Dopo aspre battaglie durate dei mesi, la metropoli irachena di Mosul è stata liberata dalle milizie terroristiche dello “Stato islamico”. Ma è una città completamente distrutta. Prima dell’arrivo di queste milizie vivevano qui, secondo le stime locali, oltre 25.000 cristiani. Molti di essi sono venuti per qualche ora o qualche giorno a vedere, ma si sono trovati davanti a un cumulo di macerie (cf. Settimananews, 24 luglio).
Una delle domande ricorrenti è quando i cristiani potranno ritornare a Mosul. Per Yohanna Petros Mouché, arcivescovo siriaco cattolico, è ancora presto per parlarne. Ci vorrà del tempo, forse occorreranno degli anni. Lo ha dichiarato a Olivier Labresse, per “Aiuto alla chiesa che soffre”, in una breve intervista pubblicata su France Catholique, il 20 luglio scorso, e ripresa anche da altre agenzie di stampa.
– Mons. Petros Mouché, come ha vissuto la liberazione di Mosul?
È un segno di speranza per i cristiani. Lo Stato islamico è stato cacciato. Io spero che la mentalità della gente abbia a cambiare. La distruzione di Mosul non è niente! Per noi, siriaci cattolici dell’Irak, è una grande gioia certamente. La maggior parte della mia diocesi si trova nei dintorni di Mosul e a Qaraqosh. Ma attualmente Mosul è completamente distrutta. La città è ufficialmente liberata, anche se restano ancora del combattenti nascosti qua e là. Ma saranno presto scoperti e cacciati.
– Al di là delle operazioni militari, come lottare contro lo Stato islamico?
Sta qui la difficoltà: giungere a cambiare le mentalità… Di fronte a queste idee strane, bisogna capire che la guerra non è la soluzione. Bisogna poter vivere insieme. Noi vivevamo così da sempre e prima non avevamo mai incontrato difficoltà…
Questi avvenimenti aprono a una grande speranza: ossia che la vita riprenda nuovamente e la gente impari a vivere insieme. Basta guerre! Dal 1958 ci sono state sempre delle guerre in Irak. Dovremo imparare a vivere in pace.
– Che cosa vuole dire ai benefattori di “Aiuto alla Chiesa che soffre”?
Li ringrazio molto, certamente, perché sono sempre presenti sia qui sia nella nostra diaspora… Il loro aiuto permette di ricostruire le nostre case. È una grande grazia poter contare sul loro sostegno. Sapete bene che, ad essere maggiormente colpiti, sono i siriaci cattolici. Nella regione della Piana di Ninive noi costituiamo il 60% degli sfollati. Ma ci sarà sempre un aiuto.
Le sfide che i cristiani della Piana devono affrontare sono enormi: attualmente si contano ancora 14.000 famiglie fuggite da Mosul e dalla Piana di Ninive e che vivono ad Erbil (90.000 persone). Bisognerà ricostruire circa 13.000 case. Inoltre, è necessario garantire la sicurezza dei villaggi, regolare i problemi delle infrastrutture (acqua, elettricità, strade, scuole e cliniche), prendere in considerazione le manovre politiche irachene e curde sul territorio… Secondo le inchieste recenti, aggiornate al 20 giugno dal Comitato per la ricostruzione di Ninive, 599 famiglie sono già tornate nella Piana di Ninive e 342 proprietà sono in via di ristrutturazione, 157 di queste sono già state restaurate grazie ai contributi finanziari di “Aiuto alla chiesa che soffre”
Fin dall’inizio della crisi, “Aiuto alla chiesa che soffre” ha fornito un sostegno continuo ai rifugiati cristiani del nord dell’Irak. A tutt’oggi sono stati donati 31 milioni di euro per gli aiuti d’urgenza: nutrimento, educazione, alloggio, aiuto pastorale e ricostruzione.