Al termine del consueto Incontro internazione dei giovani organizzato dalla Comunità di Taizé dal 28 dicembre 2017 al 1° gennaio 2018 e tenutosi a Basilea, con la partecipazione di circa 15.000 giovani (cf. Settimananews 29 dicembre 2017), frère Aloïs, attuale priore della Comunità, ha inviato un messaggio contenente alcune proposte concrete per vivere la gioia che era stato il filo conduttore delle giornate di Basilea.
Prima proposta: Scavare le sorgenti della gioia
«Così dice il Signore: “Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo ad essere fedele”» (Ger 31,3).
«Il Signore tuo Dio è in mezzo a te: gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,17).
«Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (Fil 4,4).
Perché la sera di ogni sabato, a Taizé, nella chiesa illuminata dalle piccole candele che ciascuno ha in mano, si vive un’aria di festa? Perché la risurrezione di Cristo è come una luce al cuore della fede cristiana. È una misteriosa sorgente di gioia che il nostro pensiero non arriverà a scavare fino in fondo. Dissetati da questa sorgente, ciascuno di noi può «portare in sé la gioia perché sa che, alla fine, sarà la risurrezione ad avere l’ultima parola» (Olivier Clément, teologo ortodosso).
La gioia non come un sentimento esagerato, né come una felicità individualistica che condurrebbe all’isolamento, ma come la tranquilla sicurezza che la vita ha un senso.
La gioia del Vangelo proviene dalla fiducia che noi siamo amati da Dio. Lontano da un’esaltazione che sfugge le sfide del nostro tempo, ci rende ancora più sensibili al disagio degli altri.
* Cerchiamo la nostra gioia innanzitutto nella certezza di appartenere a Dio. Una preghiera lasciata da un testimone di Cristo del XV secolo può aiutarci: «Mio Signore e mio Dio, togli da me tutto ciò che mi allontana da te. Mio Signore e mio Dio, dammi tutto ciò che mi conduce a te. Mio Signore e mio Dio, toglimi da me stesso per darmi tutto a te» (San Nicola di Flue).
* Nutriamo la nostra gioia nella preghiera cantata insieme. «Canta il Cristo fino alla gioia serena» suggeriva frère Roger. Quando cantiamo insieme, si creano contemporaneamente una relazione personale con Dio e una comunione fra coloro che sono riuniti. Che la bellezza dei luoghi di preghiera, della liturgia, dei canti, sia segno della risurrezione. Che la preghiera comune risvegli ciò che i cristiani d’oriente chiamano «la gioia del cielo sulla terra».
* Scopriamo anche dei riflessi dell’amore di Dio nelle gioie umane che la poesia, la musica, i tesori dell’arte, la bellezza della creazione, la profondità di un amore o di un’amicizia fanno nascere nel nostro cuore.
Seconda proposta: Ascoltare il grido dei più vulnerabili
«Signore, ascolta la mia preghiera, a te giunga il mio grido di aiuto. Non nascondermi il tuo volto nel giorno in cui sono nell’angoscia!» (Sal 102,2-3).
«Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”» (Lc 10,21).
«Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo esposto alla sofferenza» (Eb 13,2-3).
Perché così tante persone subiscono molte prove – esclusione, violenza, fame, malattia, catastrofi naturali – senza che la loro voce sia davvero ascoltata?
Un sostegno è necessario per loro – alloggio, cibo, educazione, lavoro, cure –, ma ciò che per loro è vitale è un’amicizia. Essere costretti ad accettare un aiuto può essere umiliante. Una relazione di amicizia tocca i cuori, sia di coloro che sono nel bisogno come di quelli che mostrano la loro solidarietà.
Ascoltare il grido di un essere martoriato, guardare negli occhi, ascoltare, toccare le persone che soffrono, un anziano, un malato, un prigioniero, un senza dimora, un migrante… Allora l’incontro personale fa scoprire la dignità dell’altro e permette di ricevere ciò che anche la persona più sprovvista può trasmettere.
Le persone più vulnerabili non portano forse un contributo insostituibile alla costruzione di una società più fraterna? Esse ci svelano la nostra vulnerabilità rendendoci persone più umane.
– Ricordiamoci che, nel farsi uomo, Gesù Cristo si è unito a ciascun essere umano. È presente in ogni persona, soprattutto nei più abbandonati (cf. Mt 25,40). Quando andiamo verso coloro che sono feriti dalla vita, ci stiamo avvicinando a Gesù povero fra i poveri, ed essi ci permettono di entrare in una maggiore intimità con lui. «Non avere paura di condividere le prove degli altri, non aver paura della loro sofferenza, perché molto spesso è in fondo all’abisso che viene data la perfezione della gioia nella comunione di Gesù Cristo» (Regola di Taizé).
– Attraverso contatti personali, cerchiamo di aiutare chi è più sprovvisto. Non aspettiamoci nulla in cambio, ma restiamo tuttavia attenti a ricevere ciò che piacerà loro condividere con noi. Lasciamo che i nostri cuori si aprano, si allarghino.
– Anche la nostra terra è vulnerabile. Essa è sempre più ferita dal cattivo uso che ne fanno gli esseri umani. Ascoltiamo il grido della terra. Prendiamoci cura di essa. Cerchiamo, soprattutto modificando il nostro modo di vivere, di lottare contro la sua progressiva distruzione.
Terza proposta: Condividere le prove e le gioie
«Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12,15).
«Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati» (Mt 5,4).
«Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza» (Ne 8,10).
Dopo la risurrezione, Gesù mantiene i segni dei chiodi della crocifissione (cf. Gv 20,24-29). La risurrezione comprende il dolore della croce. Per noi, al suo seguito, gioie e prove possono coesistere, esse si uniscono e diventano compassione.
Una gioia interiore non attenua la solidarietà verso gli altri, la nutre. È anche di stimolo per attraversare le frontiere per raggiungere coloro che sono in difficoltà. Essa mantiene in noi la perseveranza per tenerci saldi nell’impegno della nostra vita.
Negli ambienti favoriti, dove si è ben nutriti, ben educati, ben curati, la gioia talvolta è assente, come se alcuni fossero affaticati, scoraggiati dalla banalità della loro esistenza.
Succede che l’incontro con una persona debole paradossalmente comunica una gioia, forse solo una scintilla, ma una gioia vera.
* Ravviviamo sempre il desiderio di gioia, profondamente deposto in noi. L’essere umano è fatto per la gioia, non per la tristezza. E la gioia non è fatta per essere conservata per se stessi, bensì per essere condivisa, propagata. Dopo l’annuncio dell’angelo, Maria si mette in cammino per visitare sua cugina Elisabetta e cantare per lei (Lc 1,39-56).
* Come Gesù ha pianto la morte del suo amico Lazzaro (cf. Gv 11,35), osiamo piangere di fronte alle disgrazie umane. Portiamo nel nostro cuore le persone afflitte. Rimettendole a Dio non le abbandoniamo alla fatalità di un destino cieco e implacabile, le affidiamo alla compassione di Dio che ama tutti gli esseri umani.
* Accompagnare coloro che soffrono, piangere con loro, può dare il coraggio, in un momento di sana rivolta, di denunciare un’ingiustizia, di rifiutare ciò che minaccia o distrugge la vita, di provare a smuovere una situazione bloccata.
Quarta proposta: Fra cristiani, gioire dei doni altrui
«Dio ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra» (Ef 1,9-10).
«Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli, che le sorelle, vivano insieme!» (Sal 133,1).
Dio ha mandato il Cristo nel mondo per riunire tutto l’universo, tutta la creazione, per ricapitolare tutte le cose in lui. Dio l’ha inviato per riunire l’umanità in una sola famiglia: uomini, donne, bambini, anziani, di ogni orizzonte, lingua e cultura, e anche di nazioni nemiche.
Molti aspirano all’unità dei cristiani per non oscurare, con le loro divisioni, il messaggio di fratellanza universale di cui Cristo è portatore. La nostra unità fraterna non potrà essere come un segno, una anticipazione, dell’unità e della pace fra gli esseri umani?
– Cristiani delle diverse Chiese, troviamo l’audacia di volgerci insieme verso il Cristo e, senza aspettare una completa armonizzazione teologica, «metterci sotto lo stesso tetto». Ascoltiamo l’appello di un monaco copto ortodosso d’Egitto che scriveva: «L’essenza stessa della fede è Cristo, che nessuna formula può racchiudere. È dunque necessario iniziare un dialogo accogliendo Cristo che è uno… Cominciare vivendo insieme l’essenza della fede unica senza aspettare di mettersi d’accordo sull’espressione del suo contenuto. L’essenza della fede, che è Cristo stesso, è fondata sull’amore, il dono di sé» (Matta el-Maskine, 1919-2006).
– Per entrare subito in questo cammino, iniziamo col ringraziare Dio per i doni degli altri. Durante la sua visita a Lund (Svezia), in occasione del 500° anniversario della Riforma, papa Francesco ha pregato: «Spirito Santo, concedici di riconoscere con gioia i doni che la Chiesa ha ricevuto dalla Riforma». Ispirati da questo esempio, sappiamo riconoscere negli altri i valori che Dio ha dato loro e che forse mancano a noi. Cerchiamo di accogliere le loro diversità come un arricchimento per noi, anche se ciò comporta aspetti che, a prima vista, ci sconcertano. Troviamo nei doni degli altri la freschezza di una gioia.