Abbiamo chiesto al teologo Ioannis Maragós, parroco nell’isola greca di Syros, la sua opinione sull’incontro a L’Avana tra il pontefice romano e il patriarca di Mosca.
– Come qualificherebbe l’incontro tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill?
Uno strano incontro tra papa Francesco e il patriarca della Russia Kirill nella sala di attesa e di transito di un aeroporto in un territorio neutro. Un cerimoniale conciso, saluti e abbracci d’obbligo, colloquio privato, firma di una dichiarazione comune precedentemente concordata nei minimi particolari, doni e saluti finali. Tutto ben concertato per non avere brutte sorprese. Senza preghiere, senza gesti caratteristici cristiani, a parte la croce e la Madonna odighitria alle spalle. Giusto come due capi di stato. Quindi, anche la dichiarazione ha il carattere di un documento diplomatico, pulito, in un linguaggio velato di teologia. Certo, si potrebbe vedere in questa austerità un segno di una Chiesa pellegrina verso la patria celeste. Noi però, a Sud-est di Roma, abbiamo un’esperienza diversa.
Quando a Giovanni Paolo II, ad Atene, fu offerto il pranzo dall’arcivescovo ortodosso, fu sollevato il problema: una preghiera sì o no? Da buoni cristiani, certamente sì, ma la santa tradizione dei padri prescrive che non si può pregare con gli scismatici e gli eretici. Nella nostra isola la presenza nelle nostre chiese di preti ortodossi si è ristretta all’osso. Prima venivano ad ogni occasione. Adesso, quando vengono, lo fanno – ha spiegato il metropolita di Syros, Doroteo – come si va ad un incontro di tipo sociale, senza fare né un segno di croce né recitare una preghiera.
L’incontro de L’Avana mi è parso avere le caratteristiche di un incontro diplomatico e politico, per niente spirituale. E questo non per colpa del papa, quanto piuttosto per la paura del patriarca Kirill degli ultraconservatori. Le Chiese ortodosse vanno verso il tormentato concilio pan-ortodosso, che si celebrerà a Creta, e i gerarchi devono studiare tutte le mosse.
– Ha fatto scalpore in Grecia la recente nomina del nuovo esarca per i cattolici di rito greco, il benedettino spagnolo Manuel Nin, teologo ed esperto di liturgia, già rettore del Pontificio Collegio Greco di Roma?
Certamente sì. I più moderati l’hanno considerata una scelta stranissima. Il nuovo esarca sarà consacrato il 13 aprile a Roma per paura di disordini da parte dei fanatici ortodossi, che non sono solo semplici fedeli, ma anche metropoliti. Gli hanno già affibbiato diversi titoli: un latino vestito da orientale, un lupo camuffato da agnello, un cavallo di Troia che Roma ha introdotto per espugnare l’ortodossia… Staremo a vedere come andranno le cose.
– Che cosa rimprovera alla Santa Sede?
Deve cambiare atteggiamento. Posso portare la mia esperienza all’interno della Chiesa di rito latino in Grecia. Arrivano ad Atene cardinali e dignitari di curia per visite ufficiali e ufficiose alla Chiesa ortodossa per parlare di ecumenismo, unione e quant’altro. “Baci e abbracci” a non finire, direbbe il mio vescovo, ora emerito, Papamanolis. Si comportano come se la Chiesa cattolica locale non esistesse. Noi veniamo informati dai mass media locali.
C’è tanta strada da fare. L’ecumenismo deve andare al di là delle barriere innalzate dalle divisioni delle diverse denominazioni cristiane. Dovrà tentare di cogliere tutti i segmenti, facendo respirare e vivere tutta l’ampiezza della realtà umana, sia che si radichi nei valori evangelici sia che si fondi sui reali bisogni dell’uomo.