Ha diviso l’opinione pubblica americana – già scossa dagli eventi in Virginia – la messa in onda martedì 15 agosto (negli Stati Uniti non esiste il Ferragosto) di un servizio televisivo dell’emittente CBS dal titolo «In che tipo di società vogliamo vivere? Il dilemma legato alla Sindrome di Down»: un’inchiesta girata in Islanda, «la nazione dove la Sindrome di Down sta ormai scomparendo».
Un dato che in realtà, con la diffusione dei test di screening prenatale, è comune alla stragrande maggioranza dei Paesi europei e degli Stati Uniti, tuttavia in nessun altro Paese il numero di casi sta riducendosi con una velocità tale che si potrebbe ipotizzare un drastico azzeramento.
Introdotti nei primi anni del nuovo millennio, i test sembrano aver ormai raggiunto la copertura del 100% delle donne in gravidanza (nel 2015 in Danimarca erano al 98%, 90% nel Regno Unito, 77% in Francia e 67% negli Stati Uniti). I test, come anche in Italia, sono ovunque facoltativi, ma l’informazione sulla loro disponibilità e soprattutto sui rischi legati alla patologia in Islanda è capillare. Secondo la clinica universitaria della capitale Reykjavik circa l’80-85% delle future madri lì seguite scelgono di fare i test.
La corrispondente della CBS, Elaine Quijano, ha cercato di indagare sul perché di un tasso così elevato. Utilizzando un’ecografia, un test su un prelievo di sangue, a fronte dell’età della madre, il test, chiamato Test di combinazione, determina se il feto avrà un’anomalia cromosomica, la più comune delle quali, chiamata trisomia 21 (perché a carico della 21a coppia di cromosomi, dovuta ad un “errore” nel corso della meiosi, il processo biologico che porta alla formazione dei gameti) provoca la cosiddetta «Sindrome di Down», dal nome del medico inglese che la descrisse ancora nel 1866.
I bambini nati con questa anomalia genetica presentano una caratteristica morfologia facciale (testa tozza e paffuta, occhi più o meno allungati) e una serie di problemi di sviluppo. Molte persone nate con la Sindrome di Down possono vivere una vita piena e sana, con una durata media di circa 60 anni.
La legge islandese consente l’aborto terapeutico entro la 16° settimana di gestazione, inclusa ovviamente la sindrome di Down. Con una popolazione di circa 330.000 abitanti, il piccolo paese nordico ha oggi una media solo uno o due bambini nati con la Sindrome di Down all’anno, il più delle volte dovuti ad errori dei test o nella comunicazione ai genitori. (Negli Stati Uniti, secondo la National Down Syndrome Society, ogni anno nascono circa 6.000 bambini con Sindrome di Down).
«Tra i neonati che nascono ancora oggi con Sindrome di Down in Islanda – ha dichiarato Hulda Hjartardottir, capo dell’unità di diagnosi prenatale dell’ospedale universitario di Landspitali, dove nascono circa il 70 per cento dei bambini islandesi – alcuni di loro risultavano a basso rischio nei nostri test di screening e quindi non sono stati segnalati».
Il servizio televisivo ha incontrato Thordis Ingadottir, incinta del terzo figlio all’età di 40 anni, che all’epoca, aveva fatto il test. I risultati avevano mostrato che le probabilità di avere un figlio con Sindrome di Down erano molto ridotte (da 1 a 1.600), tuttavia bisogna riconoscere che il test di screening è valido all’85%. In quell’anno, 2009, in Islanda sono nati 3 neonati sono nati con la sindrome, compresa sua figlia Agusta, che oggi ha 7 anni. In media, in Islanda nascono 2 neonati con la Sindrome di Down all’anno.
Sin dalla nascita di sua figlia, Ingadottir è diventata un’attivista per i diritti delle persone con Sindrome di Down. «Spero che lei possa essere pienamente integrata nei suoi diritti all’interno della nostra società: questo è il mio sogno», ha detto Ingadottir. «In che tipo di società vogliamo vivere?».
Il genetista Kari Stefansson è il fondatore della deCODE Genetics, un’organizzazione che ha studiato quasi tutti i genomi della popolazione islandese. Ha una prospettiva tutta sua sul progresso della tecnologia medica: «La mia opinione è che abbiamo quasi sradicato la Sindrome di Down dalla nostra società, dato che in Islanda non esiste quasi più un bambino con Sindrome di Down.
Quijano gli ha chiesto: «Un tasso di test del 100%, che impatto può avere sulla società islandese? La risposta di Stefansson: «Certo questo indica una consulenza genetica relativamente pesante e ciò può avere un impatto su decisioni che non sono più propriamente mediche. Tuttavia non credo ci sia niente di sbagliato nell’avventura di far nascere bambini sani, ma riguardo alla realizzazione di tale obiettivo capisco che si tratti di una decisione abbastanza complicata».
Secondo la dott.ssa Hjartardottir, in Islanda si cerca di fare il più possibile «“consulenza neutrale”, ma alcune persone potrebbero obiettare che già l’offerta del test indichi una certa direzione». Infatti, più di 4 donne su cinque in gravidanza optano per il test di screening prenatale.
Bergthori Einarsdottir è una mamma in dolce attesa che ha scelto di fare il test, consapevole che la maggior parte delle donne avrebbe fatto lo stesso. «Non c’è stata pressione, ma sapevo che lo facevano tutte». All’ospedale universitario Landspitali, Helga Sol Olafsdottir fa la consulente per le donne che hanno una gravidanza con un’anomalia cromosomica riguardo alla decisione se portarla avanti o interromperla. Olafsdottir riferisce di donne che stanno lottando nel prendere la decisione con i loro sentimenti di colpa: «La tua vita è questa – dice loro – tu hai il diritto di scegliere se la tua vita sarà uguale o meno».
Ha mostrato a Quijano una preghiera con tanto di data e piccole impronte di un feto abortito. «Negli Stati Uniti penso che alcune persone sarebbero confuse perché chiamano questo “nostro figlio” perché per loro l’aborto è omicidio». Olafsdottir risponde: «Noi non vediamo l’aborto come un omicidio, lo consideriamo come una conclusione, abbiamo interrotto una vita che avrebbe avuto grandi complicazioni … abbiamo contribuito a impedire la sofferenza per quel bambino e per la sua famiglia. E credo che questo sia più giusto che considerarlo un omicidio, così in bianco o nero: la vita non è bianca e nera, la vita è grigia».
La vita è grigia! Tristemente, asetticamente grigia!
Dove e’ scritto che persone come me – che hanno dei difetti fisici o mentali od altro – non debbano stare su questo pianeta? Basta adattare il pianeta anche alle nostre esigenze e vedrai che tutti saremmo al passo con il tuo, il “nostro” pianeta…
Pensavo.. che il periodo della selezione gentica fosse finito, ma vedo che ci stiamo rientrando.
Comunque non sarai tu oppure una provetta a dover decidere chi deve e non deve stare su questo pianeta.
Noi ci siamo e ci restiamo. È un dramma per quelle persone che decidono di eliminare un bimbo solo perche’ ha un difetto, non sanno cosa si perdono. Un mio “Amico” dice che! “se nostro Signore mi ci ha mandati su questa terra… vuol dire che abbiamo un compito ben preciso”. È vero che non riusciamo a fare le mille miglia per stare al passo. Pero’ siamo in grado di fare altro… SORRIDERE e condividere il pianeta con tutti.
Dovrebbe diventare legge. Il nostro pianeta è già sovraffollato e l’ultima cosa che la società può permettersi sono individui difettosi, malati, incapaci di stare al passo. La selezione naturale è il canone più antico dell’universo.
Siamo tutti individui “difettosi” e molti di noi sono “incapaci di stare al passo” anche se somaticamente attrezzati. Tutte le persone segnate dalla Sindrome di Down che io conosco (e non sono poche) sono molto più capaci di me (e di tanti altri) nel dare affetto e ottimismo. Ma se anche non lo fossero non avrebbero per questo meno titoli di benvenuto nel genere umano. Se la “selezione naturale” ha fatto passare me, possono “passare” anche gli altri…
Si rimane sempre colpiti di fronte ad esternazioni, pur lecite, come la sua. Fanno riflettere. Non per moralismo, si intende, ma per assenza di logica. Su questa stregua chi meriterebbe presenza? Quali i criteri? I criteri di oggi saranno gli stessi di domani? Nei criteri di domani, potrebbero essere esclusi anche individui come me e lei? Questo le dà sicurezza? Ha riflettuto su questo dettaglio? In un mondo dove la perfezione, ammesso esista, va oltre la nostra comprensione, non vedo il senso di calarsi in un’analisi improbabile. Credo rincuorante pensare che il futuro che ci attende sia inclusivo e non esclusivo. Riguardo la selezione naturale è indubbio sia un meccanismo reale; tuttavia val la pena ricordare che l’essere umano ha qualità tali da sottrarsi alla sua logica meccanica. E’ proprio per queste qualità che gli anziani vivono in serenità gli ultimi anni di vita, oppure il malato ha diritto alla dignità della vita migliore possibile; se si applicasse strettamente un criterio di superiorità fisica ed intellettiva e se non ci fosse mediazione nell’applicazione del criterio stesso, dovremmo temere i “migliori” che vivono nel nostro condominio o che incontriamo per strada, perché saremmo selezionati lì per lì.
Conosco e frequento molte persone che per lei meriterebbero forse di non esser nate; la difficoltà fisica diviene via via trasparente agli occhi. Personalmente ho incontrato persone dalle quali ho ricevuto più di quanto ho dato. Potrebbe credere sia la solita buttata, ma la invito a tentare, prima di esser certo lo sia; magari la sua teoria vivrà una revisione.
GRAZIE!!!
le vostre risposte mi hanno dato un enorme coraggio, vuole dire che non tutti la pensano… che
” NON siamo un mondo a parte, ma UNA parte del Mondo”
La selezione naturale, caro scienziato, non pratica l’aborto terapeutico (ma terapeutico per chi? Chi è c’è sta male?). Non esiste una sola specie di mammifero che si provoca da sé l’aborto. Se mai un individuo meno adatto degli altri ha meno probabilità di riprodursi una volta nato: questo è il succo della selezione naturale; quello che dici tu si può chiamare, non so… genocidio, strage, scegli tu.
Sarebbe selezione ” naturale” se la gravidanza esitasse in aborto spontaneo. Un aborto volontario non ha nulla di naturale. L’ ultima cosa che la società può permettersi è proprio un discorso come il suo, sig. Monaldo!