Marx: L’Europa è il futuro, non si torna indietro

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Un Forum di dialogo per «Ripensare l’Europa». Si terrà a Roma dal 27 al 29 ottobre e sarà promosso dalla COMECE (l’organismo che a Bruxelles coordina le Conferenze episcopali dell’Unione europea) e dalla Santa Sede nell’anno in cui si celebrano i 60 anni della firma del Trattato di Roma. Un Forum al quale prenderà la parola papa Francesco dove per la quinta volta pronuncerà un discorso «forte» sull’Europa e il futuro dell’Unione in un momento in cui il nostro continente sta attraversando una profonda crisi e sta quindi cercando vie nuove per una rifondazione del proprio progetto. Di questo importante appuntamento di fine ottobre, la presidenza della COMECE ha parlato con il papa incontrandolo in Vaticano il 16 maggio. Il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, presidente della Conferenza episcopale tedesca, è il presidente della COMECE.

COMECE e Francesco

Il comitato permanente della COMECE ricevuto da papa Francesco (16 maggio 2017)

– Eminenza, perché organizzare un incontro su «Ripensare l’Europa» e a chi è destinato?

 «L’idea di realizzare questo Forum di dialogo era nei nostri piani già da due anni ed è per noi motivo di grande gioia che sia stata accettata anche dalla Santa Sede. Il segretario di stato mi ha detto che il papa stesso avvertiva la necessità di promuovere qualcosa di simile e ora la proposta è di organizzarlo insieme. La nostra idea è creare un’assemblea di dialogo. Non si vuole assolutamente fare una grande conferenza in cui parla chi ha già delle risposte. È piuttosto nostra intenzione avviare un processo di dialogo tra i rappresentanti delle Chiese (vescovi e laici) e i politici, coloro che hanno responsabilità politica e prendono le decisioni. È nostra esperienza e anche il papa ci ha detto la stessa cosa, che i politici sono alla ricerca di orientamenti per il futuro dell’Europa. La crisi è esistenziale. Lo abbiamo visto con la Brexit, con il dilagare dei nazionalismi, con la questione della zona Euro. Sono tutte questioni di non facile soluzione, pertanto occorrono orientamenti forti e nuovi per l’avvenire dell’Europa».

– Il progetto europeo di Unione compie 60 anni e sta attraversando forse una delle crisi più delicate della sua storia. Dalla minaccia del terrorismo alle migrazioni. Qual è la ferita “europea” che vi preoccupa di più?

«La paura e la mancanza di fiducia. La crisi, lo sappiamo, è profonda. Ma il papa ha detto il 24 marzo, nella Sala Regia, durante la cerimonia con i capi di stato e di governo dell’UE, in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma, che la crisi è una possibilità, è una chiamata e quindi non necessariamente una cosa negativa. La crisi è una chance, può indicare che è arrivato il momento per decidersi, per capire dove è il nostro futuro. Tutti sappiamo che la crisi ci pone di fronte a questioni gravi ma ci chiede anche di non stare fermi e prendere delle decisioni. Non possiamo non fare nulla. Dobbiamo deciderci a fare qualcosa. Ritornare indietro nel passato, al diciannovesimo secolo, al secolo dei nazionalismi, dei populismi, al secolo esclusivamente degli interessi, è impossibile e la maggioranza della nostra gente lo sa. Si tratta, allora, d’incoraggiare l’altra via che è quella di lavorare insieme e capire che questo lavoro insieme è possibile solo se tutti compiono lo sforzo di farlo. L’Europa oggi attende che si facciano passi in avanti nella direzione di una più profonda solidarietà. Che cosa è l’Europa? Come ha detto Jean Monnet una volta: è un progetto per un mondo migliore. Semplice, non ideologico, non romantico. Ma un’idea, forte: il mondo deve essere migliore con l’Europa e non peggiore».

– Da più parti proprio nelle ultime settimane si avverte la necessita di una rifondazione dell’Unione Europea. Con questo intento si sono incontrati il neo-presidente eletto in Francia, Emmanuel Macron, e Angela Merkel. Quali orientamenti si possono suggerire per questo delicato passaggio della storia europea?

«Sono le grandi idee come lavorare per la pace, per un mondo migliore ma anche avviare progetti più concreti come la necessità di creare un nuovo fondamento per l’Unione dell’euro e creare le condizioni perché questa Unione sia stabile e possibile. È una grande questione, non facile. Paesi come la Francia e la Germania, sono importanti ma bisogna fare le cose insieme, con tutti i paesi dell’Unione Europea. Per noi, le linee per il futuro sono quelle della dottrina sociale della Chiesa. La sussidiarietà e, cioè, capire quando prendere le decisioni a livello europeo e quando, invece, è più proficuo che queste decisioni vengano prese nei singoli paesi. Sussidiarietà dunque, un principio assolutamente necessario per riguadagnare la fiducia dei popoli. E poi la solidarietà. Se, per esempio, non abbiamo idea su come risolvere il problema della disoccupazione in paesi come Spagna e Italia, l’Europa faticherà ad avere un futuro. Non è più possibile, quindi, dire: questo è un problema che non mi appartiene. È un problema comune. Lo sviluppo dell’Europa deve poggiare su una solida colonna sociale perché se le persone non hanno un futuro, se i giovani non riescono a trovare un lavoro, se le famiglie faticano a costruirsi un avvenire, non è possibile avere fiducia nel progetto europeo».

– Quindi, il progetto europeo anche se compie 60 anni, non è vecchio?

«Assolutamente no. È il futuro».

– E perché?

«Perché credo che noi viviamo in un mondo dove le persone sono più interconnesse e vicine tra loro. Ritornare a un mondo chiuso in se stesso, ritornare ai particolarismi, non è possibile. Siamo chiamati ad andare avanti e a farlo insieme».

L’intervista è stata pubblicata il 17 maggio 2017 dall’Agenzia SIR

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