La recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata ad esprimersi in merito al fatto se un’esenzione da un’imposta comunale sulle costruzioni richiesta in forma di rimborso da una congregazione religiosa cattolica al comune spagnolo di Getafe rappresentasse una forma di aiuto di Stato, è più complessa e precisa di quanto non appaia dalle immediate riprese stampa che si sono potute leggere nei giorni scorsi (disponibile qui).
La sentenza
Già il quadro di partenza è articolato. In primo luogo, per quanto riguarda il soggetto di tale imposta sulle costruzioni: che è individuato nel committente dei lavori e non nella proprietà dello stabile in cui essi vengono effettuati. In secondo luogo, rispetto all’immobile in questione nella causa particolare rinviata alla Corte di giustizia dal giudice spagnolo.
Si tratta di un edificio di proprietà della Congregazione delle Scuole Pie di Getafe (scolopi), in cui si svolgono attività di carattere misto. Un primo uso dello stabile è per corsi e attività scolastiche da parte della congregazione religiosa che fanno «parte di un sistema di insegnamento pubblico» finanziato, «interamente o prevalentemente, mediante fondi pubblici» (§ 50).
Una seconda attività svolta nello stabile in questione è quella di «un insegnamento libero, senza contributo finanziario dello Stato membro» (§ 52), sovvenzionata attraverso rette e contributi da parte delle famiglie degli scolari che ne usufruiscono.
I lavori edili oggetto del rinvio alla Corte di giustizia riguardano una «sala per conferenze della scuola» (§ 53). Al giudice spagnolo viene richiesto di accertare se l’utilizzo di questa sala riguardi esclusivamente la prima o torni anche a vantaggio della seconda attività scolastica offerta dalla congregazione religiosa in questo edificio.
Nel primo caso, infatti, «istituendo e mantenendo un siffatto sistema di insegnamento pubblico, finanziato di norma dal bilancio pubblico e non dagli studenti o loro genitori, lo Stato [e con esso la congregazione religiosa che lo offre, nda] non intende impegnarsi in attività remunerante, bensì adempiere la propria missione nei settori sociale, culturale e educativo nei confronti della propria popolazione» (§ 50). In questo caso, le attività della congregazione religiosa non possono essere definite come «economiche» e, quindi, l’esenzione non rappresenta una forma di aiuto di Stato vietato dal diritto dell’Unione.
Nel secondo caso, in cui le attività scolari vengono finanziate da contributi privati, la congregazione religiosa può rappresentare un’«impresa» che svolge attività economiche e, solo per questo aspetto, deve attenersi, insieme allo Stato membro, al diritto che regola la libera concorrenza nei paesi dell’Unione. Il merito di valutare se l’esenzione in questione rappresenti un aiuto di Stato illecito riguarda, quindi, attività di istituti religiosi che possono essere definite «economiche» in quanto essi operano come un’impresa tra le altre.
La Corte auspica, in caso di utilizzo misto di edifici di proprietà di istituti religiosi e della Chiesa, una contabilità separata secondo il carattere specifico di ogni diversa attività, in modo tale che l’autorità giudiziaria dello Stato possa individuare con chiarezza il patrimonio derivante da un esercizio di carattere specificamente economico.
Attività economica della Chiesa e l’aiuto di Stato
Questo aspetto diventa rilevante, infatti, per ciò che concerne gli aiuti di Stato: infatti, i cosiddetti «aiuti di importanza minore», che non eccedono il «tetto massimo di EUR 200.000 sull’arco di tre anni», vengono ritenuti essere non incisivi «sugli scambi tra gli Stati membro» e non falsano o minacciano di falsare «la concorrenza, di modo che misure di questo tipo sono escluse dalla nozione di aiuti di Stato» (§ 82).
Dei quattro parametri del diritto europeo che definiscono un aiuto di Stato illecito, la questione in esame pare soddisfare i primi due: ossia che, per quanto riguarda le attività economiche della congregazione religiosa, l’esenzione dall’imposta comunale sulle costruzioni rappresenta per essa un «vantaggio economico selettivo», a cui consegue un danno per il comune in ragione di una diminuzione delle entrate previste con la suddetta imposta.
Per quanto riguarda gli altri due parametri (incidenza del vantaggio sugli scambi fra gli Stati e quella di eventuale distorsione della concorrenza), la sentenza della Corte è più sfumata e rimanda, come punto di riferimento sicuro, all’ammontare del vantaggio nel corso di un triennio senza esprimersi ulteriormente in merito.
Caso particolare e offerta di criteri generali
Per quanto concerne due nozioni chiave della sentenza, quella di individuazione del fatto se un’attività prestata da una congregazione, o istituto religioso legato alla Chiesa cattolica, possa essere definita di carattere «economico», e quella della valutazione se un vantaggio dovuto a un’esenzione rappresenti un aiuto di Stato illecito, la Corte di giustizia rimanda alla facoltà del giudice che ha chiesto il rinvio in questo particolare caso.
L’interpretazione offerta dalla Corte in merito rappresenta una criteriologia in base alla quale il giudice può articolare la propria decisione, che è e rimane di sua esclusiva competenza (e non della Corte): «Un’esenzione fiscale, come quella in discussione nel procedimento principale, di cui beneficia una congregazione appartenente alla Chiesa cattolica per opere realizzate in un immobile destinato all’esercizio di attività prive di finalità strettamente religiosa, può ricadere sotto il divieto enunciato dall’articolo 107, paragrafo 1, TFUE se, e nella misura in cui, tali attività siano economiche, circostanza questa la cui verifica incombe al giudice del rinvio» (§ 91).
Spetta dunque al giudice dello Stato membro valutare, di volta in volta, se una determinata attività di un’istituzione legata alla Chiesa cattolica possa essere definita «economica» secondo il quadro legislativo europeo, e se un vantaggio risultante da un’eventuale esenzione fiscale rappresenti effettivamente un aiuto di Stato illecito.
Difficile, quindi, affermare che si tratti di una sentenza che, da sé, crea un quadro giuridico di fatto che sia immediatamente applicabile, in quanto tale, anche all’Italia. Quello che la sentenza offre è, piuttosto, un chiarimento dei parametri in materia di eventuali esenzioni nei rapporti fra la Chiesa cattolica e gli Stati dell’Unione europea. Chiarificazione che torna a vantaggio della Chiesa stessa nella gestione delle proprie attività, siano esse di carattere specificamente religioso o meno.
Il non detto
Quanto taciuto ampiamente nella diffusione della notizia sulla sentenza della Corte, è il fatto che soggetti ecclesiali possono essere interamente o prevalentemente finanziati dallo Stato per funzioni pubbliche di carattere sociale, culturale ed educativo – come modo in cui lo Stato stesso esercita la propria missione pubblica in questi settori.
Quando la Chiesa opera in questi settori, su base di sussidi pubblici, non svolge un’attività remunerativa a proprio vantaggio, ma entra nella dinamica di sussidiarietà delle funzioni pubbliche dello Stato stesso – insieme a molti altri soggetti che possono venire riconosciuti atti a esse.
Inoltre, il diritto dell’Unione non può escludere attività economiche da parte di soggetti ecclesiali; chiede solo che, in tali casi, questi soggetti religiosi agiscano come impresa all’interno del quadro legislativo che vale per tutti i soggetti che operano nel settore economico. Se soggetti ecclesiali sono attivi in tale modo in questo ambito, non c’è da stupirsi o scandalizzarsi se si muovono seguendo le regole del mercato e della concorrenza – il diritto europeo va esattamente in questo senso.
Chiesa e spazio pubblico europeo
Altra questione è se oggi la Chiesa cattolica debba continuare a operare anche sul versante delle attività che, secondo il diritto europeo, ricadono nell’ambito di quelle considerate economiche.
In questo transito moderno della caritas evangelica alle strutture di una burocrazia degli esperti e alle logiche capitalistiche del mercato, Ivan Illich vedeva quella corruptio optimi pessima del cristianesimo su cui bisogna vegliare con la massima consapevolezza storica della fede.
Della sua lezione inascoltata molto rimane da meditare e realizzare, se non tutto. Una cosa è successa da quando Illich ci ha lasciato, ossia la pervasiva privatizzazione ed economizzazione dello spazio pubblico europeo. Soprattutto nell’ambito della cura sulle generazioni a venire, delle forme di debolezza ed esclusione sociale e in quella dei malati e morenti. Oggi, in questi settori, per quanto continuino a essere affermati come pubblici, imperano la privatizzazione e la ragione economica, snaturando la specificità europea della dimensione pubblica del vivere-insieme.
La domanda su come non assentarsi definitivamente da questi spazi dell’umano, così come essi si configurano in regime di Unione europea, dovrebbe inquietare molto di più la Chiesa cattolica che ogni eventuale conseguenza dovuta a una sentenza in materia di esenzione fiscale.
Bene, commento competente. La decisione su domanda pregiudiziale é una attività molto importante della CJ comunitaria (oltre a quella di dirimere controversie e stabilire che uno Stato membro della UE non ha ottemperato agli obblighi derivanti dall’adesione) . Questa decisione presa dall’intera CJ (e non da una sua sezione) riveste un particolare significato. Afferma che il diritto comunitario é superiore al diritto concordatario precedente l’adesione alla UE e quindi anche a quello costituzionale. In Francia, ove vige una rigorosa separazione tra Stato e Chiese, sussistono ‘écoles contractuelles’ in larga parte cattoliche; anche in Italia siffatte scuole potrebbero stipulare con lo Stato contratti per svolgere attività educativa pubblica, finanziata quasi per intero (salari del personale insegnante e amministrativo) dallo Stato, accordi consentiti dal diritto comunitario prevalente su quello costituzionale italiano che, secondo talune interpretazioni, vi si opporrebbe.