Una novità (subito smentita) e un conferma di rilievo si sono prodotte nell’Assemblea dei vescovi della Chiesa ortodossa russa, svoltasi nella cattedrale del ss. Salvatore a Mosca (29 novembre – 2 dicembre): l’avvio di una riconciliazione (poi negata) con la Chiesa ortodossa scismatica di Ucraina e un giudizio di insufficienza sul recente grande sinodo delle Chiese ortodosse (Creta, 18-27 giugno 2016).
L’assemblea, a cui partecipano quasi 500 vescovi (200 russi, 100 ucraini, 20 bielorussi, altri in servizio in 22 paesi, oltre a numerosi emeriti), è stata convocata in occasione dei 100 anni della rifondazione del patriarcato di Mosca, il 4 dicembre del 1917. Avvenne allora l’intronizzazione del patriarca Tikhon. Il patriarcato era nato assai prima, nel 1589, ma lo zar Pietro il Grande lo soppresse nel 1701 per sostituirlo con un procuratore imperiale. La ripresa nel mezzo della rivoluzione d’ottobre è stata subito segnata dalla persecuzione e il patriarcato privato di ogni autonomia da parte del consiglio per gli affari religiosi di nomina governativa. Soltanto nel 1990 fu permessa una libera elezione e divenne patriarca Alessio II.
In assemblea è stato letto il saluto di Putin. Fra i temi previsti per i lavori dell’assemblea vi sono la memoria liturgica dei nuovi martiri, a partire dallo zar Nicola e dalla sua famiglia sterminata dai rivoltosi nel 1918, l’inserimento nel calendario russo del ricordo di alcuni santi onorati in Ucraina, nuovi regolamenti per la vita monastica (in particolare l’utilizzo di Internet), la celebrazione dei matrimoni (regolarizzazione delle unioni civili e la ripetizione del rito fino a tre volte), l’insegnamento della religione nelle scuole e nelle università e il dialogo con la cultura e l’arte.
La memoria dei cent’anni del patriarcato solleva il valore e la ricezione del concilio ortodosso del 1917: uno dei momenti di maggior vitalità e intelligenza della Chiesa. Molte delle riflessioni sviluppate allora «non sono state comprese fino in fondo, nonostante sia passato un secolo», ha ammesso il patriarca Cirillo in una lettera dell’agosto scorso. Verranno riproposti molti dei testi preparatori e delle indicazioni collegiali allora previste, con una forte accentuazione sui Padri e sulla Scrittura.
Un patriarcato unico?
Non preannunciata è stata le lettera di comunione inviata dal metropolita di Kiev, Filarete, all’assemblea (www.orthodoxie.com). Il 16 novembre scorso il metropolita che era stato all’origine della scissione da Mosca di una consistente parte della Chiesa ortodossa ucraina, ha chiesto «di mettere fine alla divisione e ai conflitti fra cristiani ortodossi, ristabilendo la comunione nell’eucaristia e nella preghiera». E cioè: «Considerare nulle e non avvenute tutte le decisioni, come le sanzioni e le scomuniche che hanno intralciato il passato. Esprimo l’auspicio che, con l’aiuto di Dio, tutte le successive decisioni che saranno prese da voi, siano quelle necessarie al bene dell’ortodossia. Negli anni scorsi numerose afflizioni e discordie hanno oscurato le mutue relazioni fra ortodossi nel mio paese (Ucraina)». «Come confratello e concelebrante, domando perdono per i peccati che ho compiuto in parole, atti e sensi, come io perdono a tutti, sinceramente e di cuore». La lettera è stata bene accolta dall’assemblea. Già nel 2008 e nel 2010 il sinodo russo auspicava con forza il ritorno all’unità con queste parole: «Sarebbe il vero trionfo dell’ortodossia, un trionfo dell’amore di Cristo!». L’Assemblea ha nominato una commissione incaricata di avviare le negoziazioni per l’unificazione futura.
A stretto giro di posta il metropolita Filarete in una conferenza stampa del 1 dicembre ha smentito l’intenzione di ritornare nella Chiesa ortodossa russa, ma semmai di chiedere il riconoscimento dell’autocefalia (autonomia) della Chiesa ortodossa ucraina. Il dialogo si può aprire solo in quella direzione. Ha accusato l’assemblea di aver frainteso la sua lettera e ha confermato che in nessun caso si sarebbe dimesso dal suo ruolo nel patriarcato di Kiev. Non solo. Avrebbe sostenuto anche in futuro le leggi che le autorità ucraine stanno approvando circa le fedi e le confessioni nel paese: nessuna nomina episcopale o di metropoliti da parte di Chiese di paesi in guerra con loro (la Russia) e limitazioni a quelle confessioni che hanno la loro sede principale in paesi aggressori (ancora una volta la Russia).
La novità della riconciliazione sarebbe stata di rilievo sia per l’ortodossia russa che ha in Ucraina i propri luoghi originali e buona parte del suo personale ecclesiastico, sia per l’ortodossia ucraina che si trova divisa fra obbedienza russa, lo scisma di Filarete, altre comunità che fanno riferimento alla Chiesa di oltre frontiera e ad alcune che hanno chiesto la comunione con Costantinopoli. Si sarebbe oscurato conseguentemente l’auspicio di un unico patriarcato per l’Ucraina, desiderato sia dai cattolici di rito bizantino-greco (i cosiddetti “uniati”), sia dal potere politico ucraino (che amerebbe un unico referente religioso). I due progetti avevano beninteso orizzonti diversi: quello religioso auspicava un rinnovamento in senso ecumenico (con la partecipazione sia dei cattolici orientali come degli ortodossi), quello politico era di interesse prevalentemente nazionale.
Il processo di unificazione non sarebbe stato in ogni caso breve e senza intoppi. Lo dimostra il parallelo sviluppo dell’unità con la Chiesa di oltre-frontiera, quella nata all’estero dopo la rivoluzione d’ottobre. Decisa nel 2007 ha ancora davanti problemi non piccoli di confini diocesani, delle parrocchie e di modalità nella scelta dei vescovi. Accenti diversi nelle parole del patriarca Hilarion, primate della Chiesa russa oltre-frontiera che da un lato afferma la sua Chiesa come «parte indivisibile della Chiesa ortodossa russa» e dall’altro sottolinea che essa «è rimasta identica, ma spiritualmente arricchita dalla comunione».
La conferma è sul versante del giudizio in ordine al grande sinodo di Creta a cui la Chiesa russa non ha partecipato. Cirillo ha lungamente spiegato il lavoro comune nella preparazione dell’evento e la decisione negativa a poche settimane dal sinodo. Il mancato consenso di Bulgaria, Antiochia e Georgia e quello discusso della Serbia ha tolto al sinodo il suo profilo di «grande». Le successive discussioni in diverse chiese circa l’impegnatività e l’autorevolezza dei singoli documenti dimostrerebbero la giusta decisione di Mosca. In una valutazione successiva il sinodo russo ha deciso di non considerare il concilio di Crete come pan ortodosso e i suoi documenti come inadatti a esprime un consenso di tutte le Chiese ortodosse, anche se rimane «un evento importante nella storia del processo conciliare delle Chiese ortodosse» iniziato a Rodi nel 1961. Stesse valutazioni circa il messaggio e l’enciclica pubblicate alla fine del sinodo di Creta. Al termine Cirillo conclude con la «certezza che la celebrazione di un concilio autenticamente ortodosso, capace di autorità nell’intero mondo dell’Ortodossia, costituisce l’attesa di tutte le sante Chiese ortodosse».