Le voci pullulano da giorni. Nella città di Wenzhou, nella provincia cinese dello Zhejiang, e forse anche da altre parti del “celeste impero” la polizia o comunque “forze dell’ordine” hanno impedito l’ingresso di bambini con i loro genitori in chiese protestanti e cattoliche. Cioè i bambini, secondo alcune direttive, non si sa se della città della provincia o di chi, non dovrebbero essere esposti all’influenza di religioni cristiane.
Messa così la vicenda appare allarmante, e forse lo è. Difficile però verificarla perché non esistono rapporti diplomatici tra Santa Sede e Cina. Certo Stati Uniti, Francia, Italia o Germania potrebbero chiedere e cercare riscontri.
Ma a che titolo? I bambini esclusi dalle chiese sono cittadini cinesi, e anche considerando la questione di diritti umani, non è chiaro se escludere bambini dalle chiese ne sia una violazione. Alla fin fine, i bambini sono minori, lo stato potrà decidere se esporli all’educazione religiosa o meno, o no?
Se ci fossero relazioni diplomatiche tra Cina e S. Sede…
Per la Santa Sede sarebbe diverso, perché il nocciolo dell’accordo in discussione oggi come nel 2008 o nel 2000 è l’interesse della Chiesa di Roma nella sorte dei cattolici cinese.
In altri termini: se oggi vi fossero relazioni diplomatiche o simili, se a Pechino vi fosse un nunzio o chi per lui, ufficialmente o ufficiosamente la Santa Sede avrebbe un canale attraverso cui verificare la vicenda. Quindi potrebbe spingere in un senso o in un altro, e tranquillizzare il mondo o invece allarmarlo per davvero.
Oggi non può fare nulla. È di fatto presa in ostaggio dal primo che fa circolare notizie di ogni tipo. La situazione, certo meno drammatica, è un po’ come cerca di fare costantemente la Nord Corea con la Cina e il resto del mondo.
La vicenda dei bambini nelle chiese poi è l’ultima di una serie di polemiche che hanno rischiato di fare deragliare il dialogo in corso. Prima c’era la storia dei campanili abbattuti, poi arrivavano qui e là, ma con costanza, notizie di arresti, fermi di preti o vescovi. In futuro, senz’altro, ci sarà altro.
La reazione sovente a queste storie è: la Cina è crudele, con lei non si può parlare.
Infatti, la reazione dovrebbe essere esattamente l’opposto: in Cina ci sono problemi, dobbiamo esserci ufficialmente, verificare e spingere.
Le aperture e i loro frutti
Negli anni ’70 quando la Cina aprì alle relazioni con gli Stati Uniti la Cina non era una democrazia né era un’economia di mercato. Eppure gli USA e tanti altri Paesi occidentali aprirono relazioni con la Cina e ciò aiutò ad aprire socialmente ed economicamente il Paese.
La Apple, la Boeing, la General Motors, la Siemens, la Volkswagen e tanti altri non farebbero affari oggi con la Cina se negli anni ’70 i loro governi non avessero avventurosamente aperto i battenti a Pechino.
I risultati di quelle normalizzazioni diplomatiche possono oggi essere considerate insufficienti, deludenti, ma ci sono certo state e frutti ne hanno portati.
Questo per il governo; c’è quindi un altro versante della vicenda, quello dei rapporti della comunità cattoliche con Roma. Recentemente a Changzhi nella provincia dello Shanxi centinaia di fedeli hanno protestato contro la demolizione di una chiesa.
La Santa Sede è stata quindi chiamata a intervenire ma che si sappia la comunità locale non ha prima concordato questa azione o alcuna altra azione con Roma. Cioè può capitare che alcune comunità cattoliche cinesi agiscano comunque motu proprio, senza consultarsi e chiedere suggerimenti a Roma.
Poi, quando succedono dei guai chiedono invece aiuto e copertura a Roma. Ma questa della chiesa è così importante? Perché avere la chiesa lì e non un kilometro più in là? Non pare una questione religiosa, ma una vicenda di piccola amministrazione.
Di nuovo: è proprio la mancanza di un rapporto presente che amplifica tali problemi. La presenza di un nunzio (o chi per lui) a Pechino aiuterebbe a riportare una certa disciplina. Senza rapporti normalizzati invece Roma è semplicemente ostaggio del primo sedicente cattolico che fa quello che vuole e poi, a disastro fatto, chiede l’intervento di Roma.
Ma questo rischia di rovinare tutta la Chiesa universale intorno a questioni forse minime o misteriose cinesi.
Infine, per entrare nel merito della questione dei bimbi in chiesa. Qui, vista da Pechino, la vicenda ha aspetti preoccupanti. Pechino sta cercando di limitare il proselitismo dell’estremismo musulmano in alcune regioni del Paese, e quindi è possibile che funzionari troppo solerti applichino ordini pensati per l’islam a tutte le fedi religiose.
D’altro canto in caso di proselitismo radicale il problema non è impedire l’ingresso dei ragazzini in moschea o in chiesa, ma lavorare con le famiglie per evitare ogni forma di estremismo.
Se a una famiglia estremista si esclude il figlio dalla pratica religiosa, il ragazzo sarà tanto più indottrinato a casa. Se la famiglia non è estremista l’esclusione del bambino è una irritazione gratuita. Cioè proibire i bambini in chiesa per lo Stato ha solo svantaggi, senza alcun vantaggio.
Questo, di nuovo, potrebbe essere detto molto meglio con una nunziatura. Senza, semplicemente c’è il vuoto che sarà riempito da estremisti di ogni parte.
Una normalizzazione delle relazioni fra Santa Sede e Cina difficilmente porterà il Paradiso terrestre a Pechino, né trasformerà il Celeste impero nel Regno di Dio. Di certo però si saprà di più su quello che sta effettivamente accadendo e ci sarà un canale autentico per intervenire discretamente.
Senza di questo, tutti, Santa Sede, mondo e Cina, siamo solo nelle mani di Dio. Ma Dio diceva: aiutati che Dio ti aiuta.
Il testo è stato pubblicato su IlSussidiario.net il 3 settembre con il titolo Ora il Papa ha un motivo in più per “sorvegliare” Pechino.