Antigiudaismo e antisemitismo non sono esattamente la stessa cosa, anzi: il passaggio dall’uno all’altro si configura come un vero e proprio processo di trasformazione in cui non mancano le contraddizioni. Si tratta di un mutamento progressivo dall’andamento irregolare, fatto alternativamente di accelerazioni e frenate; e soprattutto di paradossi e incoerenze, come quelle, ad esempio, che riguardano, in merito al rapporto con la fede e gli ebrei, i più importanti nomi dell’Illuminismo, i paladini, almeno in teoria, del pensiero progressista, della libertà, della tolleranza, dell’apertura mentale, dell’uguaglianza, della fraternità, della modernità: personaggi come Voltaire, che parla di sé come di un antiebreo; Jean-Jacques Rousseau, che reputa gli ebrei antichi come il più abietto dei popoli, ma ammira invece quelli in esilio; l’enciclopedista Diderot, che va all’attacco di preti e rabbini, considerando le discussioni del Talmûd addirittura come puerili. È necessario dunque trovare, se possibile, il sostrato, le premesse ideologiche, nei periodi immediatamente precedenti, dell’antisemitismo e del razzismo del XIX-XX secolo.
Se il razzismo è una visione antropologica che differenzia gli uomini e li classifica in superiori e inferiori, l’elaborazione dell’idea di razza, nella sua forma più aberrante propria del Novecento, è piuttosto lunga e passa attraverso un processo caratterizzato da una sequenza di varie fasi…
Monisgnor Luigi Nason, già responsabile per la formazione biblica all’interno dell’arcidiocesi di Milano e collaboratore dell’ufficio che si occupa di ecumenismo e dialogo per i rapporti con l’ebraismo, biblista e direttore della collana Cristiani ed ebrei di cui questo libro fa parte, spiega chiaramente nella prefazione che redige che l’obiettivo – che sin dalle prime pagine si capisce essere centrato – di questo volume è divulgativo, cioè porre con obiettività l’accento su varie credenze, riflettere e far riflettere su falsi miti, pregiudizi e preconcetti relativi a ebrei ed ebraismo, identità, memoria e testimonianza.
E indagare le relazioni col cristianesimo, con cui le radici sono evidentemente in comune ma da cui tra l’altro è partita in passato l’assurda accusa di deicidio nei confronti di coloro i quali non riconoscono in Gesù il Messia. L’analisi diacronica e diatopica della questione è approfondita: ci si domanda per esempio se sia più preciso definire gli ebrei come una religione, una tradizione o un popolo, e si sottolinea come giudeo, ebreo e israelita, anche per le differenti etimologie dei termini, siano sia sinonimi che parole portatrici ognuna di un significato diverso.
Con stile raro per un saggio, chiaro, del tutto comprensibile, fluido, molto semplice, mai banale né ostico, anche se non mancano i riferimenti elevati, Riccardo Calimani, scrittore e storico, e Giacomo Kahn, direttore responsabile del mensile di comunicazione ebraica “Shalom” ed esperto in comunicazione d’impresa, si avvalgono dell’espediente dell’intervista, versione moderna del dialogo filosofico (Kahn domanda, Calimani risponde) per realizzare un esperimento comunicativo efficace, fecondo e facondo.
Riprendiamo la recensione firmata da Erminio Fischetti al volume di Riccardo Calimani e Giacomo Kahn, Gli ebrei tra storia e memoria, EDB, Bologna 2017, pubblicata lo scorso 6 settembre sul sito web Mangialibri.