione del c.d. “patteggiamento” che, com’è noto, prevede la riduzione della pena fino ad un terzo.
L’articolo 2 reca modifiche all’ordinamento penitenziario, disponendo, nelle ipotesi di condanna, l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione, solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta per almeno un anno. Nel caso in cui i fatti siano stati commessi in danno di persona minorenne, il magistrato o il tribunale di sorveglianza dovranno valutare la positiva partecipazione dell’autore delle predette condotte al programma di riabilitazione.
L’articolo 3, infine, istituisce l’Osservatorio permanente per le azioni di monitoraggio, prevenzione e contrasto al fenomeno, del quale fanno parte rappresentanti del Ministero dell’interno, del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nonché della Conferenza unificata Stato-Regioni.
È previsto, inoltre, che il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con le regioni e con le province autonome, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, definisca linee-guida che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado i temi dell’educazione alla legalità e del diritto all’integrità dell’identità personale.
“Ricomincio tutto da capo con la mia nuova faccia”
Il diritto all’integrità della propria identità rientra indubbiamente tra i diritti inviolabili dell’essere umano (art. 2 della Costituzione). Se violato, la persona svilupperà un’identità fragile che dovrà essere ricomposta per mantenere un funzionamento psichico adeguato.
Questo richiede molta forza, coraggio e determinazione che consentirà alla vittima non solo di accettare una violenza inaccettabile, ma anche di rinascere e costruire una nuova identità sulla base di ciò che si è.
Lucia Annibali, avvocatessa di Pesaro, donna straordinariamente forte e coraggiosa, sfregiata in volto il 13 aprile 2013 da due malviventi inviati dall’ex fidanzato e collega, ha dichiarato in un’intervista al Corriere della sera l’8 settembre 2013: «Devo pensare a me e a guarire il più possibile: lo devo a me stessa. Voglio riordinare la vita partendo proprio da quello che mi è successo. Niente sarà più come prima, ma sono pronta. Del resto sarò un’altra Lucia per tutta la vita. Ricomincio tutto daccapo con la mia nuova faccia».
Non rimane che augurarsi che il disegno di legge, il quale, oltre che essere sottoscritto – caso piuttosto raro! – da rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari presenti in Senato, costituisce un unicum anche in campo europeo, diventi legge il più presto possibile. Sarebbe un bell’esempio di politica alta e nobile a servizio esclusivo delle persone e della comunità.