La notizia che papa Francesco si recherà sulla tomba di don Primo Mazzolari martedì 20 giugno, prima di far visita a Barbiana, ci porta a considerare la figura e il messaggio del parroco di Bozzolo.
In forma riservata e non ufficiale, il santo padre pregherà nella chiesa di San Pietro e rivolgerà ai presenti un discorso di commemorazione. Intenderà parlare soprattutto ai preti, per offrire loro un modello di spiritualità presbiterale per il nostro tempo.
La sorpresa è grande, anche se forse c’era da aspettarselo: Francesco non ha nascosto negli ultimi mesi la sua vicinanza a don Primo. Ha persino scritto un testo autografo come introduzione al libro curato da mons. Leonardo Sapienza La parola ai poveri. Ha inviato in dono una rosa d’argento, ora collocata sulla tomba.
Don Mazzolari “parroco”
Che parroco è stato don Primo Mazzolari? Quale pastorale ha promosso a Cicognara e a Bozzolo in quasi quarant’anni di vita pastorale, dal 1922 al 1959?
La riflessione di Mazzolari sulla vita della Chiesa attraversa trent’anni del suo ministero. Dalla Lettera sulla parrocchia (1936) all’opuscolo La parrocchia (1957) si annoverano molteplici interventi del parroco di Bozzolo, soprattutto attraverso le pagine di Adesso.
Don Primo tenta una via italiana di soluzione alla crisi della parrocchia. Essa è infatti la «cellula vivente della Chiesa», il luogo dove «la Chiesa fa casa con l’uomo».
La sua analisi però non manca di evidenziare i problemi in corso. Il pericolo che avverte è la distanza dalla realtà. L’organizzazione sostituisce la vita. Così la parrocchia ha perso la sua vitalità, cioè la sua capacità di interpretare il vissuto. Ci si dedica ad un’organizzazione che, quanto a capacità di attrattiva sull’esistenza delle persone, ha fatto il suo tempo. Si constata il seguente passaggio: da una parrocchia che era il tutto della vita della comunità, fino a esercitare una funzione sociale, a una parrocchia insignificante.
Mazzolari non si rifugia in una recriminazione per la perdita di potere o di prestigio della Chiesa. Lamenta, invece, l’incapacità di essere lievito. È il metodo dell’incarnazione ad essere messo sotto accusa, non la gestione di un ruolo sociale.
Per questo motivo, la soluzione sarà nel rinnovamento che passa attraverso una diversa valorizzazione del laicato. La parrocchia vive un difetto di incarnazione. Ci si innamora di schemi e non si ha più il coraggio di osare con le persone.
Mazzolari associa spesso la Chiesa all’immagine della casa o del focolare domestico. La Chiesa è la casa di tutti, dove è possibile fare l’esperienza della figliolanza divina. Nulla è scontato, come nella parabola evangelica del figliol prodigo, commentata in La più bella avventura: chi è lontano può passare per «l’avventura della conversione» e ritrovare la casa del Padre, mentre chi si considera «dentro» può rischiare di non capire l’amore gratuito di Dio.
La pastorale assume il compito di costruire un clima familiare con chi condivide l’esperienza della fede, ma è anche capace di suscitare fascino verso chi si trova sulla soglia. Se il lontano si sente ospitato, i passi di avvicinamento sono facilitati. L’ascolto dell’errante diventa un metodo pastorale e uno stile di vita credente: si tratta di accompagnare la fede dell’altro, di prendere per mano i suoi dubbi, di aver cura della sua presenza. La proposta cristiana va fatta in modo che l’altro si senta accolto.
Il metodo mazzolariano lascia spazio alla maturazione dei tempi, favorisce i passaggi e la gradualità di comprensione dell’altro. «Ognuno è soltanto obbligato a camminare con la luce che ha, cioè a fare la verità di cui è in possesso. Il rimanere fedeli alla verità posseduta non è un piccolo merito, mentre apre la via a una luce più grande».
Il lontano potrà varcare la soglia della fede solo dopo aver visto il credente varcare la soglia della sua vita. Con discrezione, in punta di piedi, nella gratuità. In questa fiducia relazionale, il cristianesimo acquista nuove possibilità di esprimersi.
Pericoli da evitare
Don Primo propone un esame di coscienza dei metodi dell’apostolato ecclesiale. Nella pastorale si percorrono tre strade che sembrano essere impraticabili.
1. In primo luogo, il metodo del lasciar fare. Ci si accontenta di criticare, di «descrivere con compiacimento amaro e altezzoso gli errori» del laicismo imperante. Ma sparare a zero non porta a nulla. Ci si sente a posto e ci si permette di disapprovare solo perché si hanno le mani libere e pulite. È un metodo che non ha nulla di cristiano perché porta a tirarsi fuori, a stare alla finestra a guardare con spirito critico. Manca una capacità propositiva.
2. Il secondo metodo è la strada dell’«attivismo separatista». L’impegno diventa quello di creare istituzioni confessionali (banche, cooperative, circoli, sindacati, scuole, mutue, cinema, sport…). Certamente con questo metodo la fede si mostra operosa ed è abitata dalla fantasia. In alcune epoche storiche tutto ciò era dettato dall’urgenza, soprattutto in sostituzione di una comunità civile assente dal punto di vista organizzativo. Tuttavia, questo non può essere uno stile credibile. Si crea infatti un mondo contrapposto ad un altro. A fronte di un’istituzione laica, ne nasce una «cattolica». Si diventa élitari. Si favoriscono interessi e clientele con un’etichetta cattolica. Emergono appartenenze in contrapposizione.
3. Il terzo errore è il metodo del «soprannaturalismo disumanizzante». Ci si rifugia nel religioso per superare le difficoltà e le delusioni che si incontrano. Ci si estranea dal mondo, il vero campo dell’apostolato, per preferire devozioni: «Si sopprime un termine, il mondo, cioè il campo dove il Signore vuole che lavoriamo». È la tentazione dello spiritualismo. La fede in tal modo diventa improponibile, specialmente per i giovani e per chi è intelligente: per essi una fede che non si traduce in opere rimane sterile. Ne deriva un apostolato fiacco, per nulla invitante, senz’amore.
Atteggiamenti da assumere
Se questo è il quadro, occorre «rinunciare, non dietro necessità ma per convinzione e spontaneità, all’idea di restaurare quantitativamente la parrocchia di una volta». Il ruolo del laicato è decisivo al riguardo.
Se invece si guarda alle caratteristiche più importanti del suo ministero sacerdotale, ne escono tratteggiati due atteggiamenti.
– Il primo è la condivisione dei problemi delle sue comunità. È stato parroco per la gente e tra la gente. La stima e l’affetto della gente di Bozzolo si manifestano in molteplici occasioni. Durante la visita pastorale del 1942, i parrocchiani scrivono al vescovo queste parole di saluto: «Eccellenza Rev.ma, (…) ora Voi partite ma a rappresentarVi, e a farci sentire vivo e palpitante il Vostro cuore, la Vostra bontà ci lascia il nostro Arciprete. Vi diciamo grazie anche per questo dono che ogni giorno più sentiamo grande. A Voi pure Eccellenza sono noti i suoi meriti, ma ora che c’è l’occasione, vogliamo dirvi l’ammirazione, la riconoscenza nostra per l’azione che va compiendo fra noi in ogni campo».
– Il secondo è l’ascesi personale. Mazzolari è convinto che solo uno stile di vita sobrio e decoroso possa custodire il ministero del sacerdote. Impara a gestire le sue energie. Trova il tempo per molte cose: visita le famiglie e gli ammalati, legge libri e giornali, scrive lettere, ascolta le persone, pubblica articoli e libri. Si interessa di teologia, di politica, di filosofia, di letteratura, di problemi sociali ed educativi. Riesce a rispondere ad ogni lettera che arriva in canonica: non è difficile ipotizzare che dormisse poco.
Spigolando tra le lettere inviate all’amico don Guido Astori, emergono consigli sulla vita del prete: sono perle di saggezza. Preoccupato per la salute dell’amico, nel 1935 scrive: «È questione di organizzare un poco la giornata e di scaglionare una savia distinzione tra il lavoro indispensabile, utile, poco utile, inutile. Ricordati che lo studio è tra i lavori necessari. Lascia ad altri mansioni supplementari e vanzati un po’ di tempo per te». E l’anno successivo: «Impara a fare l’arciprete. Tra l’arciprete decorativo e l’arciprete facchino c’è una linea mediana che mi pare raccomandabile».
Il segreto della straordinaria capacità di mettere insieme una molteplicità di impegni sta in questa regola di vita. Tutto ciò a testimonianza del fatto che è l’animo a fare l’apostolo…