Fabrizio Mandreoli, docente alla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna e direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Bologna intervista Tommaso Serra, fratello delle Famiglie della Visitazione, sulla sua esperienza e riflessione di dialogo ecumenico con le Chiese protestanti in Tanzania. La presenza in Tanzania di membri delle Famiglie della Visitazione, accanto ai presbiteri della diocesi di Bologna e alle suore minime, risale al 1983. Tommaso ha abitato nel villaggio di Mapanda dal 1998. I fratelli e le sorelle delle Famiglie della Visitazione hanno lavorato a diversi progetti tra cui quelli riguardanti le molte traduzioni bibliche, patristiche, conciliari e liturgiche in lingua swahili.
Puoi dirci qualche cosa della tua esperienza ecumenica con il mondo riformato/luterano in Africa, a Mapanda?
La presenza nei nostri villaggi di una Chiesa luterana ben radicata – oltre che di altri gruppi diversi dalle Chiese «storiche» della Riforma –, è stata una sollecitazione per i membri della Chiesa di Bologna là residenti a promuovere segni di unità. Personalmente, serbo la memoria affettuosa di un evento ecumenico «domestico»: per un po’ di anni un pomeriggio alla settimana ci siamo trovati intorno alla tavola della piccola cucina di casa nostra col pastore e altri fratelli luterani per una lettura continua e un commento insieme della Scrittura; ricordo ad esempio la lettura di un intero Vangelo e della Lettera ai Romani. Ne è nata una comunione che continua a durare anche dopo che gli impegni di ciascuno (e nel caso di un maestro luterano la sua morte prematura) ci hanno portato a non essere più tutti nello stesso luogo. Cito questa piccolissima storia perché per me è stata una conferma nel vissuto quotidiano della forza unitiva dell’ascolto comune della parola di Dio, fondamento di ogni ecumenismo. A livello parrocchiale, insieme alle giornate per l’unità dei cristiani, celebrate nei vari villaggi da assemblee numerose e soprattutto contente di riunirsi insieme, ricordo due incontri belli e molto partecipati: il primo sulla dichiarazione comune cattolico-luterana sulla dottrina della giustificazione (che avevamo precedentemente tradotto in lingua swahili), e il secondo sul battesimo. Ambedue occasioni di gioire nel ritrovarsi fratelli. Ma soprattutto colgo nella vita di ogni giorno, dove i cristiani delle diverse confessioni nello stesso villaggio, nello stesso clan e persino all’interno dello stesso nucleo familiare si trovano a affrontare insieme la fatica del lavoro dei campi, le gioie e i lutti, la malattia e la precarietà della vita, e dove ognuno necessita dell’aiuto dell’altro per sostenere la propria fede e la propria carità, il luogo nel quale non solo appare necessario, ma realmente si vive l’ecumenismo. E allora viene da pensare che quanto il cardinal Lercaro ci ha insegnato: «Se condividiamo il pane del cielo come non condividere il pane della terra», forse mantiene la sua verità anche rovesciando i termini: Se condividiamo il pane della terra come non condividere il pane del cielo.
Quali aspetti a partire dalla tua esperienza ti sembrano centrali della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione e anche una parola sul documento Dal conflitto alla comunione.
Nella Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, per la prima volta si dichiara ai massimi livelli delle rispettive Chiese che il cammino di queste ha portato a un consenso su un tema come quello della giustificazione – che Lutero considerava come l’articolo primo e fondamentale che governa e giudica tutti gli altri aspetti della dottrina cristiana – sulla base del quale è possibile affermare che i reciproci anatemi in merito sono superati, e che ciò non è invalidato dalle differenze che ancora sussistono. Il testo è denso e complesso, e quindi non lo si può analizzare in poche righe. Qui richiamerei soltanto la bella confessione comune, centro del documento: «Insieme cattolici e luterani confessano: Non in base ai nostri meriti, ma soltanto per mezzo della grazia, e nella fede nell’opera salvifica di Cristo, noi siamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori, ci abilita e ci chiama a compiere le buone opere». Come sottolinea inoltre il documento Dal conflitto alla comunione, redatto dalla Commissione mista luterano-cattolica per le celebrazioni dei 500 anni dall’inizio della Riforma, il passato non lo si può cambiare, ma può cambiare l’interpretazione e la memoria; e si può passare da una narrazione confessionale a una narrazione condivisa, non più come nemici, ma come fratelli. È il criterio con il quale in modo forse più libero, il documento Dal conflitto alla comunione rilegge la storia di Lutero, riprende il testo della dichiarazione e affronta e apre prospettive sui temi dell’eucarestia, del ministero e della Chiesa. Questo stesso testo afferma: «Cattolici e luterani si rendono conto che loro e le comunità nelle quali vivono la loro fede appartengono allo stesso corpo di Cristo. In essi sta germogliando la consapevolezza che il conflitto del XVI secolo è finito. Le ragioni per condannare reciprocamente la fede gli uni degli altri sono tramontate».
Infine, quali ti sembrano i compiti del futuro delle Chiese – con riferimento all’Africa ma forse non solo – che si trovano in questo cammino di riavvicinamento e comprensione?
La grande intuizione di Lutero è stata restituire la Bibbia alla gente. Il concilio Vaticano II ha sottolineato questo dovere e necessità. Quindi a mio parere le Chiese devono innanzitutto collaborare insieme per questa opera di restituzione. Cominciando da loro stesse: aiutare tutti i credenti a ritrovare un rapporto personale, assiduo e amoroso, con la parola di Dio. E da qui dare gratuitamente il Vangelo a tutte le genti, riconoscendo che il Vangelo della pace, della condivisione e dell’unità, cioè il Vangelo di Gesù Cristo, è ciò che veramente le genti, e certamente la gente africana, attendono con desiderio. E poi l’annuncio con la parola e con la vita dell’elezione in Gesù del povero: il desiderio di una Chiesa per i poveri, dei poveri, povera. In un continente come l’Africa, ricchissimo ma oggetto di predazione continua, in cui così violentemente si vede come la ricchezza di pochi è poggiata sulla miseria delle moltitudini; e come la tentazione del possesso rischia sempre di offuscare il bene della condivisione, questo è un imperativo evangelico su cui le Chiese unitamente si devono interrogare e aiutare.
Salve, l’intervista mi ha colpito molto. Riproduco un passaggio della Dichiarazione sulla giustificazione citsto. Quando dice: Il testo è denso e complesso,e quindi non lo si può analizzare in poche righe. Qui richiamerei soltanto la bella confessione comune, centro del documento: «Insieme cattolici e luterani confessano: Non in base ai nostri meriti, ma soltanto per mezzo della grazia, e nella fede nell’opera salvifica di Cristo, noi siamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori, ci abilita e ci chiama a compiere le buone opere».
Ecco vorrei fare una domanda. Come si compone questo passaggio con la presenza delle guerre, dei delitti efferati, delle piu’ rivoltanti atrocita’? Mi sembra che ogni giorno vadano in scena il delitto e la sopraffazione. In che modo pratico l’ecumenismo si confronta con queste realta’? Mi sembra un tema che fa entrare nella teologia anche ecumenica le scienze umane e i tentativi di spiegazione dei comportamenti.
Mi piacerebbe avere qualche riflessione dall’ intervistato o dall’intervistatore. Grazie