Cercate la sapienza
Al di là delle diverse suddivisioni del libro della Sapienza, scritto in greco ad Alessandria d’Egitto (la seconda città dell’impero romano) probabilmente nel 30 a.C. e non accettato nel canone dei libri sacri accolti dall’ebraismo, la maggior parte degli studiosi vede nei cc. 1–6 l’invito accorato a ricercare la Sapienza.
La meditazione si sofferma sulla vita umana e sul giudizio escatologico, contrapponendo il pensiero e la vita del giusto a quello sbagliato e dissennato degli ingiusti.
Il clima culturale in cui ha visto la luce il libro è quello del giudaismo alessandrino, che vuole promuovere se stesso all’interno della cultura ellenistica, mostrando che la sapienza dei propri patriarchi precede di gran lunga quella del tempo presente.
Finalità ulteriore del sapiente che scrisse il libro è anche quella di formare le nuove leve di cultura ebraica chiamate ad assumere le posizioni chiave a livello religioso, culturale, giuridico e politico. La visuale d’insieme rimane comunque larga, abbracciante ognuno che voglia realizzare la felicità vera nella vita.
L’immagine che fa da sfondo a tutto il libro è quella del maestro che istruisce, ammonisce e sprona il discepolo ad accrescere la propria cultura ma anche e soprattutto la visione sapienziale della vita, sorretta dalla fede in YHWH, il Dio di Israele.
Prima di tesserne l’elogio (Sap 6,22–9,18) e mostrarla all’opera nella storia (Sap 10,1–19,22), l’autore propone un invito accorato a ricercare la sapienza/Sapienza. Egli si rivolge soprattutto ai “giudici della terra/hôi krinontes tēn gēn” (1,1), per poi compiere un’inclusione letteraria alla fine della prima parte, rivolgendosi ai “re/basileis” (6,1a), ai “governanti di tutta la terra/dikastai peratōn gēs” (6,1b), ai “dominatori di popoli/hoi kratountes plēthous (6,2a), agli orgogliosi (di comandare su molti popoli), a coloro a cui fu donato dal Signore/kyrios e dall’Altissimo/hypsistos “il potere/hē kratēsis” e l’autorità /hē dynasteia” (6,3). Ricorda loro che saranno giudicati dal Signore e che sono solamente (!) “ministri del suo regno/hypēretai… tēs autou basileias” (6,4).
Si deve ricordare che, proprio nel 30 a.C., con la vittoria di Ottaviano su Marco Antonio, l’Egitto divenne provincia romana, con relativo stato giuridico (la kratēsis, presa di possesso, da parte dell’imperatore).
La sapienza necessaria per ben vivere e ben governare la società a tutti i livelli va cercata perché essa è splendida e non sfiorisce (6,13).
In un altro libro sapienziale, il libro dei Proverbi, il sapiente afferma che essa è creatura dell’Altissimo, esistente fin dall’inizio e addirittura prima della creazione, partecipe della natura di Dio, di cui intride la creazione e l’animo dell’uomo che si apre alla sua accoglienza (cf. Pr 9,22-31). Addirittura gioca con gli uomini, tanta è la sua volontà di renderli veramente felici: «Giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo… Infatti, chi trova me trova la vita e ottiene il favore del Signore; ma chi pecca contro di me fa male a se stesso; quanti mi odiano amano la morte» (Pr 8,31.36).
Il discepolo del maestro saggio, ebreo ma anche pagano – specie se è destinato a coprire ruoli chiave nella società – deve cercare la sapienza/Sapienza lasciandosi istruire sulle vie dell’Altissimo, amante di tutte le cose che esistono (cf. 11.24), amante della vita (cf. 11,26).
Il suo inizio, il principio, l’archetipo/archē (Sap 6,17) è il “desiderio di istruzione/paideias epithymia”, che è amore, osservanza delle leggi di Dio, garanzia di poter ricevere da lui l’incorruttibilità e di essere messi “vicini a Dio/eggys… Theou” (cf. 6,17-19). «Dunque, il desiderio della sapienza innalza al regno» (6,20). Per regnare sempre, i “dominatori di popoli/tyrannoi laōn” e coloro che si compiacciono di troni e di scettri devono però ascoltare e obbedire a un consiglio/comando del saggio: “Onorate la sapienza/ timēsate sophian” (6,21).
L’ideale greco era quello di poter seguire il percorso formativo e acquisire l’istruzione ellenistica ritenuta completa: la paideia. Il sapiente ebreo propone anch’egli la paideia, illuminata però dalla fede e responsabile di fronte non solo agli uomini, ma al giudizio dell’Altissimo, che solo può donarla.
La sapienza si lascia trovare
Anche nell’Antico/Primo Testamento la grazia precede l’etica e il dono viene prima del compito. Così è della sapienza/Sapienza. Il saggio ricorda che essa non solo va ricercata, ma va accolta perché precede la ricerca dell’uomo. Per essa vale la pena alzarsi presto la mattina, ma essa – come una cameriera o una badante che attende l’inizio del turno di lavoro – si trova già seduta sui gradini della casa la mattina molto presto.
Essa si lascia vedere, si lascia trovare da coloro che la amano e percepiscono che senza una vera scala dei valori non si va da nessuna parte, e chi si ribella alla sapienza «fa male a se stesso; quanti mi odiano amano la morte» (Pr 8,36).
La sapienza – arte del ben vivere e del ben governare – non vuol tenere nessuno minorenne, ma si aggira nella città degli uomini apparendo benevola e collaborativa in ogni progetto (di bene, s’intende) (6,16). Colui che, per ricercarla, non solamente si alza presto la mattina ma “veglia, rubando il tempo al sonno/agrypneō” (6,15b), “sarà presto senza affanni/tacheōs amerimnos”.
Gesù, la Sapienza che «è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie» (Mt 11,19), invita alla serenità, occupandosi delle cose del mondo, ma senza pre-occuparsene (cf. Mt 6,25-34), in modo che esse non soffochino la parola di Dio che vuole crescere (cf. Mc 4,19). La sapienza/Sapienza stessa “va in cerca /perierchetai zētousa” di chi è degno di essa, cioè di colui che si apre ai suoi disegni secondo il progetto divino, la sua arte di vivere, il suo modo di esercitare il potere politico e giudiziario.
La sapienza va in cerca
La sapienza va cercata, ma a ben guardare, è essa stessa che ci previene, insegnando la vita costruttiva, ordinata secondo una giusta scala di valori secondo i quali interpretare e vivere la vita, le relazioni, il lavoro. Chi si lascia trovare da chi vuol farsi trovare realizzerà un cortocircuito positivo di vita buona e piena, divina. In effetti, chi cerca la sapienza/Sapienza, cerca il Signore: «Amate la giustizia, voi giudici della terra, pensate al Signore (phronēsate peri tou kyriou) con bontà d’animo e cercatelo con cuore semplice. Egli infatti si fa trovare da quelli che non lo mettono alla prova, e si manifesta a quelli che non diffidano di lui» (Sap 1,1-2).
Svegli e pronti
“Pensate al Signore/phronēsate peri tou kyriou”, ammoniva fin dall’inizio della sua opera l’autore del libro della Sapienza (Sap 1,1). E, mentre cinque delle dieci vergini protagoniste della parabola di Gesù sono “stolte/mōrai”, le altre cinque sono “sagge/phronimoi”.
L’evangelista Matteo è un pastore pieno di premura e catechisticamente “etichetta” volentieri fin dall’inizio i suoi personaggi, “mostrando” da subito chi è nel giusto e chi nel torto, di modo che il lettore si orienti subito nelle sue scelte, seguendo la via della sapienza e della verità proposta da Gesù.
Gesù sta avviandosi ormai al dono totale di sé. Sta vivendo i suoi ultimi giorni nella “città (gr. polis) del grande Re” (Mt 5,35; cf. Sal 48,3b: «Il monte Sion, vera dimora divina, è la capitale (ebr. qiryat/gr. polis) del grande re». Egli è il figlio del re di cui si stanno per celebrare le nozze (cf. Mt 22,1-14). Come il “giudice” Sansone, egli vuole entrare dalla sua sposa, nella sua camera (cf. Gdc 15,1).
Gesù, però, non morirà per far morire i nemici come aveva fatto Sansone che si suicida portando con sé i capi filistei e tremila persone che lo torturavano per burla (cf. Gdc16,21-30). «Furono più i morti che egli causò con la sua morte di quanti aveva uccisi in vita», commenta l’autore del libro dei giudici (Gdc 16,30).
Gesù, al contrario, “pone/dona/tithēsin” la propria vita (cf. Gv 10,11) affermando: «Io sono venuto perché [le pecore/gli uomini] abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
Matteo lo ricorda, con una nota più “teologica” che cronachistica: «Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti».
Nei giorni decisivi della vita occorre stare ben svegli, attenti, vegliare. Alla vigilia del matrimonio molti non riescono a dormire… Per questo gli ultimi discorsi di Gesù, per illustrare l’attenzione sapienziale con cui va accolto il regno che cresce nella storia, ma è portato a pienezza dal Padre come eredità preparata «fin dalla creazione del mondo» (Mt 25,35), invitano con forza alla vigilanza e alla responsabilità.
Attenti ai segni premonitori, che nella città degli uomini e nella Chiesa emettono le foglie tenere della vita nuova (cf. Mt 24,32-36), occorre vegliare (egrēgoresen, Mt 24,43) ed essere pronti (ginesthe hetoimoi, Mt 24,44) per non essere sorpresi dal ladro maligno che “perfora” (Mt 24,43) l’abitazione pensata sicura e blindata.
Non è tempo per di sbevazzare e fare baldoria, quando si ha il compito di essere “amministratori delegati” del popolo di Dio (cf. Mt 45-51), quando si aspetta la visita del “padrone dell’azienda”, che ha piena libertà di “tardare” (chronizei, Mt 24,48; cf. 25,5).
Le vergini stolte e sagge
Tutte e dieci le vergini damigelle d’onore si assopiscono e si addormentano (ekatheudon), aspettando il ritorno dello sposo dalla casa dove è andato a prendere la sua sposa. La vita è dura per tutti, anche per chi ama ed è amico dello sposo ed «esulta di gioia» solo a sentire la sua voce (cf. Gv 3,29).
La stanchezza si fa sentire, mentre si testimonia nelle città pietrificate da relazioni false, vuote o assenti, strumentalizzate dal materialismo pratico. La “disattenzione” regna sovrana, lo sguardo fisso sul telefonino.
Vale anche oggi la domanda fatta a Gesù: «Gli disse Giuda, non l’Iscariota: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?”». Lo sposo “tarda/chronizontos” (Mt 25,5) e arriva «nel pieno della notte» (U. Luz), nell’ora della massima stanchezza.
«Ecco lo sposo, andategli incontro!», qualcuno grida, forse più sveglio di altri. Ma anche le cinque vergini sagge /phronimoi erano sveglie nel “profondo” del loro cuore. «Mi sono addormentata (Egō katheudō, cf. Mt 25,5), ma veglia (agrypnei) il mio cuore. Un rumore! La voce del mio amato che bussa» (Ct 5,2).
Tutte le damigelle “si destarono/risorsero/ēgerthēsan” all’unisono; l’assopimento e il sonno termina per tutte in un lampo. Il cuore e il tesoro, però, non sono uguali per tutte. «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). Gli stracci imbevuti di olio e attorcigliati intorno ai bastoni sono pronti in un attimo, le fiaccole sono riaccese. La sorpresa è amara però per chi non è stato avveduto, per chi non è stato saggio (phronimos) e quindi non può essere “pronto (hetoimos) per andare incontro” allo sposo che viene ora, e alla fine dei tempi. È l’incontro decisivo, critico, definitivo, escatologico.
L’olio di riserva non c’è per le stolte; abbonda invece al sicuro nei vasi (aggeion “vaso, contenitore, recipiente”, non necessariamente “piccoli”) per le sagge. La riserva di provviste di grano, orzo, olio e miele salvò dalla morte dieci uomini al cospetto di Ismaele, spietato uccisore del governatore della provincia di Giuda, Godolia, e di altri uomini (cf. Ger 41,8). L’olio esaurito è invece segno che la città è devastata, e non c’è più speranza di sopravvivenza (cf. Gl 1,10).
Le vergini damigelle sagge hanno portato con sé l’olio in piccoli vasi, memori della parola detta da Gesù ai Dodici, ai discepoli e alla folla all’inizio del Discorso della Montagna: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16).
L’olio fornisce la capacità di far luce. Le “opere buone”, le opere della fede e dello Spirito chiarirà san Paolo – sono i semplici gesti d’amore quotidiano, gratuiti e “trasparenti a Dio”, quelli che fanno luce nella vita, costituiscono ed esprimono la vitalità della fede, assicurano la preparazione di fondo, remota per l’incontro finale con lo sposo. È la vita impregnata di Spirito di figli che ha bisogno solo di essere ravvivata nel momento decisivo.
In piena notte, nelle città del Medio Oriente, si può ancora trovare di tutto. Anche nel Primo Mondo, nei desolanti negozi aperti H24. Le damigelle sagge mandano al mercato notturno le stolte, non per algida cattiveria, gelosia o avarizia. Non sono le “acide zitelle” citate da papa Francesco. L’accoglienza dello sposo può correre il rischio di un fiasco totale, con vergogna generale. Così vanno le storie del mondo, così vanno le parabole.
Le damigelle sagge sono forse un po’ brusche, ma realiste. Cercano di salvare almeno metà delle luminarie, per il corteo delle fiaccole e forse anche una possibile “danza delle fiaccole” (J. Jeremias). La festa nuziale non può finire nel buio totale!
Le pronte
Il significato profondo delle parole delle vergini damigelle sagge va letto pensando al referente esterno al racconto parabolico. Se nella realtà, affrettandosi al massimo, si può anche trovare l’olio in piena notte, l’esclusione dall’entrata alla festa nuziale delle vergini stolte ritornate di corsa con l’acquisto fatto in extremis, rivela che Gesù sta parlando d’altro. All’incontro decisivo, ultimo, con lo Sposo, entra solo chi è “pronto”. Le damigelle che entrano alla festa con gli sposi non sono chiamate sagge, ma “le pronte” (hai hetoimai, v. 10). Alle “non pronte” lo sposo dice di non conoscerle e le esclude, chiudendo loro la porta in faccia.
Ci sono cose che non si possono dare agli altri. Al momento decisivo della mia vita non posso dare la mia vita al posto della vita di un altro. Non posso vivere al posto di nessuno, anche della persona più cara. Ognuno è responsabile della sua vita che deve essere luminosa, sempre pronta, con una preparazione di fondo e una “rifinitura” finale richiesta, ad esempio, ad ogni atleta che voglia essere tale, e “fare i tempi” che gli permettono di andare alle Olimpiadi, ai campionati mondiali di specialità, alle corse che fanno punti.
L’atleta “preparato” e “pronto” è se stesso, corrisponde alla sua natura, a ciò che gli piace. A ciò lo rende felice, già adesso. Alla fine della gara si vedrà, ma lui ha fatto in coscienza tutto quello che poteva. Ha dato tutto.
“Le pronte” entrarono con lo sposo alle nozze (e la porta fu chiusa).
Tutte le damigelle sono invitate, metà “elette” perché “pronte”.
Ne va della mia felicità. Val la pena avere la riserva.
Sono le nozze dell’Agnello, del figlio del re.
«Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio: dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; il re è invaghito della tua bellezza. È lui il tuo signore: rendigli omaggio… Entra la figlia del re: è tutta splendore, tessuto d’oro è il suo vestito. È condotta al re in broccati preziosi; dietro a lei le vergini, sue compagne, a te sono presentate; condotte in gioia ed esultanza, sono presentate nel palazzo del re» (Sal 45[44], 1112.14-16).
Entra!
Tutti “pronti”!