Emilia-Romagna: Dossier mafie 2015

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Mafie in Emilia Romagna

Pubblicato il Dossier 2015 sulle mafie in Emilia Romagna

Tra la via Aemilia e il west – storie di mafie, convivenze e malaffare in Emilia-Romagna. Non è il remake di un suggestivo album di Guccini. È il titolo del Dossier 2015 sulle mafie in Emilia-Romagna, pubblicato da poco più di un mese. Aemilia è il nome dell’imponente indagine che, nel gennaio 2015, ha portato all’arresto di oltre 230 emiliani, con l’imputazione di associazione mafiosa: quasi tutti affiliati alla ’ndrina Grande Aracri, che opera prevalentemente nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena. Imprenditori, politici e funzionari pubblici, professionisti. Nulla a che vedere con i picciotti armati di lupara.

Pochi mesi dopo, nel mirino degli inquirenti è finita la gloriosa società cooperativa CPL di Concordia, un secolare esempio di lavoro e di solidarietà nel variegato mondo della cooperazione: i suoi vertici manageriali sono stati azzerati dall’accusa di avere fatto affari illeciti in Campania con la camorra e con la politica corrotta. Sono solo le ultime vicende, le più eclatanti, di una storia infinita, che forse ha in serbo altri episodi sconcertanti. Com’è possibile che, nel giro di pochi anni, la regione della solidarietà, della democrazia e dell’efficienza si sia trasformata nel suo opposto? Una terra dove regnano corruzione, illegalità e malaffare…

E la Chiesa cattolica?

Qualche struzzo si culla ancora nell’illusione che il tessuto sociale emiliano-romagnolo sia sano e che siano ancora attivi gli anticorpi per contrastare il dilagare delle mafie. Il plurale è d’obbligo, perché, oltre a quelle nostrane, ci sono anche le mafie d’importazione: in totale, sette organizzazioni ben ramificate e perfettamente funzionanti. Tutte insieme appassionatamente (o quasi) fanno affari d’oro, innestate nei gangli vitali della politica, dell’imprenditoria, delle professioni e, forse, dell’associazionismo. Tanto che è sempre più difficile tracciare una chiara linea di demarcazione tra disonestà personale e appartenenza mafiosa.

Siamo davanti alla mafia 2.0, che ha trovato nella crisi della politica e dell’imprenditoria la grande occasione per prosciugare le falde etiche della ricca pianura cispadana: le ha derubate dei valori socialisti, cattolici e repubblicani, di cui esse sembravano un deposito inesauribile.

Quello che sta accadendo è alla luce del sole. È cambiato l’odore dell’aria che si respira. Due visioni contrapposte dello stato – una costituzionale e democratica, l’altra borbonica e feudale – si contrappongono senza esclusione di colpi.

Eppure pochi se ne sono accorti. Ci sono i giornalisti d’inchiesta (tra cui i redattori del citato Dossier 2015); ci sono scrupolosi inquirenti e generose forze dell’ordine; e poi Libera e associazioni locali in ordine sparso. Se non fosse per tutti costoro, si continuerebbe a raccontare l’Emilia-Romagna come la terra «sazia e disperata» del consumismo di sinistra.

E la Chiesa cattolica? «Faccia la sua parte», rispondono i redattori del Dossier 2015. «Noi vigiliamo», si sono affrettati a precisare alcuni vescovi della regione. È sicuramente così. Tuttavia, suona strano che il parroco di Brescello dica di non avvertire segnali di presenza mafiosa: la sua cittadina è stata definita da Giovanni Tizian la capitale della ’ndrangheta del nord. Lascia perplessi che le comunità cristiane di alcuni paesi terremotati della bassa reggiana e modenese non abbiano fatto il diavolo a quattro, dopo la scoperta di amianto nei campi degli sfollati e nelle scuole ristrutturate, in cui aveva lavorato una grande impresa edile coinvolta nell’indagine Aemilia.

Leggendo il Dossier 2015 e integrandolo con i dati di cui si può disporre da fonti di prima mano, le Chiese dell’Emilia-Romagna, pastori e fedeli, sembrano ignorare la presenza mafiosa nel loro territorio. Salvo rari casi, non hanno attivato percorsi di educazione alla cittadinanza e alla legalità. Molto raramente nei canali mass-mediali risuona la voce dei cristiani emiliani e romagnoli che gridano giustizia.

Trasparenza

Come sta procedendo la ricostruzione delle chiese e delle opere parrocchiali colpite dal sisma del maggio 2012? In alcune diocesi, c’è una commissione di controllo e si procede all’insegna della trasparenza. Le Chiese emiliano-romagnole potrebbero fare ancora meglio, adottando le procedure europee per il controllo della qualità, certificando i bilanci diocesani e parrocchiali, applicando in modo rigoroso il criterio della competenza professionale nell’amministrazione dei beni ecclesiali. La strada è lunga, ma percorribile.

Nella terra di don Camillo, ma soprattutto di don Minzoni, dei martiri di Monte Sole e di Cervarolo, anche oggi i preti vivono in mezzo alla gente e ne condividono fatiche e speranze, sofferenze e gioie, con la generosità dei buoni pastori che custodiscono il gregge loro affidato.

Il Dossier 2015 presenta solo tre nomi di preti che in Emilia-Romagna hanno avuto il coraggio di resistere alle mafie e alle loro minacce, di prendere pubblicamente la parola a sostegno della Costituzione e dei suoi valori di uguaglianza, solidarietà e giustizia.

Mi scappa da ridere a pensare che uno dei tre sono io! Per carità, quello che di me viene raccontato è tutto spaventosamente vero: lo sfregio della mostra fotografica sui volti di Scampia allestita a Modena nella mia parrocchia (Beata Vergine Addolorata); le ripetute minacce camorriste contro di me e contro altri parrocchiani; la solidarietà della diocesi e del nostro vescovo Lanfranchi; la presa di posizione della città, del Consiglio comunale e di quello provinciale all’unanimità. Era la pasqua del 2011. Da allora, quant’acqua è passata sotto i ponti e ha allagato le nostre terre!

L’ospitalità

Per me e per la mia comunità, l’impatto con la camorra locale è stato ed è un banco di prova molto impegnativo. Non sono un prete anti-mafia e non siamo una parrocchia anti-camorra. Queste etichette non mi/ci piacciono. Non basta essere-contro. La vera partita si gioca nell’essere-per e con.

La domanda che ci siamo posti dopo le minacce subite è la stessa di chi ascoltava Giovanni Battista o gli apostoli: che cosa possiamo fare? La mia e nostra risposta è: la cultura della legalità, la difesa dei valori democratici della giustizia comincia dall’ospitalità. Ospitare, infatti, è custodire e lasciarsi custodire. Vivere e consolidare relazioni all’insegna del dono e della reciprocità, dove tutti – ma specialmente i più poveri – siamo valorizzati per le nostre capacità.

La prevenzione si fa educandoci all’accoglienza dell’altro, alla comprensione delle sue ragioni e della sua storia. Questo le mafie non lo possono fare, perché sanno solo prosciugare la vita altrui. Non riescono a restituire umanità.

Rubando la frase a Gabriele Vacis e al suo film La paura si Cura, insieme alla mia comunità lavoro perché le politiche della sicurezza e della repressione si trasformino in politiche dell’accoglienza e della fraternità. Abitare in canonica con famiglie e persone senza casa e accompagnarle verso l’autonomia; fare rete con le famiglie più vulnerabili e condividere con loro progetti per una vita più dignitosa; camminare al fianco di ragazzi e di giovani che faticano a studiare perché non vedono futuro dinanzi a sé. Incoraggiare noi stessi e gli altri a stringere legami, a prendere la parola e a chiedere giustizia. Ecco la nostra piccola scuola di legalità!

Se in molti riusciremo a percorrere questa strada, l’Emilia-Romagna resterà libera e ritornerà a essere una terra solidale.

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