La suggestiva cornice naturale delle Dolomiti ha fatto da sfondo alla Summer School organizzata a Tonadico (nella Valle di Primiero, in Provincia di Trento) dall’Istituto Universitario Sophia in collaborazione con il Risalat Institute di Qom (Iran) e l’Islamic Institute of England (Londra), a cui hanno partecipato una quarantina di giovani sciiti e cattolici. Un’esperienza che ha fatto sorgere in noi – partecipanti e organizzatori – spontaneamente la domanda su come si possa qualificare quello che abbiamo vissuto, da un lato, e su come si possa tararne la portata, dall’altro.
Una convivenza di sei giorni che ha senza dubbio lasciato il segno nei giovani che vi hanno partecipato – come è emerso chiaramente nell’atmosfera gioiosa dei commiati.
Una stasi ventennale
Possiamo caratterizzare l’evento come un passo avanti in un dialogo interreligioso che, nell’ultimo ventennio, non ha prodotto poi così grandi progressi nella sua legittimazione presso le comunità di appartenenza? Non che in questo arco di tempo siano mancati passi e gesti concreti, come non si possono non registrare iniziative congiunte che hanno stimolato e portato avanti l’attenzione sul tema a partire dagli anni Ottanta del XX secolo (si pensi solo al primo incontro tra le religioni di Assisi nell’ottobre del 1986).
Quello che è mancato negli ultimi due decenni è stato l’approfondimento delle ragioni che hanno portato a questo avvicinamento tra le religioni. Ed è proprio rispetto a questo punto che la Summer School di Tonadico potrà forse essere ricordata in futuro come un passo avanti.
Cosa mi spinge a dire questo? Non certo perché un incontro tra giovani musulmani e cattolici, se guardiamo alla violenza dell’estremismo islamico (che, come ricorda Olivier Roy, ha più a che fare con il nichilismo che con l’Islam), potrebbe sembrare già di per sé un mezzo miracolo. E neanche perché questi giovani si sono ritrovati per compiere insieme gesti caritativi nei confronti dei rifugiati, ad esempio.
Una forma inedita di dialogo
Che possa trattarsi di un passo in avanti trova la sua ragione nel fatto che questi giovani si sono ritrovati per praticare un dialogo inedito – secondo l’opinione esperta di un consulente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Di che dialogo si tratta? Anche per me, che vi ho preso parte, non è facile definirlo.
Di certo si è trattato di un dialogo radicato nella contemplazione, in un qualche modo mistica, e nell’etica della relazione praticate nello spirito di un carisma contemporaneo come è quello di Chiara Lubich. Aspetti, questi, che sono stati accolti anche dai partecipanti sciiti come un punto di riferimento significativo. Su questa base, la Summer School ha messo al centro il tema di una cultura dell’unità; articolandosi in tre tempi: contemplazione di Dio, relazioni interpersonali, trasformazione sociale.
I giovani partecipanti hanno spesso ripreso un passaggio dell’intervento di apertura, tenuto da Piero Coda, rispetto a una possibile critica verso questo genere di esperienza, secondo la quale lo stare con membri di un’altra religione significherebbe abdicare alla propria fede e appartenenza religiosa. Su questo punto Coda annotava: «In realtà, io sono con voi non perché non sono più cristiano, ma proprio perché lo sono; e voi siete con noi perché siete musulmani – perché il credere in quel Dio che è Uno ci spinge a incontrare la presenza di Dio che è nell’altro».
Il Dio-Uno
e il legame tra gli uomini
D’altro lato, si è trattato di confrontarsi con un fenomeno in atto da più di cinque decenni e che si è soliti sintetizzare dicendo che le religioni stanno diventando sempre più da centrifughe a centripete. Davanti a questo fatto si pone alle religioni una nuova sfida: quella del Dio-Uno che ci incalza a essere a nostra volta uno – i cristiani per la loro strada e i musulmani per la propria, ma insieme perché Dio è Uno.
Potrebbe sembrare contraddittorio: uniti per strade distinte. Come si possono mettere insieme questi due aspetti? Forse proprio questa è stata l’esperienza di fondo vissuta nel corso della Summer School di Tonadico. Mettere in esercizio una concreta esperienza di unità in Dio, per comprendere che non si tratta di una omogeneizzazione delle differenze, perché essa suppone la distinzione.
Una distinzione davanti alla quale non si deve avere paura, non ci si deve chiudere, per poterla sperimentare come arricchimento, come creativa, come capace di generare qualcosa in entrambe le esperienze religiose grazie a cui ci si può riconoscere come fratelli e sorelle: «Posso capire la vostra esperienza perché so che voi potete capire la mia» (Coda).
Il vortice vuoto della globalizzazione
La globalizzazione che scombussola il nostro mondo, a partire dall’economia e dalle innovazioni tecnologiche, non trova attualmente sul piano politico uomini con una visione in grado di guidarla e contenerla. In questo, siamo tutti esposti alla mancanza di una cultura dell’unità nel permanere della distinzione.
Sviluppare la mistica, e dunque la realtà di una cultura della relazione, ci porta al cuore del passaggio epocale che stiamo attraversando. Se l’umanità scoprisse sempre più di essere una sola umanità, segnata dagli stessi drammi ecologici e dalle stesse sfide da una parte all’altra del pianeta, si potrebbe lavorare insieme a un’etica dell’accoglienza (in un qualche modo assoluta): fratelli e sorelle chiamati dal Dio-Uno e dalle grandi tradizioni religiose a vivere e praticare la regola d’oro. Terra feconda affinché Dio possa far nascere le sue risposte per l’oggi.
Il dono dell’unità e la coltivazione delle tradizioni religiose
I giorni di Tonadico sono stati, in primo luogo, un vissuto che ci ha resi consapevoli del fatto che l’unità rimane un dono di Dio. Essa accade tra noi solo se accettiamo di vivere e ragionare insieme, partendo «da dentro le nostre tradizioni, ma con uno sguardo nuovo e un cuore nuovo» (Coda). Forse è stato proprio questo vissuto che ci ha fatto immaginare l’esperienza della Pentecoste mentre ascoltavamo, sui medesimi temi, le parole del teologo sciita Mohammad Shomali (Londra) e quelle del teologo cattolico Piero Coda.
Dall’interno delle rispettive tradizioni religiose, con le proprie inconfondibili tonalità, è stato possibile sviluppare un vissuto condiviso sempre più denso; da testi antichi si è riusciti a trarre qualcosa di nuovo, che giaceva in essi ma che nessuno aveva ancora davvero portato alla luce. Abbiamo vissuto giorni nei quali ci si capiva reciprocamente, comprendendo e scoprendo al tempo stesso qualcosa di nuovo anche all’interno della propria tradizione religiosa.
Laboratorio di relazioni: convivere nella storia
Una fraternità lungamente coltivata dal Movimento dei Focolari con un collega musulmano, insieme alla preparazione messa a punto grazie a una serie di seminari offerti dai docenti di Sophia (tra il 2014 e il 2017), è stata la chiave di volta su cui si è retta la Summer School. Per quanto riguarda la trasformazione sociale, l’interazione fra i giovani partecipanti, i docenti e i membri dello staff si può affermare che l’esperienza ha messo in esercizio una sorta di laboratorio, che si è rivelato un modello possibile.
Divenuta esperienza, l’unità non è stata più solo la ragione originante e lo scopo dell’iniziativa, ma è divenuta vissuto, pur con tutti i suoi limiti: una forma possibile di convivenza dentro il cammino della storia. Poteva non funzionare, ma era un rischio da correre. Ne è valsa la pena, ha portato i suoi frutti, si può proseguire su questa strada.
«La fiducia che abbiamo costruito a livello personale in questi venti anni è un bene prezioso, non dobbiamo far aspettare le nuove generazioni altri vent’anni per poterne fare esperienza». Lo aveva detto un anno fa la teologa sciita Manhaz Heydarpour, docente alla Facoltà sciita Jamiat al-Zahra di Qom (Iran), lanciando l’idea di una Summer School per giovani cristiani e musulmani sciiti. Un primo passo è stato fatto e ha dimostrato che la cosa è possibile. Si tratta ora di non fermarsi qui; perché iniziative come quella di Tonadico sono una risposta alle sfide che tutti abbiamo sotto gli occhi.
Bernhard Callebaut (Bruges, Belgio) è docente di sociologia presso l’Istituto universitario Sophia di Incisa e Figline Valdarno (FI); è incaricato presso la Presidenza dello stesso Istituto dei rapporti con altre Università e Istituti accademici ed è responsabile dell’Area di ricerca delle Scienze Sociali e della Comunicazione. È stato membro per un quinquennio della Commissione Nazionale Cattolica (Belga) per le relazioni con gli ebrei (2005-2010). Fa parte del gruppo «Wings of Unity» e lavora nell’ambito del dialogo interreligioso cattolico-sciita.