Il primo discorso tenuto dal presidente americano Donald Trump davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha trovato un’approvazione incondizionata e l’espressione di una comune visione della politica da parte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: «Negli oltre trent’anni della mia esperienza con l’ONU non ho mai sentito un discorso più vigoroso o più coraggioso. Il presidente Trump ha detto la verità sui grandi pericoli che corre il nostro mondo, e ha dato voce a una portentosa chiamata al fine di assicurare il futuro dell’umanità».
Consenso espresso da Netanyahu non solo indirettamente, con la sua presenza in sala mentre Trump parlava, fatto abbastanza raro nella storia delle relazioni diplomatiche dell’ONU; ma ribadito anche in maniera esplicita nel corso del proprio intervento tenuto alcune ore dopo: «Non potrei essere più d’accordo» con quanto detto da Trump sull’accordo con l’Iran.
Questo nonostante il fatto che gli snodi centrali del discorso di Trump non fossero proprio così favorevoli alla situazione e agli interessi di Israele. In particolare per ciò che concerne la sottostante idea di un passo indietro dell’amministrazione statunitense dalle vicende degli affari internazionali – implicita alla logica dell’«America First», che sembra essere per ora l’unico contenuto abbastanza delineato dell’attuale presidente.
Anche l’affermazione di una «sovranità» avvolgente, chiusa in se stessa, da parte dei vari stati mondiali non è immediatamente di buon auspicio per Israele.
La stigmatizzazione dell’Iran e la radicale messa in questione degli accordi del 2015 è bastata a Netanyahu per esprimere una vera e propria confessione di «trumpismo» davanti all’Assemblea generale dell’ONU, palesando così le evidenti affinità elettive che scorrono tra i due.
Riferendosi alla visita di Trump in Israele, il primo ministro israeliano ha affermato: «Nel mese di maggio il presidente Trump è diventato il primo presidente americano a includere Israele nel suo primo viaggio all’estero. Il presidente Trump si è fermato al Muro del Pianto, ai piedi del Monte del Tempio dove per quasi un millennio sorgevano i templi del popolo ebreo. Quando il presidente ha toccato quelle antiche pietre ha toccato i nostri cuori per sempre».
Nel luogo che fu quello del Tempio Netanyahu ha posto Trump… è probabile che non proprio tutti gli israeliani condividano questa sorta di teologia politica della sostituzione che il loro primo ministro ha elaborato per via di un’elezione che ha avocato in esclusiva a sé investendone l’attuale presidente statunitense.