L’uomo è fragile, vulnerabile. Dio è fragile. Si espone alla relazione con l’uomo, si mette in gioco, si umanizza, arriva a «inaltrarsi», come scrive Antonio Rosmini, si fa l’altro per aprirsi e comunicarsi nel tutto di sé.
Le tre riflessioni, più l’introduzione di Brunetto Salvarani, sul tema della fragilità esprimono diversi punti di vista e paiono intessere un dialogo tra differenti concezioni religiose, dialogo quanto mai importante per la comprensione reciproca tra fedi che si dipartono tutte dalla Bibbia.
Il testo biblico, lungi dall’essere un libro morto, rispecchia un po’ tutte le condizioni umane, compresa la fragilità, è un testo interculturale, nato in epoche diverse, stratificato, non scritto di getto, ma frutto di una mediazione culturale, di un via vai di tradizioni che entrano ed escono dal testo. È un libro che educa e narra contemporaneamente.
Le riflessioni contenute in questo agile volumetto sono come le diverse voci di un coro, ciascuna ha le sue caratteristiche, ma tutte concorrono a interrogarsi sulla condizione umana e soprattutto sul tema della fragilità e del male, sul perché della debolezza umana e sulla posizione di Dio di fronte a tutto questo. Sono le eterne domande dell’uomo.
Moni Ovadia fa numerosi riferimenti ai commentari dei saggi padri ebraici. Di solito noi associamo l’idea di Dio all’onnipotenza, ma il Dio creatore è uno che rischia e fa spazio all’altro da sé, un altro che è libero di scegliere tra bene e male e quindi anche di ribellarsi a Dio stesso.
Lidia Maggi fa invece riferimento soprattutto al libro di Giobbe, colui che aveva tutto e si ritrova di colpo senza niente: né casa, né figli, né beni e inizia così a interrogarsi sul perché della propria sorte, arrivando a discutere con Dio stesso. In fondo, osserva la Maggi, la prima vittima del male è proprio Dio, visto che spesso di fronte a tante disgrazie, la fede in Lui tracolla e viene messa in discussione. Un Dio così è fragile, è debole. La sua stessa relazione con l’uomo lo rende tale. Se c’è un aspetto affascinante è proprio questo della relazione, di un legame in cui Dio si avvicina, non è autosufficiente, va in cerca dell’uomo e si mostra solidale con lui. È un Dio che accetta la discussione con Giobbe come con ciascun essere umano. Si può lasciarlo e scindere la relazione. Anche il male, grande mistero, non è del tutto spiegabile: Dio può cercare di arginarlo, ma non senza difficoltà.
«Il male è come polvere che si accumula ogni giorno sul tappeto della vita. Al mattino anche Dio, come un’accorta casalinga, è costretto ad alzarsi e a sbattere la polvere accumulata per far precipitare via i malvagi. Ma appena la pulizia è fatta, la polvere si forma di nuovo e bisogna ripetere l’operazione ogni giorno: “Hai tu mai, in vita tua, comandato al mattino, o insegnato il suo luogo all’aurora, perché essa afferri i lembi della terra, e ne scuota via i malvagi? La terra si trasfigura come creta sotto il sigillo e appare come vestita di un ricco manto; i malfattori sono privati della luce loro, e il braccio, alzato già, è spezzato” (Gb 38, 12-15)».
Come la vita, la fede, nonostante il male, può trovare sempre nuovi inizi dopo travolgenti terremoti.
Infine, Piero Coda va oltre l’Antico Testamento e approda al Nuovo, a Gesù, l’immagine incarnata di Dio. Essendo uomo, Cristo ha le fragilità umane eccetto il peccato, sa condividere, si lascia ferire dall’uomo, sa compatire. La terza riflessione conclude e completa le altre proprio con questa alleanza che Dio vuole stringere con l’uomo attraverso Gesù.
«Gesù è il “sì” che risponde, con la fragilità forte dell’amore dell’uomo, alla fragilità forte dell’amore di Dio, ma anche nel senso che proprio così è consegnata sino in fondo all’uomo la possibilità di rispondere anche «no»: quando il Figlio dell’uomo tornerà sulla terra, troverà ancora la fede? (cf. Lc 18,8)».
I tre testi, attualissimi e ricchi di spunti di meditazione, erano stati originariamente pubblicati nel volume La fragilità di Dio. Contrappunti teologici al terremoto, a cura di B.Salvarani, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2013.
Il libro appartiene a una collana dal nome evocativo, «Le ispiere», che sono i raggi di sole che, penetrando da una fessura in un ambiente in ombra, illuminano la polvere e si rendono ben visibili nella semioscurità. Il termine compare nel Codice Riccardiano 1341 come traduzione di un passo del vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo in cui si narra un gioco d’infanzia di Gesù che cavalca l’ispiera del sole.
Moni Ovadia – Lidia Maggi – Piero Coda, La Divina perplessità – Un Dio fra le macerie – Il segreto della fragilità, collana «Le ispiere», EDB, Bologna 2017, pp. 56, € 7,00. La recensione che qui riprendiamo è stata pubblicata sul sito web Lankenauta lo scorso 2 ottobre.