Libia: torna la schiavitù

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“Giornata internazionale per la lotta al traffico di essere umani”

«Tutti siamo chiamati a combattere ogni forma di schiavitù e a costruire fraternità. Tutti, ciascuno secondo la propria responsabilità». (Papa Francesco, Angelus 1° gennaio 2015)

Dal 2014, per decisione dell’ONU, il 30 luglio di ogni anno si celebra in tutto il mondo la “Giornata internazionale per la lotta al traffico di essere umani”.

Nella risoluzione n. 68/192, adottata il 18 dicembre 2013 (Improving the coordination of efforts against trafficking in persons), l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tra l’altro, esorta gli Stati firmatari del Protocollo di Palermo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare donne e bambini[1] ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle vittime della tratta di esseri umani e sulla loro drammatica situazione.

“Giornata internazionale per la lotta al traffico di essere umani”

Logo della “Giornata internazionale per la lotta al traffico di esseri umani”

In occasione della quarta “Giornata internazionale per la lotta al traffico di essere umani” (domenica 30 luglio 2017) sembra doveroso focalizzare l’attenzione soprattutto sul dramma dei profughi che arrivano in Libia provenienti dall’Africa centrale e occidentale.

Lo facciamo, prendendo a riferimento lo studio realizzato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e diffuso a metà maggio, quanto recentemente dichiarato alle Nazioni Unite dalla Procuratrice della Corte penale internazionale, e il rapporto diffuso il 7 luglio 2017 da Oxfam-Italia (aderente dal 2010 alla confederazione internazionale Oxfam nata in Inghilterra nel 1942), Borderline Sicilia (Onlus siciliana che promuove attività di inclusione sociale dei migranti) e MEDU (Medici per i diritti umani, organizzazione umanitaria e di solidarietà internazionale), sulle violenze subite dai migranti in Libia.

Il tutto, mentre in Italia sta andando in scena la paradossale campagna politico/mediatica lanciata contro le Ong impegnate nell’azione di soccorso e di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, accusate di complicità, a vario titolo, con i trafficanti di esseri umani.

La rotta libica: la più utilizzata e la più mortale

Il documentato rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha come titolo Mixed Migration Trends in Libya: Changing Dynamics and Protection Challenges[2] ed è basato su dati qualitativi raccolti tra ottobre e dicembre 2016 in Libia, Tunisia, Algeria, Italia, Niger, Ciad e Italia.

Esso analizza le evoluzioni dei flussi di rifugiati e di migranti che attraversano la Libia e i rischi in cui incorrono.

I migranti che arrivano in Libia provenienti dal Niger affrontano condizioni ambientali di estrema difficoltà. Durante il viaggio, spesso cadono vittime di estorsioni e di maltrattamenti di ogni genere. Tutti coloro – in particolare, se donne – che non sono in grado di pagare i trafficanti finiscono per essere oggetto di tratta, di lavoro forzato e di violenza sessuale.

Secondo il rapporto, negli ultimi anni il numero delle persone che sfruttano la rotta mediterranea è aumentato e continuerà a crescere. La rotta che passa per la Libia è quella usata più comunemente, e anche la più mortale.

Tra le conclusioni dello studio emerge come circa la metà di coloro che si mettono in viaggio verso il paese nord-africano credono di poter trovare lì un lavoro, ma si trovano poi costretti a fuggire per assenza di reali prospettive, trovandosi in condizioni di pericolo di vita e a rischio di subire abusi di ogni genere.

Il documento dell’Unhcr sottolinea l’importanza di dare aiuto diretto, soprattutto negli hub del sud del Paese, oltre alla realizzazione di un monitoraggio delle frontiere, di campagne di informazione sui rischi per i migranti e la richiesta di una maggiore sensibilizzazione e collaborazione delle autorità libiche.

Ritorno del commercio degli schiavi

Sostieni SettimanaNews.itChe in terra africana e sulle coste del Mediterraneo si stia assistendo al ritorno del commercio degli schiavi è noto.

Così come è risaputo che la moltitudine dei migranti, provenienti dall’Africa equatoriale e in transito nel territorio libico per raggiungere l’Europa, si trova in una situazione infernale inquadrabile, sotto il profilo giuridico, nella «riduzione in schiavitù in corso di tratta».

A denunciare una così tragica situazione, dai costi umani insopportabili, non sono solo le organizzazioni umanitarie sulla base di centinaia di testimonianze raccolte tra le persone che da esse vengono soccorse e assistite.

Lo ha fatto recentemente anche la Procuratrice della Corte penale internazionale, la gambiana Fatou Bensouda, presentando il 13° rapporto sulla situazione in Libia al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a New York.

Senza i soliti convenevoli diplomatici e con stile diretto la Procuratrice l’8 maggio 2017 ha lanciato un allarme che non può essere ignorato.

La Procuratrice si è detta profondamente inquietata dalle testimonianze di migliaia di migranti vulnerabili, tra cui donne e minori che, nei centri di detenzione della Libia, sono vittime di uccisioni, stupri e torture, e vivono in condizioni umane inimmaginabili che turbano profondamente la coscienza dell’umanità.

Come se ciò non bastasse, la Bensouda ha anche citato fonti assolutamente credibili secondo cui oggi la Libia è diventata un immenso mercato per il traffico di esseri umani.

Dato che la Procuratrice della Corte dell’Aja, per funzione e per carattere, non ama parlare per metafore, la rappresentazione della Libia come «mercato per la tratta di esseri umani» dovrebbe scuotere la coscienza morale e giuridica delle istituzioni e di ogni persona di buona volontà per almeno due ordini di ragioni.

In primo luogo, il dato socio-politologico del ritorno del commercio degli schiavi in terra africana e sulle coste del Mediterraneo è, a dir poco, sconvolgente, rappresentando un regresso di alcuni secoli nell’idea stessa di progresso dell’umanità.

In secondo luogo, ancorché si sia già evidenziato in passato che il traffico di migranti e la tratta di esseri umani costituivano uno dei fattori di destabilizzazione cronica della situazione socio-politica libica, la nuova intollerabile dimensione assunta dal fenomeno è ora indicativa del fatto che queste attività stanno offrendo – è questa la convinzione della Procuratrice Fatou Bensouda – un terreno fertile non solo alla criminalità organizzata (comune) ma anche alle reti terroristiche.

L’inferno, al di là del mare

Una conferma della fondatezza delle affermazioni della Procuratrice Bensouda arriva ora da un rapporto diffuso, in occasione del vertice dei ministri degli Interni europei di Tallinn del 6/7 luglio 2017, da tre Organizzazioni impegnate, a vario titolo, nell’opera di soccorso dei migranti: Oxfam-Italia, Borderline Sicilia e MEDU.[3]

Secondo il rapporto, in Libia più di quattro profughi su cinque subiscono violenze di ogni genere: detenzioni illegali, stupri e torture.

Centinaia sono le persone – arrivate in Sicilia negli ultimi 12 mesi – che raccontano di essere state picchiate, abusate, vendute e arrestate illegalmente dalle milizie locali, dai trafficanti di esseri umani e dalle bande armate che “controllano” gran parte del territorio libico. Uomini, donne e bambini fuggiti da guerra, persecuzioni e povertà nei paesi di origine, arrivate con attese e speranze di una vita migliore in quella Libia divenuta la porta d’Europa, per poi scoprire di essere finite in un vero e proprio inferno.

In particolare, l’84% delle persone intervistate ha dichiarato di avere subito trattamenti inumani, tra cui violenze brutali e tortura.

Inoltre, il 74% ha raccontato di aver assistito all’omicidio o alla tortura di un compagno di viaggio.

L’80%, infine, ha subito la privazione di acqua e cibo, mentre il 70% è stato imprigionato in luoghi di detenzione ufficiali o non ufficiali.

L’accordo stipulato dall’Italia con il cosiddetto Governo di Unità Nazionale libico di Al Sarraj, qualora riuscisse a diventare pienamente operativo,[4] manterrebbe o riporterebbe le persone indietro, in un paese dove regna il caos, con abusi sistematici dei diritti di chi scappa da guerra e povertà e dove i centri per i migranti sono, secondo le tre organizzazioni, dei veri e propri lager.


[1] Il protocollo, adottato il 15 novembre 2000 e produttivo di effetti giuridici dal 25 dicembre 2003, per l’Italia è entrato in vigore il 1° settembre 2006, a seguito di ratifica operata con legge 16 marzo 2006 n° 146.
[2] Reperibile in www.unhcr.org o in www.altaiconsulting.com.
[3] Reperibile in www.oxfamitalia.org o in www.mediciperidirittiumani.org.
[4] Ad oggi l’accordo, siglato il 3 febbraio 2017 senza avere la garanzia che la controparte avesse il potere costituzionale di firmarlo, non è operativo, a motivo di un ricorso pendente presso la Corte di Giustizia libica. La Corte di appello di Tripoli, infatti, ha stabilito che il governo guidato da Al Sarraj non ha potere di firmare un memorandum d’intesa con l’Italia.

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Un commento

  1. Crispino 29 luglio 2017

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