A inizio giugno avevano tentato di far ravvedere il loro presidente in merito agli Accordi di Parigi sul clima, ma Donald Trump aveva tirato dritto annunciando la sua intenzione di non rispettare quanto deciso dall’amministrazione precedente (insieme ad altri 175 Paesi al mondo). Parliamo dei vescovi degli Stati Uniti, la cui attenzione è sempre più rivolta al dovere della politica di venire incontro a tutte le creature e tutti gli esseri umani, in particolare quelli più vulnerabili, che soffrono per uragani, inondazioni, siccità, carestie e scarsità d’acqua causati dal cambiamento climatico in corso (i cui effetti stiamo sperimentando anche nelle nostre campagne).
E in queste giorni, a seguito dell’assemblea di primavera della Conferenza episcopale, che si è tenuta a Indianapolis, sono ancora una volta i più deboli ad essere al centro delle loro dichiarazioni in merito alla nuova proposta dell’amministrazione Trump sull’assistenza sanitaria degli americani, il «Better Care Reconciliation Act» (BCRA) che dovrebbe sostituire il cosiddetto Obamacare, ma che, nonostante il titolo, si sta rivelando sempre di più un mero contenitore ormai svuotato di quello che in Europa siamo soliti definire “sanità pubblica” e la cui discussione è iniziata in Senato lo scorso 22 giugno.
Occorre ricordare che nelle scorse settimane il presidente ha anche firmato un piano di bilancio che prevede un forte aumento della spesa per le forze armate e la lotta contro l’immigrazione e tagli pesanti in gran parte di tutto il resto, inclusa l’eliminazione di decine e decine di programmi federali attivi da lunga data e volti a fornire sussidi ai poveri e ai più vulnerabili, come, ad esempio, il «Supplemental Nutrition Assistance Program» (SNAP). La proposta di bilancio, denominata «Una nuova fondazione per la grandezza americana», aumenterebbe la spesa per la difesa di 54 miliardi di dollari, compensati dai tagli a molte agenzie e programmi che aiutano milioni di persone, tra cui i poveri (c’è chi parla del più grosso taglio dei programmi federali di aiuti dalla Seconda guerra mondiale in qua). Un fatto stigmatizzato non solo dalle famiglie di lunga tradizione democratica, ma anche da molti elettori repubblicani.
L’imperativo morale delle priorità
È del 26 giugno l’ultima dichiarazione del vescovo Frank J. Dewane della diocesi di Venice in Florida e presidente Commissione USCCB sulla giustizia nazionale e lo sviluppo umano, pubblicata sul sito della Conferenza episcopale degli Stati Uniti.
«Questo momento non può passare sotto silenzio. Come ha sempre ribadito l’USCCB la perdita di un accesso alla sanità pubblica da parte di milioni di persone è semplicemente inaccettabile. Queste sono famiglie concrete e bisognose che hanno estrema necessità di un’assistenza sanitaria. Preghiamo perché il Senato lavori in maniera lungimirante e condivisa così da mantenere tutto quanto di positivo è contenuto nell’attuale proposta, ma aggiungendo altresì ogni elemento mancante, là dove è necessari in modo tale da non mettere a rischio la quotidianità di tanti nostri sorelle e fratelli».
Ma, dopo aver definito «inquietanti» i danni che verrebbero arrecati da quel disegno di legge, il giorno successivo ha deciso di prendere carta e penna e inviare una Lettera direttamente al Congresso. «Rimuovere la copertura vitale per i più bisognosi non è la risposta ai problemi sanitari della nostra nazione, e farlo non aiuterà certo la costruzione del bene comune», si legge nel testo, che prosegue: «come vescovi degli Stati Uniti invitiamo il Senato a respingere tutti quei cambiamenti volti a modificare radicalmente la rete di sicurezza sociale per milioni di persone».
Riconoscendo la difesa di quanti non sono ancora nati (il ddl nega che l’aborto sia da considerarsi assistenza sanitaria, ma come avviene in ogni Paese al mondo dove l’aborto è comunque legale diventa arduo che la magistratura possa approvare tale decisione), il vescovo punta l’attenzione anche alla mancata copertura sanitaria per tutti gli immigrati e sottolinea come, a differenza della legge abrogata, non sia prevista alcuna forma di obiezione di coscienza per il personale sanitario.
«La ristrutturazione dell’assistenza sanitaria avrà un impatto negativo su tutte quelle persone già svantaggiate sul versante della qualità della vita», ha ammonito il vescovo Dewane. «In un momento in cui i tagli fiscali sembrano beneficiare i ricchi, mentre aumentano altri settori della spesa federale, come la difesa, mettere un limite alla copertura sanitaria per i poveri è da irresponsabili».
«Perché la Chiesa cattolica considera il bilancio un documento morale?» è la domanda al vescovo Dewane. «Il bilancio è un documento morale perché mette in evidenza le priorità di spesa collettive della nostra nazione, volte al benessere delle persone. Queste decisioni aiutano a determinare come tutti noi, e in particolare i più vulnerabili, fanno parte integrante della società. Come cristiani, ricordiamo anche le parole di Cristo: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Le scelte in materia di bilancio dovrebbero essere guidate dai criteri morali che assicurano la protezione della vita umana e della dignità, attribuiscono un’importanza fondamentale ai più deboli e promuovono il benessere dei lavoratori e delle loro famiglie che lottano per vivere in dignità. Non si può pareggiare un bilancio alle spalle dei poveri».
Il bilancio di Trump richiede grandi tagli al Dipartimento di Stato e agli aiuti internazionali, oltre a una riduzione di 191 miliardi di dollari per sussidi alimentari per i prossimi dieci anni, nonché altri tagli a quanto già poco rimane della rete di sicurezza sociale.
Da parte sua la Chiesa cattolica interviene da anni per collaborare con l’amministrazione nazionale: mons. Dewane ha ricordato in diverse sedi che «la comunità cattolica difende i non ancora nati e le persone prive di documenti, nutre gli affamati, protegge i senzatetto, istruisce i giovani e si preoccupa per i malati sia in patria che all’estero. Aiutiamo le madri a fronteggiare situazioni di gravidanza difficoltosa, le famiglie povere che si sforzano di superare la schiacciante povertà, i rifugiati che fuggono da conflitti e persecuzioni e le comunità devastate da guerre, disastri naturali e carestie. In gran parte di questo lavoro, i cattolici sono partner del governo. Le risorse combinate permettono alla nostra nazione di raggiungere e aiutare più persone. Pertanto, i vescovi cattolici degli Stati Uniti sono pronti a lavorare con i leader di entrambe le parti per la costruzione di un bilancio federale volto non solo a ridurre disavanzi futuri, ma in grado di proteggere al contempo anche i poveri e vulnerabili, promuovendo la pace e il bene comune della società civile».
Un coro di dissenso cattolico
Il testo in discussione al Senato, secondo i vescovi, manterrebbe gli stessi difetti del testo presentato e approvato dalla Camera dei deputati, l’«American Health Care Act», aggiungendone di nuovi e le elezioni previste per il prossimo anno minano ulteriormente la serenità dell’azione: di fatto sono molti i dubbi, le riserve e l’opposizione decisa anche di molti membri del Congresso di fede repubblicana (che non hanno mai sostenuto il presidente e ancor prima la sua candidatura).
Lo speaker della maggioranza al Senato, Mitch McConnell, in riferimento all’approvazione della Corte suprema (i cui nuovi membri sono stati nominati dal presidente) del cosiddetto Muslim Ban – il divieto d’ingresso da parte di cittadini provenienti da 6 nazioni musulmane – e di altre votazioni al Congresso, lamenta che «ci si accontenta di vittorie di parte, ma di piccolo cabotaggio evitando di proporre soluzioni funzionali e di lunga portata».
«La proposta al Senato avrà un impatto devastante sulla popolazione più vulnerabile della nostra nazione», ha dichiarato suor Carol Keehan, che guida la Catholic Health Association (CHA) che rappresenta più di 600 ospedali cattolici negli Stati Uniti.
Secondo un’analisi anticipata dal Washington Post, la legge del Senato mantiene molti elementi negativi del disegno di legge approvato lo scorso mese dalla Camera dei rappresentanti, tra cui l’abrogazione del mandato di governo che richiede a tutti i cittadini la copertura di un’assicurazione sanitaria, l’abrogazione della norma che richiede alle maggiori aziende di offrire un’assicurazione sanitaria e in più i grossi tagli al programma Medicaid.
«Le lievi modifiche apportate alla nuova proposta non modificano il fatto che milioni di persone (si parla di almeno 23 milioni) perderanno la loro assistenza sanitaria – ha detto suor Keehan –; sarebbe come decidere di ridurre le spese familiari mangiando solo due volte alla settimana».
A lei si aggiungono decine e decine di voci cattoliche singole o in gruppo, dai Catholic Relief Services, preoccupati per i grandi tagli ai programmi di sviluppo e agli sforzi diplomatici, fino a
suor Donna Markham, presidente e amministratore delegato delle Charities cattoliche, che ha messo in discussione la saggezza di ciò che ha definito «i disastrosi, oltre che crudeli, tagli ai programmi contro la povertà come SNAP, Medicaid e la formazione sul posto di lavoro».
Robert McElroy, vescovo di San Diego in California – che nell’autunno scorso ha dedicato un mini-Sinodo diocesano per avviare la ricezione globale dell’Amoris lætitia – ha sollecitato i suoi confratelli all’azione: «Occorre fare di più per far conoscere l’assalto sconsiderato al principio fondamentale dell’insegnamento sociale cattolico», aggiungendo che «l’assistenza sanitaria è un diritto umano fondamentale e il governo ne è il suo garante ultimo». «Pur con tutti i limiti, l’Obamacare era un passo decisivo a favore di un’assistenza sanitaria completa».
Di fatto questa vicenda della copertura sanitaria non aiuta certo a riavvicinare il presidente Trump al mondo cattolico (che pure l’ha votato in grande maggioranza): un sondaggio condotto nel periodo 8-18 giugno rileva come solo il 38% dei cattolici approvi le sue scelte politiche. Sulle loro decisioni inevitabilmente ha pesato anche la posizione dei vescovi, benché alcuni di essi, su tematiche particolari, vedano comunque in Donald Trump un alleato per la causa dei valori cattolici. È il caso dell’attuale presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Daniel Di Nardo, e del presidente emerito, il cardinale Donald Wuerl, che sono stati ricevuti di recente alla Casa Bianca per discutere di libertà religiosa (oggetto anche di una lettera a papa Francesco per congratularsi all’indomani della visita del presidente in Vaticano).
Sul versante dei protestanti evangelici bianchi il presidente, invece, gode di una larghissima popolarità: il consenso è al 74%.
La fosca previsione dei media
Noam N. Levey e Kyle Kim sulle colonne del Los Angeles Times nella scorsa primavera hanno tentato un confronto tra l’Obamacare, ormai affossato, e le attuali proposte di legge.
All’indomani dell’approvazione definitiva sarebbero 23 milioni i cittadini americani privi di copertura sanitaria, ma entro il 2026 il loro numero sarebbe destinato a raddoppiare. La nuova legge produrrebbe enormi diseguaglianze tra quanti vivono, ad esempio, in zone con premi assicurativi più alti come Alaska o Arizona, e chi vive in zone con premi inferiori come Massachusetts o Washington. In più l’importo sarebbe legato all’età di una persona, non più al suo reddito: in questo modo i giovani a basso reddito otterrebbero meno aiuti (e l’impossibilità di formarsi una famiglia e avere dei figli, calcolando il costo da sostenere per seguire una gravidanza e un parto in ospedale).
Nella riforma sanitaria del presidente Obama gli americani potevano ottenere un’assicurazione sanitaria anche se già ammalati e le assicurazioni non potevano imporre limiti annuali o di età per la copertura (un anziano non pagava il triplo di uno più giovane) e in più le compagnie erano tenute a garantire una serie di coperture fondamentali, tra cui la salute mentale, i farmaci con regolare prescrizione e l’assenza per maternità. La legge Trump non escluderebbe esplicitamente la copertura garantita, ma permetterebbe agli Stati di chiedere rinunce a diverse tutele: consentire agli assicuratori di ripristinare dei limiti alla copertura, per esempio a chi soffre di alcune patologie, oppure addebitare ai consumatori anziani un premio cinque volte maggiore. Gli Stati sarebbero autorizzati a ridimensionare le condizioni di copertura.
Al contempo verrebbero ridimensionate le coperture per la richiesta di interruzione volontaria della gravidanza (ma agli Stati sono consentite deroghe) e l’acquisto di contraccettivi, fatto che penalizzerebbe non poco le famiglie a basso reddito.
Il tutto è compensato da una forte riduzione fiscale per le compagnie di assicurazione e i cittadini con i redditi più alti che non sarebbero più costretti a pagare contributi per la sanità pubblica.
Come dire: si tornerebbe alla situazione negli Stati Uniti precedente all’entrata in vigore dell’Obamacare. Quando a una mamma, che si recava in un presidio sanitario per una vaccinazione (obbligatoria per la frequenza scolastica), veniva immediatamente richiesto il tesserino dell’assicurazione sanitaria: in caso contrario invece della prestazione gratuita (o del pagamento di un ticket di 5,00 $, come per un esame radiologico o visita specialistica) il costo lievitava a decine o centinaia di dollari. Lo stesso accadeva in caso di chiamata al 911 per richiedere un’ambulanza, ad esempio in caso di incidente stradale: senza certificazione di copertura, si aspettava invano.
Una situazione, per noi europei, quasi paradossale, ma che oltreoceano ha grosse probabilità di riaffacciarsi.