Quando Severino Cesari è mancato il 25 ottobre scorso medici e i parenti hanno spiegato che poteva essere morto quattro anni prima. A me in una lunga telefonata a sorpresa a Pechino quattro anni fa, dopo tanto tempo che non ci sentivamo, disse che se era vivo era per suo figlio Lorenzo.
Lorenzone (è molto alto oggi, ma da bambino era proprio un gigante) aveva fatto una ricerca da solo sulla malattia del padre e aveva scoperto nuove possibili terapie, mentre altre erano sbagliate. Così lo aveva salvato, mi disse Seve. In realtà gli appuntamenti mancati con la morte di Severino Cesari erano cominciati molto prima, a 17 anni.
Allora, mi diceva in una calda estate del 1987, era scappato a Istanbul ed era finito con amici strani «come c’erano allora, come succedeva allora», chiosava con una luce monella negli occhi. Quegli “amici” lo avevano buttato davanti all’ospedale italiano di Istanbul dandolo per morto per un’overdose. Invece era sopravvissuto e i suoi se lo erano riportato a casa.
Questo uomo, ne sono sicuro, sarà riconosciuto come colui che quasi da solo (in realtà con Paolo Repetti) ha trasformato un pezzo di cultura italiana.
Il profondo disagio sociale, politico che vediamo nella tenera ferocia dei mostri di grandi produzioni culturali come Suburra o Gomorra, per esempio, passarono dalla sua fonte battesimale; e tutto iniziò quando diede alla stampa l’evento letterario trasformativo per il paese Romanzo Criminale, di Giancarlo De Cataldo.
Ma secondo me non è questo suo ruolo di padrino culturale che importa, anche se per i tanti “battezzati” da lui è fondamentale. Quello che mi stringe e preme al cuore è il suo diario della malattia, la sua preghiera mistica e molto terrena verso “sora vita e sora morte”. Se Severino fosse morto quattro anni fa non avremmo un capolavoro che dopo molti secoli ritrova l’equilibrio perfetto di ascesi nel reale che era di san Francesco d’Assisi, e che in Asia è il sogno di ogni santo buddhista o taoista.
Con Molta Cura è il diario degli ultimi quattro anni di vita di Severino e non sarebbe mai nato se lui o la sua famiglia avessero ceduto alle tentazioni della stanchezza e del dolore, se si fossero piegati a certi concetti alla moda per una morte “scelta”, “controllata”.
Nei suoi scritti, che hanno accompagnato me e centinaia di altri suoi amici e devoti, c’è il purgatorio della sofferenza attraverso la cura, lo sforzo perenne di “ripigliarsi”, il gusto estatico di ammirare un pino e uno spicchio di luna attraverso la finestra. C’è l’avventura di fuggire imbacuccato, aggrappato a un bastone verso il Miki bar per farsi avvolgere le papille da un cappuccino al latte di soia, perché il latte vaccino no, fa troppo male.
In queste pagine esplode il Severino privato, quello che avevano conosciuto i tanti con la sorte di vivere con lui per un periodo di lavoro. Per lui non c’era differenza tra privato e lavoro e essere suoi colleghi era essere parte della sua vita, parte delle sue distrazioni, delle sue attenzioni quasi compulsive, dei suoi ritardi. Era accettare che il tuo tempo diventava suo, o almeno anche suo, perché poi lui in cambio donava tutto se stesso a esaltare l’anima della tua opera e di te stesso.
Insomma, leale alle tradizioni della sua terra, l’Umbria, Severino Cesari era un prete, non della Chiesa cattolica, ma della sua Chiesa privata fatta di gusto della vita e gusto della parola scritta, sapore del nuovo e passione per le amicizie, quelle vecchie, da conservare, ma anche quelle nuove da scoprire.
Per decenni Severino è scomparso dietro la redazione dei suoi libri. La sua grande anima appariva come un bagliore sempre nella fitta trama dei volumi che curava, ma lui per intero non c’era mai. La malattia e la sua cura finalmente ce l’hanno donato.
Giusto dire e pensare, come fanno oggi tutti quelli che gli hanno voluto bene, che era meglio se il volume non fosse uscito e Severino fosse vissuto fino a 120 anni. Ma il fatto è che la verità (qualunque essa sia) sceglie i suoi percorsi per farsi avanti, e quindi in Cina, giustamente la verità che sceglie percorsi si chiama Via, Dao.
Forse la malattia è scoppiata perché troppo e troppo a lungo Severino Cesari si era nascosto e non aveva mai trovato come in Con Molta Cura (Rizzoli, Milano 2017) la voce giusta per parlare al mondo. Nei suoi altri libri Severino infatti era come se si celasse sempre, dietro versi ben lucidati o dietro la biografia di un altro uomo, Giulio Einaudi, che me lo disse una volta in un moto di stizza, non ricordava neppure quello che aveva fatto.
Invece nel dialogo quotidiano con i suoi amici su Facebook Severino Cesari ha trovato il suo equilibrio supremo. È un capolavoro raro. È un lavoro di grande semplicità e ancora maggiore profondità, soffice e spaventoso come un film dell’orrore. La vita a contatto ogni minuto con la morte, comunicata senza più paure. È un bagliore di splendore che forse ci fa vedere il divino, la grazia, l’illuminazione degli Jain pre buddhisti, dei danzatori intorno a un fuoco zoroastriano. È la vita e il trascendente abbracciati come ci raccontano al catechismo da bambini quando descrivono la persona di Cristo, totalmente uomo e totalmente Dio.
Maledizione Severino, non potevi prenderti più cura di te stesso prima? Ma forse, fosse stato così, non saresti stato quello che sei.
Sbalordito dal coraggio di Severino, gli avevo dedicato la riesumazione di un mio vecchissimo articolo: “Dedico questo minuto ripescaggio a Severino Cesari, allora responsabile del Domenicale del quotidiano in questione, poi ideatore di Stile Libero presso Einaudi, adesso scrittore in proprio che narra dei colori della vita sotto l’ordine della sofferenza, tenendoci per mano.” Una settimana dopo è morto. Scandalosamente. Grazie per le parole non addomesticate.
Bellissimo ricordo, è perfetta la descrizione dell’influenza profonda ed enorme di quest’uomo specialissimo. Sono stata “amica” di Severino Cesari, su Facebook, grazie al contatto con lo scrittore Maurizio de Giovanni. La sua scoperta è stata un bene prezioso, quasi un miracolo. Che ogni giorno si rinnovava nella lettura dei suoi post, di una ricchezza infinita. Ringrazio la sorte che me l’ha fatto incrociare.
Grazie per aver reso così bene i sentimenti che si provano per Severino. Ho comprato il suo libro ma non ho ancora avuto il coraggio di leggerlo. È ancora troppo vivo e presente il ricordo dei post che leggevo – aspettandoli con ansia – su FB. Quando ho comprato il libro, la cassiera della libreria di via Nazionale ha sorriso dicendo che Severino era un loro assiduo cliente e che ne sentiva la mancanza.
Le righe scritte sopra sono l’essenza di quello che tutti noi che lo abbiamo conosciuto, pensiamo del Grande Severino, che dispensava Cultura in ogni sua azione.
Purtroppo non conoscevo Severino Cesari. Vivendo all’estero si assorbono tanti spunti diversi, da tanti paesi del mondo, ma poi si rischiano di perdere quelli del nostro paese. E la storia di Severino Cesari come l’ha raccontata Francesco, un caro amico da tempo, mi ha profondamente commossa. Soprattutto per l’affetto che esprime per un collega e amico ma soprattutto per una persona che ha saputo parlare con discrezione e attenzione anche di fatti personali perche’ la sua esperienza di vita fosse un’esperienza positiva anche se dolorosa per tanti altri. Grazie a Francesco e grazie a Severino che cerchero’ di conoscere meglio attraverso i suoi scritti e la sua vita. E grazie a tutti coloro che si spendono perche’ la loro vita possa diventare un’ancora di salvataggio per tanti altri. Di esempi positivi di vita ce ne sono tanti ma poco conosciuti. Eccone uno che va raccontato come ha fatto oggi Francesco.
Grazie infinite Maria Laura
grazie di cuore, a francesco per questo scritto denso di intelligenza, sapienza, amore per la vita. con l’amicizia di sempre, da quando, con Severino, scrivevamo assieme per il Domenicale, giorgio boatti
Grazie a te, grazie grazie caro Giorgio