Dopo aver messo in atto una vigorosa “pars destruens” (qui la prima parte), sottoponendo a una critica serrata le strategie pastorali escogitate per far sopravvivere la parrocchia (situazione preti, Unità pastorali, co-parroci…), l’autore propone una sua soluzione. Essa consiste nel dotare ogni comunità parrocchiale del servizio del diaconato permanente. Propone anche alcune tappe di selezione di questi ministri e il loro modo di rapportarsi con il presbitero designato per quel territorio.
Il diaconato permanente, opportunità per il nuovo modello di Chiesa
Non è pensabile che, nell’arco di qualche decennio, la Chiesa modifichi la disciplina del celibato obbligatorio, tanto siamo consapevoli che questo è un cambiamento che andrebbe a toccare le radici. I grandi cambiamenti sono sempre avvenuti attraverso un lungo percorso con tappe intermedie, attraverso scelte compatibili con l’impianto disciplinare vigente.
È necessario però fare scelte che non vengano calate dall’alto, aspettando che il Vaticano o la CEI prendano posizione adottando indirizzi rivoluzionari. Tutto questo è pura fantasia! Bisogna invece che ogni singola Chiesa locale prenda in mano il testimone, con coraggio, lungimiranza e determinazione. Se vogliamo cambiare, bisogna partire oggi per avere i primi risultati tra dieci anni. Se non cambiamo oggi, tra dieci anni saremo ancora più stressati e non avremo neanche le energie per cambiare.
Nel cambiamento, determinante è il ruolo del diaconato permanente.
Ci sarebbe da ragionare anche sui religiosi, sul laicato e sul ruolo della donna, ma… non si può parlare di tutto!
Limiti nell’attuale disciplina del diaconato permanente
Prima di tutto cerchiamo di vedere i limiti del diaconato permanente nella situazione attuale.
a) Mancanza di un progetto chiaro intorno al ruolo del diacono permanente.
Il diacono rimane una figura di supporto, specie nell’ambito liturgico. C’è bisogno di dare al diacono qualcosa di nuovo e connaturato con le esigenze del nostro tempo. Bisogna, da una parte, raccogliere il testimone della tradizione e, dall’altra, non rimanere prigionieri nelle rigidezze teologiche di chi intende lasciare il diacono in un ruolo generico e di supporto
b) Un grave problema di età
Non è necessario che i diaconi siano tutti volontari e quindi siano prevalentemente pensionati! Attualmente l’età media dei diaconi supera i sessant’anni e questa è una scelta determinata dal fatto che arruolare un giovane significherebbe mettere mano al portafoglio! O si ha il coraggio di immaginare anche un programma di investimenti su questo progetto, o saremo sempre in una situazione di stallo. Investire su dei giovani (gente di 40/50 anni), con un ruolo ben definito, è essenziale. Un giovane che sia riconosciuto all’interno della comunità per la sua saggezza e la capacità di essere pastore. Un giovane che viva una condizione familiare serena, che sappia condividere la sua scelta con la propria famiglia. Non occorre che sia disposto a mettersi in gioco immediatamente “per sempre”, ma che sia disponibile per alcuni anni della sua vita, con delle forme “contrattuali” (brutto termine, ma necessario per capire…) ben delineate e a termine, prima della scelta “permanente”.
c) Carenze nel discernimento
Non possiamo negare che spesso il ruolo del diaconato sia ambito da persone che aspirano a mettersi in mostra nelle celebrazioni… questo è un gran brutto segnale! Alle volte si candidano persone che nascondono la propria frustrazione per non aver avuto accesso al presbiterato e quindi possiedono tutti i peggiori sintomi del clericalismo.
Uno dei problemi più gravi all’interno della Chiesa è la qualità e la professionalità di coloro che sono chiamati a fare discernimento. Questo riguarda soprattutto l’ambiente del seminario e, in particolare, la scelta dei nuovi presbiteri. Ritengo giunto il momento di affidare questo compito a un gruppo di persone dove venga dato spazio anche a presenze esterne alla Chiesa stessa, a professionisti (meglio se donne) che non siano cresciuti all’interno dell’ambiente clericale.
d) Eccessivo peso dato alla formazione scolastica
In questi anni è spesso successo che il candidato al diaconato, pur non essendo ritenuto idoneo per un compito così importante a causa di alcune contraddizioni presenti nella sua personalità, sia stato indirizzato ugualmente a frequentare la scuola teologica. Alla fine del percorso scolastico l’aspirante diacono si sentirà sicuro di essere accolto nel novero, pur avendo conservato i suoi limiti. Chi avrà il coraggio di dirgli: “non sei adatto!”, dopo che questi si è sobbarcato il peso di sei/sette anni di studi?
Ha senso poi un itinerario di così tanti anni? Se la valutazione è soprattutto sulla personalità, non potrebbe bastare un cammino molto più breve e soprattutto più mirato?
Proposte
Se partiamo oggi, potremmo avere dei frutti tra dieci anni. È per questo che voglio immaginare quello che potremo avere dopo questo tempo di coraggioso cammino.
– Il diacono scelto dalla sua comunità e operante nella stessa
«Con il diaconato permanente tu sei a servizio della Chiesa, del tuo vescovo e devi essere disponibile a un servizio anche in una comunità diversa dalla tua». Ha senso oggi una simile affermazione? Non è questo uno dei motivi di tanti scandali presenti oggi nel clero?
Io credo che il ruolo della comunità debba essere ripristinato, proprio come era nella Chiesa primitiva. Si deve scegliere tra le persone riconosciute e stimate della comunità e poi orientate verso il sacramento del diaconato.
– Il discernimento
Sarà necessario stilare una forma di protocollo per individuare i candidati. Un’ipotesi potrebbe prevedere prima di tutto la proposta del parroco che suggerisce il nome (o i nomi) del possibile futuro diacono. Il passaggio successivo, molto importante, sarà il giudizio della comunità.
Non è sufficiente la prassi delle pubblicazioni, come si usa attualmente, e si dovrà studiare una pratica nuova, utilizzando anche il giudizio in camera caritatis. Questo per togliere subito dalla lista dei candidati persone con tratti negativi nella loro personalità.
Ecco un’ipotetica scaletta di atteggiamenti negativi che devono essere evidenziati: ignoranza o anche mancanza di cultura, tirchieria o peggio avidità, poca trasparenza di vita, infedeltà, atteggiamenti sbagliati o peggio disturbi nella vita sessuale, irresponsabilità soprattutto nel lavoro, tratti di eccessi religiosi, atteggiamenti problematici nella propria famiglia, partigianeria, utilizzo esagerato del mondo web, trascorsi poco positivi nella comunità… Attenzione ai convertiti: vanno cancellati in partenza!
Dopo i primi due passaggi (la presentazione del parroco e la conferma della comunità), ci sarà l’ultimo passaggio, quello con la commissione diocesana. Questa deve essere composta da persone all’altezza di un discernimento autentico, capace di intuire i reali orientamenti delle persone. È necessaria la presenza di preti, di donne e di psicologi preparati e non necessariamente credenti o in totale linea con gli orientamenti della Chiesa. Per poter individuare i candidati ci vuole almeno un anno, se non due.
– Tappe per affidare prima ai candidati e poi ai diaconi la guida delle comunità con il titolo di “curato” (una proposta di sapore antico).
Il progetto prevede di nominare come guide delle parrocchie dei diaconi permanenti, scelti nella e dalla comunità di origine, nominati dal vescovo.
Prima di arrivare alla scelta definitiva, è necessario un periodo propedeutico che può essere scandito dall’itinerario ministeriale.
Indispensabile sarà assicurargli una posizione retributiva dignitosa e assegnargli la gestione completa della cassa e dell’economia parrocchiale. È un vero “curato”, un pastore che ha cura delle pecore, delle persone a lui assegnate!
Siamo consapevoli che la promessa “per sempre” non è necessaria in partenza, ma sarà la meta di un cammino come quello che avviene nella convivenza tra i giovani d’oggi che arrivano al matrimonio quando decidono che il loro amore è una scelta definitiva. È necessario prima mettere il candidato al diaconato permanente a confronto con il reale ruolo che dovrà affrontare in futuro senza l’oppressione di un promessa dalla quale non potrà mai recedere e poi permettere ai superiori una conoscenza del candidato messo nelle condizioni reali del suo ruolo.
Ecco le varie tappe.
* Selezionati i candidati al futuro diaconato permanente, si dovrà prevedere il cammino di formazione, per un massimo (di più sarebbe un accanimento) di due anni. Il candidato dovrà essere accompagnato da un gruppo di formatori. Filosofia, psicologia della relazione, pedagogia e catechetica, teologia e pastorale, gestione economica.
Alla fine di questo periodo il candidato potrà accedere al ministero del lettorato.
* Il lettore inizierà ad avere la responsabilità come guida della comunità parrocchiale, come “curato”. È il responsabile e la guida di una parrocchia, in strettissimo collegamento con il presbitero. Si stipula un contratto a termine, non più di tre anni. Ci sarà da subito anche il riconoscimento economico sufficiente per una dignitosa esistenza.
Alla fine potrà accedere al ministero dell’accolitato.
*L’accolito continuerà l’esperienza come nei primi tre anni. Anche qui un contratto di tre anni. Stesse condizioni del lettorato. Alla fine, sarà riunita la commissione diocesana già chiamata in azione all’inizio dell’avventura e si potrà passare al diaconato permanente, alla scelta “per sempre”.
Verso nuovi scenari
a) La liturgia
Ogni curato è chiamato a presiedere i momenti della celebrazione domenicale e a commentare la parola di Dio. Sarà suo compito anche distribuire l’eucaristia che, tra i vari significati, ha anche quello di rappresentare l’universalità della Chiesa: sentirsi parte di un popolo più grande e condividerne le scelte principali.
b) In comunione gerarchica con il presbitero
Ogni curato sarà in comunione gerarchica con il suo presbitero, quello previsto all’interno del suo territorio.
Il presbitero sarà “il piccolo vescovo” di quella fetta di diocesi che possiamo chiamare ancora Unità Pastorale (la falsariga degli attuali vicariati) e avrà soprattutto il compito di tenere unito il popolo dei credenti mantenendo la comunione con i singoli curati e le loro comunità. Attraverso l’eucarestia potrà presiedere alla stessa comunione.
Solo così sarà possibile la ricerca della “qualità” dei presbiteri.
In fondo, è quello che dovevamo imparare dai nostri fidei donum, dalle missioni in varie parti del mondo, dove questo schema è già stato utilizzato.
Questo è uno degli aspetti più innovativi di tutto il progetto, che richiede il massimo di fantasia e di coraggio.
c) Il papa Francesco e le “diaconesse”
Quello potrà essere un altro passo enorme per il futuro della Chiesa, senza toccare lo spinoso capitolo (che secondo il mio parere dovrà in futuro… quando noi non ci saremo… essere affrontato) del sacerdozio al femminile.
d) Cominciare sperimentando
Un simile impianto ha bisogno di esperimenti e sarà necessario iniziare a breve provando in alcune zone del territorio diocesano ritenute più preparate.
Maistrello Luigi è nato nel 1954 a Isola Vicentina ed è prete dal 1979. Dopo 35 anni di vita in varie parrocchie della diocesi di Vicenza prima come vicario cooperatore (quindici anni) e poi da parroco (vent’anni), è attualmente il cappellano del Carcere di Vicenza. Lavora anche in una Cooperativa Sociale denominata “Elica” che ha fatto nascere con un gruppo di amici fin dal 1983. Autore di varie pubblicazioni di carattere spirituale presso Il Messaggero e Paoline. Nel 2014 ha scritto Passione Evangelica, un testo di riflessioni introdotto dal teologo Vito Mancuso. Nel 2016 ha pubblicato per le edizioni Reverdito di Trento Lo scontro: il vescovo principe e il prete ribelle, con l’introduzione di Gian Antonio Stella.
Ho letto con interesse le proposte pratiche di don Luigi Maistrello,talmente pratiche che risulterebbero(secondo
il mio punto di vista)declinabili fin da ora,visto il tempo di crisi vocazionale che viviamo.
Abbiamo bisogno di concretezza nelle proposte !