Cina: indagine sulle suore

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Le informazioni sulla Cina, oltre ai dati macro-enomici e politici di una potenza che si candida a pesare molto nel prossimo futuro (cf. i post di F. Sisci su Settimananews.it), diventano più difficili in altri campi come gli orientamenti di fede o i temi dei diritti umani.

Sul versante cattolico rimane centrale l’attesa soluzione della nomina dei vescovi e la riconciliazione fra la tradizione “sotterranea” e quella “legale” delle comunità dei fedeli. Dopo la lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI, c’è stata una stagione di nomine condivise (2007-2010), quella delle nomine non condivise (2010-2012) e l’attuale, che continua una sorta di patto di non aggressione: nominati in Cina ma non invisi a Roma. Più difficili da indagare risultano le questioni pastorali. Ci sono tracce sui seminari, sui santuari (cf. Testimoni 7-8/2017, p. 13), sull’ecumenismo (cf. Testimoni 3/2016, p. 15).

Frammentarie le indicazioni anche sulla vita monastica e consacrata. Erano quasi 2.000 i fedeli a festeggiare l’avvio del primo monastero di vita contemplativa femminile a Lin Tou (Shanxi, 1° maggio 2014). E molti attendono il ritorno di piccoli gruppi in formazione monastica in alcuni luoghi occidentali (St. Ottilien in Germania, Camaldoli in Italia, Septfons in Francia). Secondo due modalità diverse: chi compie l’intero cammino di formazione monastica all’interno di abbazie in Occidente e chi, invece, sviluppa il proprio cammino in Cina con temporanei soggiorni in Occidente (anche se in Cina non è ancora permessa la vita comune maschile).

I tre modelli

Da apprezzare è lo studio, a firma di P. Sidi-Brette  e M. Chambon, apparso sull’agenzia Eglise d’Asie in tre successivi articoli sulla formazione e riforma della vita consacrata femminile. I dati generali della piccola minoranza cattolica in Cina sono già noti: 12-15 milioni di fedeli, 3.500 preti, 1.500 i seminaristi, una novantina i vescovi per 140 diocesi (45 legali e altrettanti clandestini; una dozzina non riconosciuti da Roma). Si parlava di 7.000 suore, ma lo studio ne riduce la stima: sarebbero 3.170, in 87 congregazioni ufficiali, e 1.391 in 37 congregazioni clandestine o non registrate.

La forma più tradizionale è quella delle vergini consacrate che continua a vivere in alcune diocesi e ambiti della vasta Cina. La prima sarebbe apparsa a nord di Fujian nel 1650. Facendo eco a pratiche spagnole, numerose giovani donne fecero voto di verginità per dedicarsi interamente al servizio della comunità cristiana. Rimanevano all’interno della propria famiglia e si occupavano del luogo di culto, della recita quotidiana delle preghiere, della visita ai malati. È una forma di vita che continua a sussistere anche se, nelle categorie codiciali, sarebbe più assimilabile all’ordo virginum che non alla vita religiosa.

Nelle quattro diocesi di Fujian sarebbero circa 90 e alcune centinaia quelle che fanno riferimento alle comunità “illegali”. Non sembra pronuncino voti espliciti, non hanno comunità e si dedicano al servizio delle comunità cattoliche locali.

Un caso emblematico è quello di suor Teresa che, nel 1988, avvia un biennio di servizio ad una parrocchia e poi la diocesi la invita a due anni e mezzo di formazione. Viene destinata a una diversa diocesi in cui operano 9 preti e 3 suore. Peraltro le suore erano 8, ma tre si sono sposate, una è partita in formazione e l’altra è rientrata nella sua diocesi. Le suore sono affiancate a un prete e turnano dopo cinque anni.

Teresa lavora nella parrocchia dell’amministratore diocesano, in un territorio lungo più di 150 km e abitato da 400.000 abitanti. È la presenza più stabile della parrocchia. Tiene aperta e pulita la chiesa, supervisiona i servizi dei volontari, segue gli eventuali lavori, organizza la liturgia, prepara battesimi e matrimoni, anima i campi estivi. Ha un ruolo molto vistoso e riconosciuto.

Ogni tre mesi le religiose della diocesi si confrontano. Avevano progettato una sorta di convento, ma le emergenze finanziarie sono troppe e finora tutto è fermo.

Suor Teresa conosce bene le congregazioni operanti in Cina. Conosce anche le difficoltà della vita comunitaria che le altre suore le raccontano. Sa di non avere uno statuto canonico preciso, ma ricorda la diffidenza delle vecchie suore nei confronti delle congregazioni diocesane. D’altra parte, da diversi anni nessuna giovane chiede più di entrare in questo servizio e che il favore concesso alle congregazioni forse segnerà la scomparsa del suo modo di consacrazione.

A nord della regione (Fujian) ci sono giovani donne che fanno voto di celibato, ma rimangono in famiglia e servono comunità cristiane di tipo rurale.

Le congregazioni

Un secondo modello è rappresentato dalle congregazioni religiose femminili. Più in particolare, delle famiglie religiose con un forte ancoraggio storico, come le suore del Cuore di Maria.

Nate nell’800, le giovani religiose emettevano i voti nelle mani del vescovo e venivano inviate in missione a due a due. Hanno fatto nascere piccole scuole, orfanatrofi, case per anziani, tipografie artigianali. La vita consacrata rispondeva a un vuoto amministrativo e ai bisogni sociali più acuti. Nel 1940, alla vigilia della rivoluzione, contava un centinaio di aderenti.

Dopo la bufera della rivoluzione, una ventina di suore si rifugiano a Taiwan e quelle che restano sul posto tornano in famiglia per evitare la morte. Tutto sembra scomparire nella rivoluzione culturale (1966-1976) di Mao, ma alcune di loro continuano la consacrazione in segreto.

Con le riforme di Deng Xiaoping (1979) qualcosa si muove e, dieci anni dopo, il vescovo e i fedeli danno riconoscimento pubblico alla rinata congregazione: una decina di suore anziane lascia il testimone a una ventina di giovani suore. Oggi la congregazione conta 93 suore e 3 novizie. Nel 2008 inaugurano la nuovo casa madre, a cui affiancano una casa per anziani e una serie di strutture per la formazione spirituale del popolo. La grande maggioranza fa servizi in parrocchia, mantenendo un ritmo di preghiera comune, a cui si è aggiunta l’adorazione perpetua.

Un terzo modello è costituito da congregazioni di recente fondazione diocesana, come le suore di san Giuseppe. Fondate nel 1983, esse respiravano l’apertura dei nuovi spazi di libertà e si mettevano a disposizione delle comunità “illegittime”. Per un decennio le postulanti erano una decina all’anno. Oggi sono 42. Vivono di carità, abitano una piccola casa con un annesso rifugio per gli anziani. Partite sulla base dell’entusiasmo e di una formazione elementare, hanno dovuto investire molto sull’aggiornamento, le lingue e il percorso accademico, anche all’estero. Dai servizi elementari di un contesto contadino sono passate all’accompagnamento e alla domanda di senso di una società che è esplosa nell’industria e nella globalizzazione.

Finanza, ruolo e carisma

Al di là dei vari modelli di vita consacrata e della loro attuale vitalità, rimangono alcune sfide che li riguardano tutti. Anzitutto le difficoltà di ordine finanziario.  «Come la maggior parte delle congregazioni “illegali”, la maggioranza delle suore non beneficiano di una copertura sanitaria. Fra le 95 religiose del Cuore di Maria, per esempio, solo nove sono coperte. Per regolarizzare la loro situazione presso le assicurazioni, le suore del Cuore di Maria avrebbero bisogno di un milione di euro e di circa 100.000 euro all’anno. Le suore di San Giuseppe, legate alla Chiesa “sotterranea”, non beneficiano di alcuna assistenza medica e devono cercarsi un lavoro fuori della congregazione per rimediarla». È un problema che interessa la grande maggioranza delle suore e che non riceve attenzione dai fedeli. Le loro offerte sono finalizzate ad altro.

Una seconda sfida è costituita dal rapporto con i preti diocesani. Mentre la persecuzione infuria, e poi durante la rivoluzione culturale, preti e suore erano sullo stesso piano e correvano gli stessi pericoli. I nuovi spazi di libertà e la diversità dei servizi e ministeri li portano su strade divergenti.

Le suore hanno spesso una formazione intellettuale e professionale più accurata dei preti (in particolare di quelli “illegali”) e non si adattano a ruoli di semplici domestiche.

Inoltre, i fedeli riconoscono più facilmente il ruolo e la centralità del prete rispetto a quello della suora, distanziando di fatto le due figure. «I conflitti sono più numerosi e, in assenza di soluzioni, le suore sono quelle che devono abbandonare la parrocchia», correndo il rischio di perdere i beni e di vedere dissolta la congregazione.

Per evitare dispute, le suore del Cuore di Maria chiedono al vescovo che la parrocchia servita  devolva una cifra stabile per la suora (fra i 70 e i 150 euro). Cosa che le parrocchie trovano talora troppo oneroso.

La terza sfida è l’identità carismatica. Nei cambiamenti radicali che si sono verificati e si verificano nella società cinese, il passaggio all’industria, al digitale, alla potenza economia e politica, al relativo benessere ecc., cambiano i servizi a cui le religiose sono chiamate: rimangono quelli agli anziani, ma non più le scuole, quelli elementari della sanità ma non più i dispensari. Da ridiscutere i servizi parrocchiali. «Ma, in radice, esse sono costrette a riprendere la questione di fondo: qual è il nostro specifico come religiose del Cuore di Maria o come religiose di San Giuseppe?  Scelta contemplativa, vita apostolica? Quale tipo di apostolato?».

Il cammino post-conciliare della Chiesa insiste molto sul carisma del fondatore o di fondazione e le istanze romane e internazionali spingono perché esse definiscano meglio la loro identità spirituale. Ma, se sono nate nell’800, il fondatore è spesso un prete straniero che non è mai stato parte della congregazione, oppure nascono da donne votate al celibato che non si sono mai sentite fondatrici. In un contesto ultraminoritario, con problemi finanziari irrisolti, la differenziazione dei carismi è sentita come indebolimento davanti a una struttura amministrativa statale e anche religiosa “ufficiale” che snobbano i gruppi minori.

Due fenomeni ulteriori accompagnano la vita consacrata femminile in Cina.

Il primo è la rete internazionale  di aiuto e sostegno. Da Roma, da Hong Kong, da Taiwan, dalle Filippine, dalla Corea del Sud, ma anche dagli  Stati Uniti e dall’Europa giungono in Cina persone, aiuti e affiancamenti.

In secondo luogo, il caso non infrequente di “suore senza fissa dimora”, sia in senso fisico che spirituale. Il corrispettivo dei clerici vagi di un tempo. Donne che faticano ad adattarsi a modelli di vita comunitaria o personale nel mezzo di mutazioni sociali e culturali di grande rilievo. Un segnale di allarme, ma che dice anche la sfida decisiva e la necessità di un sostegno fattivo. Molto del futuro del cristianesimo si gioca “nell’impero di mezzo”.

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Un commento

  1. Maria Zara 27 maggio 2019

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