L’accusa di abusi sessuali contro Tarik Ramadan, islamologo e punto di riferimento dell’«islam europeo-occidentale» da parte di alcune donne (Francia, Belgio, Svizzera) incrocia l’onda lunga dello scandalo che ha coinvolto il produttore cinematografico Harvey Weinstein e il mondo dello spettacolo americano, della politica inglese e di vari ambienti francesi, italiani e svedesi. Tocca anche gli scandali che da anni attraversano figure religiose, dal clero cattolico ai monaci asiatici. E impatta sul delicato contesto dell’islam in Europa e in Occidente. L’interessato, allontanato da molti dei suoi incarichi, in particolare dalla cattedra di studi islamici contemporanei di Oxford, ha decisamente negato ogni addebito.
Figura poliedrica, Tarik Ramadan, nasce in Svizzera nel 1962, nipote di Hasan al-Banna, fondatore dei Fratelli musulmani. Formato a Ginevra, al-Azhar (Cairo) e Friburgo, ha insegnato a Oxford, in Qatar, Marocco e Giappone. Respinto e poi accolto negli USA, è stato consulente del governo Blair e di varie commissioni dell’Unione Europea. Ha partecipato anche al convegno fra cattolici e islamici in Vaticano nel 2008.
Conferenziere affascinante e abile dialettico è «attualmente il pensatore musulmano europeo più influente e originale… impegnato nel far dialogare il pensiero islamico con la filosofia occidentale, ma soprattutto nel trovare un modo europeo di essere musulmani e un modo islamico di essere europei, riuscendo a rendere popolare un dibattito oggi fondamentale» (Davide Piccardo, ex presidente del Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano).
Neo-egemonia musulmana
La sua posizione religiosa-culturale potrebbe essere definita da una «neo-egemonia musulmana», fra due opposti: la tradizione teologico-giuridica, da un lato, e, dall’altro, l’apertura alla dimensione storico-critica.
La gran parte delle scuole e dei sapienti musulmani è sul versante teologico-giuridico e guarda con sospetto a Ramadan. Uno degli esperti islamici presenti al forum cattolico-musulmano del 2008 mi ha detto: «Ramadan è stato uno dei “ripescati”, a sorpresa di molti di noi. Devo dire che nel Forum è stato corretto. Non ha parlato più di altri. Rimane la sua posizione piuttosto defilata e non coerente con il flusso condiviso della dottrina musulmana».
Per quanto riguarda l’Europa, la corrente maggioritaria persegue l’applicazione di quel tanto di legge islamica coerente con l’impianto giuridico e civile del continente, una sharia di minoranza.
Molto vivace, ma assai più sguarnita, la parte che persegue l’approccio storico-critico ai testi e alla tradizione islamica. Uomini spesso perseguitati nei loro paesi di origine. Ne ha ricordato qualcuno Abdennour Bidar su Le Monde (15 novembre): il poeta e filosofo pakistano Mohamed Iqbal, il filosofo iraniano Darush Shayegan, il giurista tunisino Yadh Ben Achour e l’islamologo tunisino Hamadi Redissi. Più recenti, lo storico Mohammed Arkoun, gli islamologi Malek Chebel e Abdelwahab Meddeb. La riforma che essi perseguono è quella di approcciare i testi fondativi con gli strumenti filologici e storici, per distinguere ciò che è al cuore della religione e ciò che è periferico e caduco.
Ambiguità
Tarik persegue una via diversa: riconoscere al contesto storico-civile di appartenenza una parola decisiva in ordine all’interpretazione del Corano e delle fonti normative. Politica, cultura, tecnologia, scienza ecc. entrano a definire un islam che non si connota solo in senso duale fra chi è dentro l’Umma (i territori islamici) e chi ne è fuori, ma che vive “testimoniando” la fede nel proprio contesto.
I testi non sono l’unica fonte del diritto e la riforma non è adattamento ma trasformazione, non è modernizzazione dell’islam ma islamizzazione del moderno e del post-moderno. Un’impresa, che, a parere degli oppositori, non ha la necessaria robustezza teorica e che si espone al doppio linguaggio: garantire l’islam tradizionale in tutto il suo impianto e rincorrere elementi occasionali di modernizzazione.
Da qui posizioni non sempre coerenti nell’insegnamento di Ramadan. Come le aperture rappresentate dalla delegittimazione delle pene corporali, dal riconoscimento di Israele come un unico stato, dalla richiesta che la predicazione nelle moschee sia fatta nella lingua del posto. Ma anche la reticenza sull’infibulazione e la lapidazione, oltre al consenso al velo integrale e alla poligamia.
La richiesta di “reciprocità” fra paesi occidentali e islamici (chiese, libertà di culto ecc.) è negata in ragione del riconoscimento dei diritti di tutti, nascondendo che i diritti dell’uomo diventano in arabo i diritti del musulmano.
La dimensione giudiziaria avrà il suo corso e ciascuno è innocente fino all’eventuale sentenza di condanna. L’episodio rimanda ad altro. Fra le rivoluzioni e i segni dei tempi maggiori del ’900 si registra il nuovo ruolo della donna e la consapevolezza della dignità del proprio corpo. Tutti gli ambienti ne sono investiti. Comprese le fedi e le religioni.
La sua prima accusatrice, Henda Ayari, ha chiamato a uscire dal silenzio le donne islamiche: «Noi sappiamo bene, donne di religione islamica, come siamo abituate, fin dalla più giovane età, a sottometterci, a obbedire e a tacere quando siamo aggredite. Veniamo trattate spesso come esseri inferiori fin dall’infanzia e siamo programmate per la sottomissione. … Poco importa il colore della pelle, le origini e le religioni. Ogni donna ha diritto al rispetto della propria dignità e della sua integrità fisica e morale».
Secondo me questo neo- femminismo, nel suo assolutismo, segna la fine del multiculturalismo: l’unico modello vincente e’ il femminismo occidentale con il suo particolare ideale di emancipazione che si fa assoluto. E’ per certi versi un ritorno al tardo ottocento (vedi Passaggio in India dove il tentativo di Instaurare relazioni più umane tra inglesi e indiani naufraga proprio in un’accusa di stupro.)