«Un anno fa, all’apertura dell’anno pastorale, ho usato l’immagine del cantiere per descrivere la situazione della nostra Chiesa. Questa immagine, infatti, richiama l’idea di un progetto condiviso e la necessità di una partecipazione di tutti per realizzarlo. Abbiamo cercato di abbozzare questo progetto soprattutto a partire dalla necessità di ripensare la presenza della nostra Chiesa sul territorio. Ci siamo resi conto che non si tratta solo di un problema organizzativo, ma di ripensare e rinnovare a fondo le nostre parrocchie in modo che non si limitino ad essere solo centri di servizi religiosi, ma comunità vive…». Così esordisce la “proposta pastorale 2017-18” pubblicata dal vescovo di Adria-Rovigo, Pierantonio Pavanello, 62 anni, uno dei più giovani in Italia, nominato a fine 2015 e giunto in diocesi nei primi mesi del 2016 quale successore di mons. Lucio Soravito. Un esperto di formazione e docenza giuridico-canonica, succeduto ad un esperto in ambito catechetico.
Nella pagina di presentazione, datata 29 settembre 2017, precisa che non si tratta solo di sue riflessioni, pur essendone competente, ma di un «lavoro fatto in diocesi nell’anno pastorale 2016-2017 specialmente dal Consiglio presbiterale e dal Consiglio pastorale diocesano». Mi piace – aggiunge – poter «rilanciare a tutta la comunità diocesana quanto è nato dal confronto e dalla condivisione nei consigli diocesani perché diventi oggetto di una ulteriore e più vasta riflessione», eventualmente ricorrendo a piccoli gruppi di confronto.
Dando uno sguardo a quella che definisce un’umanità provata, anche nell’ambito della sua diocesi, parla dei più esposti alle conseguenze anche della crisi economica: anziani e giovani.
«Il primo dono che la Chiesa può fare a questa comunità è uno sguardo di compassione: come Gesù di fronte alle folle, anche la nostra comunità cristiana è chiamata a com-patire, cioè a fare propri il disagio e la sofferenza della popolazione che abita la nostra terra. Ciò che colpisce Gesù non è soltanto la mancanza di cibo ma il fatto che le persone “erano come pecore senza pastore”: la folla, in altri termini, non aveva una guida, un orientamento e quindi era divisa al suo interno, incapace di trovare una strada. È una situazione assai simile a quella che stiamo vivendo oggi».
Che fare? «Essere una chiesa “umile”, che sta vicino alle persone e alle loro preoccupazioni e angosce e, allo stesso tempo, mostra un percorso e dona una speranza».
I riferimenti vanno alle pagine evangeliche dove il miracolo scatta quando si condivide la povertà dei cinque pani e dei due pesci. E indica come prospettiva quella di aprirsi, «costruire unità, andando oltre la frammentazione e l’isolamento che ci paralizzano… mostrare la bellezza e la fecondità di metterci assieme e di condividere le nostre risorse è un annuncio di novità e di speranza che siamo chiamati a dare anche alla società civile».
Tutto questo si riflette pure sull’organizzazione parrocchiale, a proposito della quale nota: «Più che tanti piccoli pozzi dispersi, che finiscono per non dissetare nessuno, è necessaria una sorgente più grande che, a partire da un punto centrale, dia acqua e vita a tutto il territorio circostante».
Fedeli e partecipazione
Occorre ripensare il modo di essere comunità cristiana, comunità viva e partecipata piuttosto che centrata sul prete o centro di servizi religiosi. E il vescovo aggiunge: «visitando le parrocchie, mi colpisce che mi venga chiesto, in caso di avvicendamento del parroco, di nominare un prete che sia disponibile a mantenere le attività ricreative e sociali presenti in quella parrocchia, mentre molto raramente mi viene presentata la domanda di avere un prete che curi la formazione cristiana e animi la testimonianza della carità verso i poveri. Dobbiamo chiederci se una Chiesa pensata in questi termini permetta alle persone di avvicinarsi a Gesù Cristo e al suo Vangelo. Credo che, se vogliamo trasmettere il Vangelo, dobbiamo lavorare per una Chiesa diversa…». L’evangelizzazione – come insiste papa Francesco – si realizza “per attrazione” e, da questo punto di vista, dobbiamo davvero «pensare la vita della Chiesa come un compito di tutti i fedeli». Si deve pensare «ad una presenza di Chiesa che va oltre la parrocchia… la comunità vive delle famiglie, la parrocchia va ripensata come “famiglia di famiglie unite nella stessa fede”».
E il prete?
Anche per lui bisogna delineare un ruolo diverso, che interagisce con la corresponsabilità dei laici, che sa valorizzare anche il diaconato, oggi un po’ in tono minore.
Il prete deve qualificarsi nel saper indirizzare e coordinare i vari doni, insomma «è un fratello che si prende cura della fede all’interno di relazioni fraterne» ed esercitando l’autorità sa «far nascere qualcosa di nuovo da un terreno fertile». Inoltre oggi si sente l’urgenza di «riscoprire la dimensione collegiale del ministero presbiterale: si è preti non da soli, ma dentro un presbiterio, insieme con altri preti e con il vescovo. Sono nate così anche da noi esperienze di più preti che assumono insieme la cura pastorale di una o più parrocchie nella modalità dei parroci in solido (“co-parroci”) o formando un team che, pur essendo ognuno parroco di una o più parrocchie, gestisce insieme un territorio vasto». Sono nuove presenze che danno testimonianza di corresponsabilità tra preti.
Ma, detto questo, ci sono anche piste nuove per la responsabilità dei laici nella vita della comunità, sulla scorta di quanto avviene nelle Chiese di missione; esempi possono essere: la custodia della chiesa, la tenuta della catechesi, l’animazione di momenti di preghiera, della carità ecc. Una sorta di “gruppo ministeriale”, con almeno tre persone, anche per evitare rinascite di nuovi clericalismi. E, infine, l’importanza della presenza in parrocchia di un consiglio pastorale unitario dove ogni parrocchia sia rappresentata.
Con la concretezza che caratterizza questa impostazione, non poteva mancare nella proposta pastorale del vescovo un’accentuazione della corresponsabilità dei laici in campo amministrativo, sia per sgravare il prete di tante incombenze su cui i laici hanno maggiori competenze e che confluisce nel consiglio per gli affari economici: consiglio pastorale e consiglio amministrativo, dunque, come organismi imprescindibili di una vera corresponsabilità che abbia gambe per camminare e prospettive nuove su cui costruire. Aspetti che, nella conclusione della proposta diocesana 2017-2018, diventano: riflettere insieme, costruire il gruppo ministeriale e curare momenti di formazione insieme (preti e laici), con uno sguardo anche – collegato col tema del prossimo sinodo – al rapporto giovani-lavoro.