Scelta coraggiosa da parte dell’autore e dell’editore quella di pubblicare a quasi dieci anni di distanza un libro sui giovani e la fede: in quel lasso di tempo infatti quasi la metà di coloro che erano giovani sono stati sostituiti dai bambini e gli adolescenti di allora. Eppure questa riproposizione offre preziosi elementi di novità e di approfondimento, innanzitutto proprio per l’evento editoriale stesso: quale strumento migliore del tempo che è passato per verificare la fondatezza della tesi di Armando Matteo?
L’autore non si sottrae alle reazioni che il suo libro – e più ancora le tesi che prima e dopo la pubblicazione ha continuato a divulgare in molteplici occasioni e contesti – ha suscitato. Oggi può riprendere, raggruppate e distillate, quelle più significative e ricorrenti: le risposte, oneste e ragionate, risultano preziose per diverse categorie di lettori. Chi aveva sollevato critiche o perplessità può constatare come queste siano state prese sul serio e abbiano fornito elementi di ulteriore riflessione. Chi si era trovato d’accordo sull’impianto del libro trova conferme e approfondimenti che tengono conto anche del tempo trascorso tra un’edizione e l’altra. Quanti infine non avevano letto la prima stesura hanno tra le mani un testo ancor più articolato e documentato, anche nella bibliografia.
Non si sono certo rarefatti i luoghi comuni sui giovani, a cominciare dalla stessa definizione di una categoria di persone legate tra loro solo dall’appartenenza a una fascia di età inesistente fino a pochi decenni or sono: una serie di condizioni sociali e culturali faceva sì che non ci fosse «tempo per essere giovani», in quanto l’età di passaggio dall’adolescenza al mondo adulto durava talmente poco da essere sociologicamente quasi insignificante.
Eppure oggi si sente continuamente parlare di giovani, delle loro attese e frustrazioni, del loro futuro. Anzi, proprio sul termine «futuro» un altro luogo comune rischia di portarci fuori strada nell’affrontare le problematiche giovanili: sentiamo continuamente ripetere che «i giovani sono il futuro della società (o della Chiesa)» e non ci rendiamo conto che questa affermazione da un lato tende a emarginalizzarli dal presente quasi esorcizzando il loro già esserne parte, mentre dall’altro lato ignora pericolosamente il dato che più affligge oggi chi ha tra i venti e i trent’anni: la mancanza di speranza per il futuro. Tra gli aneliti più cocenti dei giovani, infatti, non vi è quello di essere il futuro di una determinata realtà sociale o ecclesiale, ma piuttosto di avere già ora un futuro verso cui tendere, un’attesa capace di dare senso al loro presente.
Per la Chiesa poi, specie in Italia e in Europa, la questione «giovani» si fa particolarmente preoccupante. Siamo di fronte a persone per le quali «nascere e diventare cristiano» non sono più «eventi che accadono in modo sincrono», impossibilitate a scorgere «un posto per Dio negli occhi dei genitori». L’analisi di Matteo è lucida anche nel suo tratteggiare «quel senso di notte e quella notte di senso» che attanaglia tanti giovani. Sono interrogativi, suggerimenti, intuizioni, proposte da accogliere con gratitudine e approfondire con sapienza: riguardano la Chiesa intera e la sua presenza nella società, oggi prima ancora che domani, la sua capacità di «umanizzare», di far diventare l’essere umano più umano.
Se queste parole risultano a volte sferzanti e dure da ascoltare, la messa a punto di questa seconda edizione le rende ancor più atte a risvegliare la consapevolezza che la fede, come la vita, la si trasmette da persona credibile a persona aperta alla possibilità di credere. Si tratta di essere coscienti non solo di avere un patrimonio da trasmettere, ma anche del dover rendere credibile e desiderabile l’eredità che si vuole lasciare a generazioni erroneamente definite «che verranno»: esse in realtà sono già in mezzo a noi e da noi attendono segni di un passato verso il quale essere grati, di presente aperto al domani, di un futuro possibile e che valga la pena di essere vissuto, a partire da qui e ora.
Infine vorrei sottolineare un dato che rischia quasi di passare inosservato: questo libro ha visto originariamente la luce qualche anno prima delle inaspettate dimissioni di papa Benedetto XVI e dell’elezione di Jorge Bergoglio come suo successore, con il nome di Francesco, inedito per un pontefice. Allora la preoccupazione dell’autore «circa la permanenza o meno della fede cristiana nell’ambito della cultura postmoderna» diviene un prezioso e lungamente meditato contributo per il prossimo Sinodo dei vescovi dedicato a «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», proprio a partire dall’amara ma realistica constatazione che «lì dove il giovane decide di sé (…) il riferimento al Vangelo non gioca quasi nessun ruolo».
Per poter giungere a un serio «discernimento vocazionale» è sempre più urgente non un semplice aggiustamento della pastorale, ma un autentico «cambiamento di pastorale», una conversione di tutta la Chiesa e di ciascun battezzato al Signore Gesù Cristo che dà senso alle nostre vite e credibilità al nostro annuncio del suo Vangelo, buona novella capace di affascinare anche le generazioni più incredule.
Riprendiamo qui la Prefazione di Enzo Bianchi alla seconda edizione del volume di Armando Matteo, La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Rubbettino, Soveria Mannelli 2a ed. 2017.