Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, sette monaci di Notre-Dame-de-l’Atlas (Tibhirine, Algeria) sono stati rapiti da un gruppo del GIA (Gruppo Islamico Armato). Il 21 maggio il gruppo armato comunica lo sterminio dei monaci. La scoperta dei loro resti nei pressi di Médéa, il 30 maggio ne darà conferma.
Nella notte della Pasqua 2016 ricorrono i 20 anni dalla morte dei monaci trappisti. La loro volontà di convivenza pacifica tra le religioni in una terra martoriata dai conflitti viene espressa dalle parole del priore nel suo testamento.
Il Testamento spirituale di Frère Christian de Chergé
Se mi capitasse un giorno – e potrebbe essere oggi
di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora
tutti gli stranieri che vivono in Algeria,
vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia
si ricordassero che la mia vita era «donata» a Dio e a questo paese.
Che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita
non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale.
Che pregassero per me:
come essere trovato degno di una tale offerta?
Che sapessero associare questa morte a tante altre
ugualmente violente,
lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
La mia vita non ha valore più di un’altra.
Non ne ha neanche meno.
In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia.
Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male
che sembra, ahimè prevalere nel mondo,
e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.
Venuto il momento vorrei poter avere quell’attimo di lucidità
che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio
e quello dei miei fratelli in umanità,
e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore
chi mi avesse colpito.
Non potrei augurarmi una tale morte.
Mi sembra importante dichiararlo.
Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi
del fatto che questo popolo che io amo
venisse indistintamente accusato del mio assassinio.
Sarebbe pagare a un prezzo troppo alto
ciò che verrebbe chiamata, forse, la «grazia del martirio»,
doverla a un Algerino, chiunque sia,
soprattutto se egli dice di agire in fedeltà
a ciò che crede essere l’Islam.
So di quale disprezzo hanno potuto essere circondati gli Algerini,
globalmente presi,
e conosco anche quali caricature dell’Islam
incoraggia un certo islamismo.
E’ troppo facile mettersi la coscienza a posto
identificando questa via religiosa
con gli integrismi dei suoi estremismi.
L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa,
sono un corpo e un anima.
L’ho proclamato abbastanza, mi sembra,
in base a quanto ho visto e appreso per esperienza,
ritrovando così spesso quel filo conduttore del Vangelo
appreso sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa
proprio in Algeria, e già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
La mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione
a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista:
«Dica adesso, quello che ne pensa!».
Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata
la mia curiosità più lancinante.
Ecco potrò, se a Dio piace,
immergere il mio sguardo in quello del Padre
per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam
così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo,
frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito,
la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione,
giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro,
io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera
per questa gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo «grazie» in cui tutto è detto, ormai della mia vita,
includo certamente voi, amici di ieri e di oggi,
e voi, amici di qui,
insieme a mio padre e a mia madre,
alle mie sorelle e ai miei fratelli, e a loro,
centuplo regalato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto
che non avrai saputo quel che facevi.
Sì, anche per te voglio questo «grazie»,
e questo «ad-Dio» nel cui volto ti contemplo.
E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati,
in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due.
Amen! Inch’Allah.
Algeri, 1 dicembre 1993
Tibhirine, 1 gennaio 1994