La Via Crucis? Per il domenicano inglese Timothy Radcliffe, già maestro dell’Ordine dei predicatori non è solo una rievocazione del cammino percorso da Gesù lungo il Calvario proposta ai fedeli impossibilitati a recarsi in pellegrinaggio ai luoghi santi, ma assume un profondo significato anche oggi quando spostarsi non costituisce certo un problema.
Perché ciò che conta è comprenderne la sua dinamica interna e il significato esistenziale per noi oggi: è vero che Dio si trova dappertutto, da Chicago a Tokio, ma nella Via Crucis è un po’ come spostarsi nello spazio e nel tempo nella Gerusalemme di duemila anni fa, remota provincia dell’Impero romano, divenuta poi Terra Santa. «Dovunque nel mondo puoi camminare con Gesù, puoi vederlo mentre abbraccia sua madre e incontra le figlie di Gerusalemme, muore in croce e viene deposto nel sepolcro».
Ma nello stesso tempo ciascuno può rendersi conto del «contenuto centrale della nostra fede»: «Gesù ha abbracciato i drammi di ogni vita umana, le nostre vittorie e sconfitte, le nostre gioie e sofferenze. Cammina con noi, quando cadiamo e ci aiuta a rialzarci».
E il termine stesso “stazione” (è normale vederle esposte all’interno delle chiese in ogni parte della terra) significa semplicemente «luogo di sosta, come quello dei treni che si fermano alle stazioni ferroviarie»: Gesù si ferma a parlare con le persone, in particolare quelle che piangono, le ascolta, le conforta, le abbraccia. Ma non può fermarsi e continua il suo cammino sulla via dolorosa che lo conduce al sacrificio della croce, per la nostra salvezza. «Si ferma sul Golgota, che è il punto finale del suo cammino. Gesù ci è vicino quando anche noi ci fermiamo e ci chiediamo se è ancora possibile vivere. Forse ci ha bloccati una malattia, un fallimento, un dolore, la disperazione». Gesù ci porta comunque con sé, nella speranza. «Mettiamoci dunque in cammino con lui» conclude padre Radcliffe.
Perché le esperienze di Gesù lungo la Via – che spesso in epoca moderna inizia nell’Orto degli ulivi, ma per qualcuno già con l’Ultima cena – sono le nostre e di ogni uomo sulla terra: il tradimento degli amici, il processo farsa che condanna l’innocente senza scavare per giungere alla verità («quanti afroamericani hanno un processo giusto?»), le sue cadute (dalla disobbedienza ai genitori, alle bugie, ai cattivi comportamenti sessuali), la sua morte prematura che lascia la madre nel dolore (il dolore di Maria è quello di ogni madre che patisce la morte di un figlio), la disperazione dell’abbandono …
Per Radcliffe la Via Crucis rappresenta quindi «l’esperienza della debolezza morale». «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10): «Gesù ha condiviso le nostre debolezze affinché noi possiamo condividere la sua forza».
E anche quando la fine ingloriosa sembra concludere un’esistenza terrena «Gesù si trova sulla soglia di un nuovo inizio» perché «Nessun vicolo cieco può sconfiggere definitivamente il tocco creativo di Dio».
Timothy Radcliffe, La via della debolezza, (trad. it. di Stations of the Cross, Liturgical Press 2014), Editrice Missionaria, Bologna 2016, pp. 64, € 8,00.