La nomina di Fedele Confalonieri a Presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo è abbastanza passata sotto silenzio. Ma non è fatto dal rilievo solo amministrativo, è fatto di grande importanza ecclesiale e civile. Vale la pena di ragionarci sulla base di informazioni certe.
La Fabbrica del Duomo
La Fabbrica del Duomo è un ente formalmente ecclesiastico ma, di fatto intrecciato con le istituzioni civili in un modo piuttosto curioso e poco conosciuto, che non suscita però grandi meraviglie per quelli che conoscono la prassi dei rapporti Stato-Chiesa cattolica nel nostro paese. La Veneranda Fabbrica ovviamente non può ingerirsi negli affari di culto ma deve «provvedere alla valorizzazione del Duomo di Milano, nella sua funzione religiosa, culturale, storica e civica» (art.3 dello Statuto). Quindi non ha solo il compito di provvedere alla manutenzione della cattedrale.
La grande struttura della Fabbrica (gestione del monumento e delle maestranze necessarie per i continui restauri, del museo, dell’Archivio, delle cave di Candoglia e di un grande patrimonio immobiliare) ha un Consiglio d’amministrazione composto da sette persone, cinque nominate dal ministro dell’Interno e due dall’arcivescovo. Quest’ultimo deve essere sentito sulle nomine del Ministero, egli inoltre deve dare il proprio assenso per ogni operazione economica superiore ai tre milioni.
La prima osservazione critica (di buon senso) è relativa al fatto che il Comune di Milano non ha il diritto di fare alcuna nomina (invece nel Cda della Scala il presidente è, per statuto, il sindaco pro tempore). La seconda osservazione riguarda il fatto che queste nomine ministeriali (perché il ministero dell’Interno e non il governo con controfirma del presidente della Repubblica?) devono essere fatte «sentito l’arcivescovo» (art.4 dello Statuto). Non è difficile pensare che siano nomine sempre concordate o, addirittura, preventivamente e informalmente suggerite dalla curia, per chi conosce come vanno le cose in Italia.
Il Consiglio di amministrazione
Vediamo i componenti: mons Gianantonio Borgonovo, arciprete del duomo, è il presidente uscente, ha sostituito Angelo Caloia, dimessosi nel 2014 in relazione a una incriminazione per peculato da parte del Promotore di Giustizia del Vaticano per fatti inerenti alla sua precedente ventennale gestione dello IOR (la questione non è ancora chiusa). Borgonovo è dottore della Biblioteca ambrosiana.
Poi ci sono Simona Beretta che insegna economia alla Cattolica, Ferruccio Resta, rettore del Politecnico, Giorgio Squinzi, ex presidente di Confindustria, Luigi Roth, imprenditore del tempo e dell’area di Formigoni (presidente delle Ferrovie Nord e poi dell’Ente Fiera), addirittura gentiluomo di sua santità! (dicono le biografie che è l’unico in Lombardia). Poi Claudio Sala, avvocato, è un collaboratore della curia sulle questioni economiche ed è il secondo di nomina arcivescovile insieme a Borgonovo.
Infine c’è Fedele Confalonieri, è la persona più conosciuta, sembra nominato da Alfano nel 2016. La sua biografia è conosciuta da tutti, è il più stretto collaboratore di Berlusconi, da sempre il suo alter ego, protagonista con lui di ogni operazione affaristica e mediatica, al di fuori e contro l’idea stessa di legalità, simbolo quasi di un certo tipo di Italia e di rapporto con la cosa pubblica in nome di «valori» opposti a quelli solidaristici e, nella nostra città, allo spirito «martiniano». Non spendo altre parole.
Tutto ciò premesso, per fare qualche valutazione generale è importante anche sapere che il presidente deve essere eletto con «almeno cinque suffragi favorevoli» (art.4 dello Statuto). Questa norma indica che, ab origine, fu programmata una gestione consensuale della Fabbrica (una norma come quella dei cinque voti su sette è del tutto inusuale e non fu scritta a caso).
Alcune considerazioni
La nomina del nuovo presidente, per come è composto e per come deve funzionare il Consiglio d’amministrazione, con ogni probabilità è stata il frutto di un accordo, magari dopo discussioni. Faccio allora delle considerazioni di buon senso. Dal punto di vista politico, perché anche di questo si tratta inevitabilmente (almeno in questo caso), mi pare vi sia, con la nomina di Confalonieri, un tentativo di rilancio dell’immagine berlusconiana in città, che ormai pensavamo fosse ai margini da tempo.
Dal punto di vista ecclesiale, se c’è stato l’accordo, si tratta di una brutta chiusura dell’episcopato di Scola e di un «regalo», probabilmente non gradito, a Delpini. Se, come potrebbe essere possibile, l’accordo non c’è stato e Confalonieri è stato subìto, la curia, Borgonovo e Sala dicano apertamente, o almeno facciano sapere senza possibilità di equivoci, che è stata una soluzione non gradita.
La nomina di Confalonieri non deve essere considerata una soluzione tecnica, non può essere subito dimenticata. Io penso che l’opinione cattolico-democratica, ben presente nella nostra diocesi e nella nostra città, deve riflettere rapidamente su quanto accaduto, su come ciò sia stato possibile e su come si possa dire con chiarezza che questi arretramenti non possono essere tollerati e che non devono più ripetersi.
Milano, 22 luglio 2017
Vittorio Bellavite,
coordinatore di Noi Siamo Chiesa
Vittorio Bellavite è coordinatore nazionale del movimento «Noi Siamo Chiesa», sezione italiana del movimento internazionale «We Are Church». Il suo intervento, che qui riprendiamo, è stato pubblicato lo scorso 22 luglio sul sito ufficiale del movimento.