Il 6 agosto 2014 rimarrà per sempre impresso nella memoria dei cristiani della Piana di Ninive. Quella notte avanzarono inarrestabili le unità terroristiche dello “Stato islamico”. Amil Shamaaoun Nona era allora arcivescovo cattolico caldeo di Mosul. Oggi si trova in Australia e si occupa delle comunità della diaspora dell’Oceania, dove sono stati accolti molti profughi dell’Iraq. La sua ex-città episcopale è stata da qualche settimana liberata dal Daesh. Tuttavia egli – come afferma nella seguente intervista – vede profilarsi un’altra lotta per la popolazione irachena del luogo.
Quali sono stati i suoi primi sentimenti appena ha ascoltato che Mosul era stata liberata?
Può sembrare strano, ma appena ho sentito la notizia mi sono tornati alla mente in maniera veemente i ricordi di quell’ultimo nostro giorno a Mosul, quando nel giro di poche ore dovemmo fuggire, mentre il rumore di guerra del Daesh si faceva sempre più vicino. Durante la liberazione pensavo continuamente alla nostra gente: Dove si trova ora? Che cosa è avvenuto in questi ultimi tre anni alle nostre chiese e al patrimonio cristiano di Mosul?
Sono tre anni che lei e decine di migliaia di cristiani avete dovuto fuggire da Mosul. Certamente è un ricordo traumatico….
La notte del 6 agosto 2014 è stato uno dei momenti più drammatici della mia vita. Ero pieno di preoccupazione per la mia comunità, soprattutto per le ragazze dell’orfanotrofio della nostra diocesi e delle molte madri che vivevano sole con i loro bambini. Io ho cercato di fare tutto per aiutarle nella loro fuga. Grazie a Dio ci siamo riusciti. Sono stato molto contento quando ho saputo che erano al sicuro.
Che cosa pensa: Mosul, dopo tre anni di dominio Daesh, è realmente liberata? Molti osservatori affermano: anche se ora le battaglie sono finite, l’indottrinamento nelle teste degli abitanti rimane.
Non si può dire semplicemente che il Daesh sia vinto. Il Daesh non è solo un gruppo bellico, ma un’ideologia. Ciò conduce a una società la quale pensa di avere il diritto di fare tutto ciò che vuole. Sono infatti convinti che la loro fede sia l’unica giusta e perciò che si debba imporre agli altri. Mosul è sì liberata militarmente, ma la lotta va avanti ancora: si tratta di estirpare questo brutale e disumano modo di pensare di agire. I cristiani non potranno riprendere una vita normale se nella società, un’ideologia come quella del Daesh oggi rimane la stessa di tre anni fa.
Lei ritiene che i cristiani potranno tornare a Mosul?
È ancora troppo presto per poterlo dire. Anzitutto è necessario avere un quadro generale delle massicce distruzioni avute. Io tuttavia, osservo con gioia come nelle località della Piana di Ninive sia in atto una ricostruzione e un numero sempre maggiore di famiglie tornino. “Aiuto alla Chiesa che soffre” si è pienamente impegnato in questo. E anche noi della diocesi caldea dell’Australia cerchiamo di aiutare, il meglio che possiamo, i nostri fratelli iracheni.
Come vede il futuro dei cristiani in Iraq?
È difficile dirlo. Ci sono tanti ostacoli, tanti ricordi traumatici e bisogni. Ma io spero e prego che i cristiani rimangano in Iraq e che possano costruirsi nuovamente un futuro sicuro
Ciò dipenderà anche dalla solidarietà dall’estero…
Certamente, e questo è il mio messaggio soprattutto ai cristiani: le persone in Iraq sono vostri fratelli e vostre sorelle che si trovano in estrema necessità. Quindi dovete aiutarli a ricostruire la loro patria. Da 2000 anni i cristiani vivono in Iraq. Se non riceveranno alcun aiuto, c’è il pericolo che essi ora perdano tutto. Aiutateli a rimanere e a vivere come cristiani in questa terra.
Maria Lozano (katholisch.de, 6 agosto 2017).