Il testo che pubblichiamo è del superiore generale dei Fratelli della carità, fr. René Stockman (3 ottobre). La provincia belga ha elaborato negli ultimi due anni un Testo di orientamento che legittima nei suoi 15 ospedali psichiatrici l’eutanasia per i dementi, anche non terminali (aprile 2017). L’orientamento è stato contrastato dall’amministrazione generale della congregazione, dai vescovi belgi e dalle competenti Congregazioni vaticane (maggio-agosto). I fratelli belgi hanno rifiutato di modificare le proprie posizioni (12 settembre). Vi sarà un ultimo tentativo in un dialogo fra dicasteri romani, curia generale e provincia belga. Nel contesto civile belga, favorevole all’eutanasia, e prima della decisione definitiva, il superiore generale istruisce l’insieme della vicenda.
Negli ultimi mesi c’è stato molto da discutere sulla questione se l’eutanasia sarà permessa o no negli ospedali psichiatrici dei Fratelli della carità in Belgio.
Fino ad oggi avevano applicato in maniera rigorosa la presa in carico di ogni domanda di eutanasia, cioè fare tutto il possibile per accompagnare il malato che la chiedeva e di tentare di offrigli nuove prospettive di vita. Se la richiesta di eutanasia permaneva e se tutte le condizioni erano presenti, l’eutanasia stessa non era compiuta dentro l’istituzione, ma, assieme al paziente e alla famiglia, si cercava un luogo dove essa poteva essere fatta.
Con questo sistema non si agiva contro la legge e, allo stesso tempo, si restava fedeli alla visione della Chiesa cattolica che disapprova l’eutanasia, perché la vita va difesa in tutte le circostanze e in forma assoluta.
Soluzione discussa
Alcuni giudicavano il metodo come ambiguo e ipocrita perché i pazienti venivano allontanati dal loro contesto abituale per subire l’eutanasia fuori delle istituzioni dei Fratelli della carità.
Non trovo tutto questo né ambiguo, né ipocrita, perché fin dall’inizio è chiaramente detto al paziente e alla sua famiglia che l’eutanasia non sarà fatta all’interno degli ospedali dei Fratelli, senza per questo giudicare la decisione eventuale del paziente.
Noi chiedevamo che il paziente e la famiglia rispettassero la nostra visione in quanto istituzione cattolica. Si trattava di un atto di rispetto reciproco.
Sappiamo che questa visione e questo metodo di lavoro sono stati criticati dall’esterno, soprattutto da parte dei partigiani attivi dell’eutanasia, ma anche dall’organismo rappresentativo degli ospedali cattolici che disapprova l’eutanasia come principio ma la ammette in certi casi.
Sappiamo anche che in alcuni ospedali di lontana matrice cattolica l’eutanasia è tranquillamente praticata, mentre in altri ospedali si sono sviluppate procedure chiare per gestire la questione, senza escludere l’eutanasia per principio.
Ma anche all’interno della nostra organizzazione di Fratelli della carità non siamo stati risparmiati da critiche, anche se la grande maggioranza degli psichiatri condividevano l’orientamento che l’eutanasia non fosse appropriata per i pazienti non terminali che si trovano in una situazione medica senza uscita. Che alcuni politici non nascondessero le proprie critiche ma andassero apertamente e spesso alla carica, è cosa nota.
Con tutto questo si può dire che le istituzioni dei Fratelli della carità si ponessero in una superiore solitudine? Forse sì. Ma questo sarebbe una buona ragione per modificare la propria visione ed elaborarne un’altra che metta l’accento sull’agire prudenziale davanti alla domanda eutanasica, lasciando tuttavia la porta aperta per l’esecuzione dell’eutanasia entro le mura dell’istituzione? Non lo penso.
È meglio che, in una società pluralistica, la diversità sia e resti presente, dove gli organismi come i nostri gestiscano in forma coscienziosa questa legge, nel quadro legislativo dato, in conformità all’immagine cristiana dell’uomo, come organizzazione cattolica, come anche per i singoli curanti; aperti alla domanda, aperti all’accompagnamento, ma non disponibili ad applicare e a mettere in esecuzione l’eutanasia.
Posso ricordare l’affermazione in una intervista del professore, Willem Lemmens: «Trovo molto significativo ciò che Othman El Hammouchi, giovane filosofo musulmano, affermava: la Chiesa non deve piegarsi alle “evoluzioni” sociali, ma deve essere sorgente di stabilità in mezzo ai cambiamenti. Questo potevano fare i Fratelli della carità: utilizzare il “momento” per spiegare il loro rifiuto».
Tempo di profezia
«Utilizzare il “momento” per spiegare il proprio rifiuto». Così, in quanto istituzioni dei Fratelli della carità, si eserciterebbe la profezia meglio di quanto si rischia di fare. Ora si diventa, forse involontariamente, alleati di coloro che vogliono sempre più estendere l’applicazione della legge, divenendo così corresponsabili di una tendenza che banalizza l’eutanasia, alla fine riconosciuta come un diritto del paziente e, nel caso peggiore, considerata come un dovere che, in certe condizioni, può essere imposto da terzi. Quando la porta è accostata si sa per esperienza che non ci vuole molto ad aprirla del tutto.
Con la nuova visione, le istituzioni dei Fratelli della carità hanno socchiuso la porta e ci chiediamo ansiosamente per quanto tempo questo potrà durare prima che la porta sia spalancata e che le condizioni prudenziali formali di cui si è così fieri, vadano diluendosi nella pratica verso la banalità e la formalità.
Guardando al contenuto del Testo di orientamento, come amministrazione generale dei Fratelli della carità abbiamo espresso obiezioni fondamentali che rovesciano tutte le considerazioni sull’agire prudenziale.
– Anzitutto, il punto di partenza colloca la protezione della vita, l’autonomia del paziente e la relazione di cura allo stesso livello, come valori fondamentali. Per noi la protezione della vita è più che fondamentale, perché essa deriva dal rispetto per la vita che è un assoluto.
Vediamo la protezione della vita come un valore apicale che precede tutti gli altri valori, non manipolabile. La protezione della vita non può sottostare all’intenzione di un atto. Essa la precede.
Affermiamo, in conformità alla dottrina della Chiesa cattolica che la vita, ogni vita, merita il nostro rispetto assoluto e per questo non possiamo mai partecipare all’esecuzione dell’eutanasia che consideriamo come il fatto di uccidere un prossimo. È la ragione per cui abbiamo chiaramente detto fin dall’inizio che l’eutanasia è esclusa dagli istituti dei Fratelli della carità.
– In secondo luogo, nel Testo di orientamento, l’eutanasia è qualificata come un atto medico, relativo alla libertà terapeutica del medico. È un’affermazione del tutto criticabile attraverso cui diamo una qualificazione all’eutanasia che non ha nemmeno nella legislazione e attraverso la quale il fatto di uccidere un prossimo è considerato come atto medicale. Per la legge l’atto è affidato a un medico, ma questo non è ancora un atto medicale. Pretendendo che si tratti di un atto medicale, l’insieme delle procedure prudenziali perdono di senso, perché infine è il medico e solo lui che decide sull’eutanasia o no.
Anche a livello internazionale ci sono molte critiche su questa impostazione e chiediamo esplicitamente che tale visione sia rifiutata.
Anche se si pretende che il Testo di orientamento sia anzitutto un testo etico sembra manchi la consapevolezza che il Testo di orientamento abbia conseguenze giuridiche, concrete e societarie.
Tre critiche
– In terzo luogo, non possiamo accettare che la sofferenza insopportabile dei pazienti psichiatrici e la situazione medica senza uscita siano considerati criteri per accedere all’eutanasia. Chiunque abbia familiarità con la psichiatria sa che il sentimento di trovarsi in una situazione senza uscita è tipica del disturbo psichiatrico e che tocca ai curanti mettere in opera il possibile per far brillare una fiammella di luce e portare speranza in tale situazione senza uscita. Vi è qui una grande sfida per dare forma qualitativa alla nostra azione terapeutica in situazioni gravemente penose.
In quanto amministrazione generale, abbiamo chiesto all’organizzazione dei Fratelli della carità in Belgio di rivedere il loro Testo di orientamento su questi punti, conformandosi alla visione della congregazione espressa nel proprio carisma e in conformità con la dottrina della Chiesa cattolica.
Accusare l’amministrazione generale di essere estranea al contesto sociale di questa problematica dove si tratta delle cure per pazienti psichiatrici, è elusivo e manca di ogni fondamento.
Per due anni c’è stato un dialogo sul contenuto del Testo di orientamento fra i responsabili della congregazione e l’amministrazione generale. Senza esito. La dichiarazione recente dei vescovi del Belgio in cui era chiarito ancora una volta il punto di vista della Chiesa sull’inammissibilità dell’eutanasia in generale e in contesti di sofferenze psichiche non terminali, è stata ignorata dall’organizzazione dei Fratelli della carità. Un tentativo di mediazione con un mediatore terzo è fallito.
In quanto congregazione di diritto pontificio, ci è stato chiesto dalle competenti autorità vaticane di percorrere tutte le strade per ricollocare il Testo di orientamento dell’organizzazione dei Fratelli della carità in conformità con la dottrina della Chiesa.
La Congregazione per la dottrina della fede ha scritto una lettera chiara su ciò che ci si attende dai cristiani quando si tratta di rispetto assoluto per la vita, dall’inizio alla sua fine naturale. La Segreteria di stato nella persona del segretario di stato, card. Parolin, ha espresso la sua grande sollecitudine relativa all’evoluzione interna all’organizzazione dei Fratelli della carità del Belgio.
L’ultimo tentativo
La Congregazione per la vita consacrata, da cui la nostra congregazione dei Fratelli della carità gerarchicamente dipende, ha dato un ultimatum all’organizzazione, chiedendo al superiore generale di trasmetterlo. Per tentare ancora di trovare una soluzione al problema, l’ultimatum è stato sospeso e, a tempi brevi, verrà organizzato un incontro fra i tre dicasteri del Vaticano, l’amministrazione generale della congregazione e l’organizzazione Fratelli della carità del Belgio. Sempre nella speranza di modificare il Testo di orientamento, per renderlo conforme alla dottrina della Chiesa cattolica e al carisma della congregazione dei Fratelli della carità.
Attendiamo il risultato di quest’ultimo tentativo. Come congregazione noi continuiamo a sperare – come abbiamo sempre fatto – di poter far risuonare anche in Belgio una voce profetica, talora controcorrente rispetto all’opinione pubblica ma capace di sollecitare tutti a riflettere sul modo con cui la nostra società tratta l’uomo fragile e quello sofferente in particolare. La nostra società deve investire con urgenza nella cura per queste persone e nella ricerca di nuove terapie.
Papa Giovanni Paolo II parlava di una deriva da una “cultura di vita” a una “cultura di morte”. Alcuni pretendono che rifiutare l’eutanasia a chi soffre molto ed è senza speranza sia un atto impietoso. Non vi è forse in questa posizione un abuso del termine “compassione”, piegato in senso contrario a ciò che originariamente significa: un atto con cui si dà una vita migliore e significativa al proprio prossimo? Non dobbiamo piuttosto imparare a riconoscere uno spazio alla sofferenza che la vita ci fa incontrare, fare il possibile per guarire e soprattutto per alleviarla attraverso la presenza di chi conosce compassione? Tutto questo non ha a che vedere con una glorificazione impropria della sofferenza, né con l’accanimento terapeutico.
Non condanniamo affatto le persone che scelgono l’eutanasia, anche se non possiamo approvarne il gesto. La compassione nel senso cristiano della parola non ammette l’eutanasia. Non vi è dunque alcun spazio per l’eutanasia nelle istituzioni dei Fratelli della carità. Questo dovrà essere comunicato all’inizio di ogni ricovero ospedaliero ai pazienti e alla famiglia.
È un segno di mancanza d’amore con un’inflessione impietosa? È il contrario. Il carisma dei Fratelli della carità è così formulato: la misura dell’amore è l’amore senza misura, in particolare per il prossimo provato e fragile.